“È mort Lenin – l’è una mezz’ora – al pussa ancora – sta brutta bestia”
I fatti del 24 sono destinati ad avere risonanza nazionale, per le particolarissime modalità (l’ attacco a un corteo funebre non si era mai visto prima) e per l’evidente premeditazione da parte degli aggressori che vogliono il morto (sono appostati in attesa, sui tetti e – si dice – anche alle finestre della case, tra le quali molto “sospettata” è quella del Deputato socialista Pio Donati, particolarmente inviso ai fascisti).
Colpisce anche molto l’immaginario collettivo il fatto che gli squadristi, pur avendo avuto due vittime, non si lascino impressionare, ed anzi sferrino immediatamente il contrattacco. La Camera del Lavoro modenese è immediatamente assaltata, e poi tocca, la stessa notte del 24, a quella bolognese, e il giorno successivo alla carpigiana.
Sono segnali incoraggianti per chi ha dovuto subire, per due anni, in silenzio, l’altrui violenza.
Assumono quindi quasi il significato di un rito liberatorio alcune pubbliche manifestazioni di scherzoso giubilo che accompagnano il sollievo per lo scampato pericolo.
Sempre a Carpi, l’8 febbraio, nasce improvvisa l’idea di fare il funerale a Lenin. La divertita cronaca del parroco, don Ettore Tirelli, rende bene l’idea:
Sono le 20. Dalla torre maggiore il campanone suona a morto, e per la città i fascisti percorrono le contrade in lungo corteo, con stendardi e un finto morto, Lenin in cassa. Povero Lenin! … Chi avrebbe mai sognato un mese fa che a Carpi (rocca fortissima e, si diceva, inespugnabile, del bolscevismo), una parodia del genere?
“È mort Lenin – l’è una mezz’ora – al pussa ancora – sta brutta bestia” Queste strofe si cantavano da un coro, mentre altro coro, ad ogni strofa cantava “Bubara, bubara”.
L’incensazione della finta salma fu fata con bastonate; e l’asperges, una bottiglia, lasciava cadere sulla cassa benzina in quantità.
Ad un certo tratto, una vampata poneva termine allo spettacolo e riduceva in cenere la casa col suo disgraziato Lenin. Dov’erano i bolscevichi carpigiani, quelli della rivoluzione? (1)
Arrivano le elezioni, e i fascisti si impegnano, a modo loro, che vuol dire non lasciare alcuna sfida impunita, come fanno quattro squadristi carpigiani capitati a Pavullo. L’inizio del racconto di d’Incerti è tutto un programma:
Roncoscaglia – ci dissero – è la roccaforte del comunismo; poiché qui la Camera del Lavoro ci pensa ora due volte prima di esporre la bandiera rossa, ne hanno innalzata loro una da diverso tempo, dicono su di un albero, giurando di accoppare chiunque si provi ad andarla a prendere. Ed è gente capace di farlo; montanari che per un nonnulla adoperano il coltello.
[…]
Verso le tre, visto che non ci rimaneva altro da fare, si decise di ripartire, e salutammo i nostri improvvisati amici. Appena fuori dal paese, però, feci fermare la macchina:
“Sentite – dissi – quella bandiera di Roncoscaglia non si può lasciarla stare. Se proviamo, forse di sorpresa, ci riesce di portarla via. dov’è Roncoscaglia? … Andiamo?
Rapida decisione degli altri: “andiamo”. (2)
Quel che avviene, è facilmente immaginabile. Nel giro di un’oretta, e senza adoperare la forza, la bandiera è presa, con tanta facilità da invogliare i birbanti a proseguire nell’impresa, con una visita alla Casa del Popolo, dove vengono dati alle fiamme manifesti e vario materiale di propaganda. Poi, il ritorno a casa:
A Pavullo i nostri camerati ci aspettavano con ansia. Avevano saputo che la nostra auto era ripassata diretta a Sestola, e temevano per noi. Quando seppero com’erano andate le cose e videro la famosa bandiera di Roncoscaglia, quasi ci portarono in trionfo, e vollero subito bere alla nostra salute.
La notizia corse per il paese; si radunò gente davanti alla sede del Fascio, a commentare l’impresa.
Forse quello era il momento buono per dire, con più fortuna, il mio discorso di propaganda, che al mattino aveva avuto così tiepido successo. (3)
Più delle parole, però, contano i fatti. L’audacia e il coraggio degli uomini in camicia nera confortano i pavidi e tutti coloro che, nel biennio precedente non hanno trovato nemmeno nel segreto dell’urna il coraggio di reagire.
