Qualcuno l’ha accusato di eccessivo intellettualismo, qualcun altro, invece, lo ha lodato al massimo livello, fatto sta che, al di là delle singole opinioni, andando a leggere questo libro, non si può non finire letteralmente trascinati nel gorgo delle storie mitiche che, una dietro l’altra, si snocciolano trascinando il lettore verso i lidi di un’altra dimensione. E’ quanto accade con la lettura de “Le nozze di Cadmo e Armonia” di Roberto Calasso, che ci apre le porte alla magica ed atemporale dimensione del mito greco.
L’immagine di Zeus che pare intento alla spasmodica ricerca di amanti con cui accoppiarsi continuamente,sino alle figure di giovanette e giovanetti che, da amanti o pretendenti della mano di un dio,vengono da quest’ultimo, in altro trasformati o, addirittura, uccisi. Si va dalla moltitudine di donne che, da compagne fedeli di eroi e re, finiscono con il divenire le loro assassine, come nel caso di Medea e Clitemnestra e delle Danaidi. Le gesta eroiche di Apollo, Eracle, Teseo, Giasone, Bellerofonte, volte ad abbattere mostri, sino alle tragiche saghe familiari degli Atreidi Tieste ed Atreo, in cui il mostro da abbattere è il sangue del proprio sangue. La guerra di Troia, falciatrice di eroi e di virtù guerriere, sotto la supervisione degli Olimpi, accanto ai misteri di Eleusi ed alla storia del rapimento di Core fanciulla da parte di Ade, re dell’Oltretomba, fratello di Zeus ed al suo periodico rilascio che, nel far visita alla sua augusta madre Demetra, mette in moto la rinascita di una natura addormentata dal mortale freddo invernale. E l’immedesimazione di Zeus fanciullo, nella grotta sul monte Dikteo a Creta, con suo figlio Zagreo, ucciso, squartato e divorato dai Titani e che rinasce come Dioniso…Tutto questo e molto più, ci indica che quella classica è la mitologia della trasformazione; è la più pregante espressione di un’estroflessione dell’Essere in mille e mille aspetti che si rincorrono, si incontrano, si annullano vicendevolmente, per poi ricomparire trasformati e continuare all’infinito. Nel suo palesarsi, la mitologia classica, si fa espressione di un’apertura al molteplice, agli infiniti aspetti di una realtà in continuo mutamento, senza pari. Ed in questo contesto, rientra anche la sfera della sessualità. Il principio primo divino (in quel momento Zeus…) si accoppia continuamente con un’infinità di fanciulle o deità, lasciandoci intravvedere la capacità di espressione dell’uno nel molteplice. Le stesse vicende di omosessualità, incesto e via discorrendo, sono viste quali espressione di un continuo “solve et coagula” di forze identiche ed opposte, in un perenne auto annullamento dell’ “io” ed in un suo altrettanto perenne rinnovarsi.
Importante, a questo punto, il tenere a mente quanto l’autore ci fa notare sulla peculiare natura del corpus mitologico classico: esso non è di unica spettanza del tempio, al contrario di quanto accade in Egitto, India e in minor misura, in Mesopotamia, ove i centri templari si fanno interpreti e diffusori dei mitologemi e delle loro implicazioni teologiche. Nell’Occidente greco-latino a farla da padrone sono gli aedi, quegli oscuri cantori, che si tramandano nel silenzio e nell’oscurità di secoli senza storia, motivi archetipici che risalgono alla notte dei tempi, probabilmente alla stessa genesi delle varie specie umane sul pianeta Terra. Omero, Esiodo, Plutarco, Pausania e via via altri, altro non fanno che raccogliere e ripetere, quanto l’atemporale vento senza tempo del mito, va soffiando nelle orecchie di coloro che possono e sanno ascoltare. La cecità di Omero è virtù pura, perché apre in lui quel terzo occhio dell’anima, che la illusoria visone della Maya della circostante realtà, avrebbe obnubilato. Quella virtù gli fa vedere eroi e Dèi, in guerra, come in pellegrinaggio, alla ricerca di quel sapere che illuminando l’anima, dà senso e direzione all’agire dell’uomo nel mondo, così come accade per Odisseo, colui che rifiuterà la statica condizione dell’immortalità, offertagli dalla ninfa Calipso in Ogigia.
Sì, perché se ce ne fossimo dimenticati, per i Greci la perfezione sta nel limite, nell’antropomorfico contenimento della sostanza divina nell’infinità delle umane forme, ma anche degli oggetti in terra e degli eventi. La mitologia greca è quindi espressione di questa “finità dell’infinito”. Di uno stesso motivo, esistono una molteplicità di versioni. Tutto si interseca e corre. Qui non esistono “libri sacri”, perché, come abbiamo già rilevato, è l’archetipo e lo stesso inconscio dei popoli a palesarsi, senza soluzione di continuità.