Si tratta peraltro, e questo è un fatto normalmente sottaciuto, di un segreto molto sui generis. Le schede elettorali, infatti, non vengono distribuite ai seggi o al Comune, ma ritirate dall’elettore alla sede del Partito preferito, che ha solo l’obbligo di assicurarne l’uniformità, ma può anche prestamparvi le preferenze.
Sono poi successivamente consegnate al Seggio elettorale, dove il Presidente identifica l’elettore e si incarica di infilarle nell’urna.
È, praticamente una indiretta schedatura che consente di individuare, con il mancato ritiro della scheda, chi è “contro” o anche solo “indifferente”.
Questo giustifica insieme – cappa soviettista imperante – i due opposti fenomeni dell’assenteismo o della partecipazione coatta.
Alle elezioni politiche del maggio del 1921, quando la situazione sarà mutata, lo dimostrerà il crollo dei consensi socialisti che passeranno, nei paesi della provincia (dove il controllo del territorio è più facile e oppressivo), dal 60 al 36 per cento, e in città dal 58 al 45 per cento.
Fin troppo ovvio che in questo ha, anche a Modena, incidenza determinante la tumultuosa crescita del movimento fascista, che ormai travalica i confini della provincia:
Noi carpigiani delle prime squadre d’azione… abbiamo avuto per diversi mesi buona parte di tre province virtualmente ai nostri ordini, ma non ce ne siamo né insuperbiti né esaltati: cessata la lotta siamo tornati – quelli che non vi hanno lasciato la vita – al quotidiano lavoro, militi sempre pronti e sempre fedeli.
Uomini soprattutto d’azione, avevamo anche allora – se ricordate – una decisa avversione per i discorsi, per i convegni, per le cerimonie. (4)
Non credo siano esagerate queste parole di d’Incerti. I Fasci di Modena e Carpi non mancano sicuramente, quando occorra, di determinatezza nell’azione, ma conservano – come i sopra riportati episodi del funerale a Lenin e della beffa di Roncoscaglia dimostrano – anche una propensione alla burla, alla beffa, all’esibizione sfrontata, ma priva di violenza, finché possibile, di forza e potenza.
Ciò infastidisce le Autorità, al punto che, nei mesi a seguire, anche per coprire l’ingiustificato eccidio di fascisti, del quale si renderanno responsabili il 26 settembre, per il tramite dell’Ispettore Generale di PS Riccardo Secchi, offriranno questa distorta immagine della realtà ai vertici romani:
(I fascisti) avevano la inveterata abitudine di non tenere calcolo delle leggi di Polizia in genere, e spesso anche del Codice Penale. Convinti di avere, in passati momenti, sollevato il Paese dall’opposizione sovversiva, ritenevano lecita ogni manifestazione, ogni iniziativa che, senza riguardo a regolamenti, leggi, garanzie statutarie, si ispirasse a sentimenti nazionalistici e patriottici… Così i fascisti di Modena con un esuberante entusiasmo giovanile… tenevano un conto molto relativo dell’autorità politica e di PS, e persistevano a tenere vivo nelle campagne e nella città quel predominio che avevano acquistato, col dimostrare in ogni momento che erano pronti, molti e decisi. Quindi, passeggiate in numero per le vie della città, canti di circostanza, azioni e reazioni violente. (5)
Questa testimonianza, insieme a quella risultante dalle parole di D’Incerti prima riportate, che parlano di “uomini d’azione…con decisa avversione per i discorsi, i convegni e le cerimonie” e che sono rivolte ai camerati delle prime battaglie, spiegano perché il Fascio carpigiano (e, a ruota, quello modenese), saranno ostili al Patto di Pacificazione, confermando il loro allineamento sulle posizioni dei “fratelli maggiori” di Bologna.
Che non abbiano torto a volere fino in fondo la lotta contro due nemici, egualmente pericolosi, che sono i sovversivi di ogni colore e i rappresentanti dello Stato monarchico-conservatore lo dimostrerà il già citato episodio tragico del 26 settembre 1921, che assegnerà a Modena il triste primato della città con più vittime fasciste provocate dalla repressione poliziesca.
Infatti, se sei saranno i morti “diretti” che seguiranno l’insensata iniziativa del Capitano dei Carabinieri Guido Jurgens di aprire il fuoco, sul piazzale della stazione di Sarzana, contro i fascisti tumultuanti, ma che dimostrano chiaramente di non aver intenzione di far uso delle armi contro gli uomini in divisa, a Modena i Caduti saranno otto, sotto i colpi sparati dalle Guardie Regie, dopo il primo esploso quasi a bruciapelo dal Commissario Guido Cammeo.
Non è questo il luogo per fare la storia di quella drammatica serata. Può bastare la scarna e telegrafica cronaca del Chiurco:
26 settembre. le Autorità governative di Modena, in odio al fascismo, davano ordini polizieschi categorici, che irritavano i fascisti, tanto da indurli a tenere una riunione, nella quale fu votato un ordine del giorno di protesta contro il Governo. Un migliaio di fascisti, dopo la seduta inquadrati militarmente sfilano per la via Emilia. Trovano la strada sbarrata dalle guardie Regie agli ordini del commissario Cammeo, ben noto per la sua condotta antifascista e vigliacca…
Il corteo si ferma e l’on. Vicini si accinge a parlare ai fascisti per calmarli e dare loro l’ordine di sciogliersi. Accanto all’on. Vicini si pone il gagliardetto del Fascio.
I due commissari che si trovavano accanto al gagliardetto non si vollero levare il cappello. Un fascista toglie la paglietta al commissario, facendola cadere a terra, e il commissario estrae la rivoltella facendo fuoco a bruciapelo sulla folla, uccidendo il fascista Carpigiani Umberto del Fascio di Modena, e ferendo gravemente al torace l’on. Vicini che cade gridando: “Viva’Italia”.
Un urlo di indignazione si alzò dalla folla, mentre una scarica partiva dai moschetti imbracciati dalle Guardie Regie. Così cadevano a terra altri morti. Due Carabinieri che si trovavano di servizio cadevano pure gravemente feriti. Otto fascisti uccisi, trenta feriti, tra i quali gravemente l’on. Vicini. (6)
Una strage che non ha nessuna giustificazione, che darà a Modena, negli anni a venire, un ruolo di primo piano nelle cronache della vigilia, suggellato dalle parole dello stesso Mussolini, nel corso della sua visita dell’8 aprile 1924: “Popolo di Modena, popolo della città che ha dato sempre martiri alla nobile causa, io vi saluto!… Avete scritto pagine di dolore e di gloria, ed io non dimenticherò mai le giornate grigie di quel tragico settembre…quel sangue ha germogliato la vittoria”.
Una spiegazione per ciò che accade in piazza può trovarsi nella forte avversione del Cammeo nei confronti dei fascisti, già manifestatasi a Carpi, dove egli era stato di servizio ed era stato sospettato di essere “al servizio dei bolscevichi e della Camera del Lavoro”, ed acuita dal fatto che egli era cugino del pisano Carlo Cammeo, segretario della Camera del Lavoro della sua città, ucciso il precedente 13 aprile nel corso di una lite con tre ragazze che erano andaste a chiedergli ragione di certe sue offese.
Tornando al 26 settembre, c’è da aggiungere che la vittima più nota della giornata sarà il ventitreenne Duilio Senigaglia, ex Tenente degli Arditi, Comandante provinciale delle squadre, che abbiamo già visto presente alla riunione del maggio del 1919, prima di recarsi a Fiume con d’Annunzio.
Personaggio amato e carismatico a Modena, di religione ebraica (come, per esempio, l’on Donati del quale pure abbiamo detto, il maestro Cammeo e una delle sue assalitrici, Mary Rosselli Nassim, futura dirigente del movimento fascista femminile), sarà sempre onorato nella sua città, e gli sarà intitolato un Gruppo Rionale che Repubblica Sociale durante, conservando il nome, fungerà da centro di mobilitazione militare.
Anomalia che meriterebbe un approfondimento, così come da altri rilevato:
Un rapporto, quello tra ebrei e fascismo, che, come ha ricordato recentemente anche Alberto Caviglion, è stato per decenni, almeno fino alla fine degli anni ottanta, sommerso da un “silenzio greve”; ma ancora oggi, ci ricorda lo studioso, “un’indagine spregiudicata su cosa siano stati, aldilà delle conseguenze più evidenti e tragiche, la realtà vera e intima del fascismo, e in particolare il grado di compenetrazione fra ebrei e fascismo, è un compito da svolgere”. (7)
Ma questa è un’altra storia.
NOTE
- In: Anna Maria Ori, Carpi Fascio della prima ora, autorappresentazione dei “superfascisti” carpigiani, in: Aa Vv, Fascismo e Antifascismo nella Valle Padana, Bologna 2007, pag. 171
- Vico d’Incerti, Carpi Fascio della prima ora, Carpi 1935, pag. 77
- Ibidem, pag. 84
- Ibidem, pag. 6
- In: Claudio Silingardi, L’eccidio del 26 settembre 1921 e la memoria dei martiri fascisti a Modena, in: AaVv, Fascismo e Antifascismo nella Valle Padana, cit., pag. 138
- Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol. III, Firenze 1929, pag. 528
- Claudio Silingardi, cit., pag. 130