Gli Dei stessi, sono destinati a succedere l’uno all’altro. Urano viene spodestato da Crono-Saturno, a sua volta spodestato da Zeus, che dopo aver precipitato i Titani nel Tartaro, diviene il Padre ed il generatore sommo degli Dei Olimpi. Quello stesso Zeus che, a detta della mitologia orfica, sogna e vede il mondo prima di lui, diviso nel Chaos primordiale in cui, soli presenziavano Tempo senza Tempo ed Ananke- Necessità, dal cui coito, nasce Fanes-Protogonos, il “primo nato”, la “luce dell’apparire”, dalla cui copula con Notte, nasceranno Gea ed Urano, a cui succederà con violenza, Cronos-Saturno, destituito poi da Zeus, al quale, in seguito, riuscirà ciò che a nessuno, tra gli Olimpi era prima riuscito: accoppiarsi con Ananke-Necessità. Ma lo stesso Zeus sa e teme, il proprio Fato che, predettogli dalle Parche, prevede la sua sostituzione da parte del figlio di un eroe semi-divino (Achille?….) ed a poco servirà quindi, l’aver incatenato sul Cucaso il Titano Prometeo…
Ecco, gli infiniti aspetti della realtà si congiungono, sostituendone altri. Quello stesso Essere si fa sostanza sfuggente, ogni volta che una ninfa o una fanciulla vengono sacrificate o in altro trasformate. Quegli stessi motivi che riguardano l’antropofagia o l’uccisione per squartamento, anche in questo caso, altri non stanno a significare che l’annullamento della singolarità ontologica e la sua dispersione nella molteplicità, sino al totale ricongiungimento nell’armonia cosmica, così come accade per tutte quelle uccisioni di eroi da parte di personaggi femminili. L’elemento femminile, a sua volta, in quanto generatore di nuova vita, ha la funzione di sopprimere qualunque elemento sovrasti l’armonia rappresentata dal limes cosmico. E così, alla strabordante e sovrumana fisicità di Eracle, verrà posto un termine da Deianira. Lo stesso uccider mostri, è un riportar ordine ad un turbamento, che riguarda sia l’ordine microcosmico, afferente all’animo umano, che quello esterno, macrocosmico. Ben lontano, dunque, da una ingenua ed involuta interpretazione della realtà, il mito si fa atemporale e simbolica descrizione di essa, in virtù del fatto che le strutture di pensiero degli antichi erano peculiarmente differenti dalle attuali nostre. Secoli di razionalismo e di empirismo, ci hanno portato a ragionare per unilineari e consequenziali “griglie” di pensiero, che ci rivelano ogni aspetto della realtà, nella sua singolarità e non in rapporto con il Tutto.
Gli antichi, invece, non conoscendo questa modalità di pensiero e avendo necessità di dare un senso al mondo, riunificavano e sintetizzavano i vari aspetti di una specifica realtà, nel simbolo (dal greco “sun-ballw/metto assieme”) che, in tal modo costituiva il metodo più abbreviato per descrivere ciò che, a parole, sarebbe stato impossibile a descriversi. La manifestazione più immediata del pensiero “simbolico” era data dalla conoscenza iniziatica, che, attraverso i misteri, spalancava le porte alla comprensione dell’Essere e ad una più profonda e partecipata osmosi con l’elemento numinoso. Gruppi mitici come Dattili, Coribanti e Menadi, ma anche eroi come Eracle, Giasone e Teseo, erano tutti o lo divennero in corso d’opera, tutti iniziati ai vari Misteri del tempo.
Questo, almeno, sino all’avvento della filosofia e della mediazione concettuale e linguistica, derivanti dal progressivo allontanamento e distacco dell’animo umano, da un rapporto di immediata interazione con l’Essere. Da allora in poi, la conoscenza simbolica, sempre più avrebbe dovuto convivere con un altro tipo di conoscenza. Resta lo stimolo alla riflessione sull’essenza del mito, che il testo del Calasso ci ha qui offerto. Di fronte ad una visone ciclica del Cosmo e degli eventi che coinvolgono gli Dei stessi, di contro ad una finalistica unilinearità, di fronte ad una visione aperta alla Molteplicità,di contro ad una soffocante unicità e monotematicità, nonostante i già accennati tentativi di renderne appetibili e apprezzabili alcuni aspetti, in un’ottica di occidentale e spettacolaristico, insensato esistenzialismo, si viene posti di fronte ad una ben differente visione della realtà.
Un fatto questo che, con buona pace dei portatori d’acqua, di un quanto mai raffazzonato evoluzionismo culturale, ben poco ha a che spartire con il desolato panorama offerto da una grigia e malaticcia Post-Modernità…
UMBERTO BIANCHI