17 Luglio 2024
Appunti di Storia Controstoria

Minervino Murge, 23 Febbraio: la morte di un contadino (terza parte) – Giacinto Reale

“Muti raccontò, tra le matte risate, il grido che i fascisti meridionali lanciavano ogni qualvolta vedevano arrivare il loro comandante: “Per don Ciccio, eia eia allalà”.

 

Ciò che emerge chiaramente, con le violenze del 1919-20 è la inadeguatezza delle Forze dell’Ordine a controllare la situazione, ancor più nei piccoli centri pugliesi, dove il presidio di forza è spesso limitato a qualche decina di elementi.

Questo stato di cose giocherà a sfavore della parte “nazionale” prima e dei fascisti poi, quando i sovversivi saranno all’offensiva (e nessuno si sogna di dire che fosse “voluto”), ma sarà loro utile quando comincerà la marcia squadrista.

C’è, in più, un altro elemento, che così sintetizza De Felice, accennando alle simpatie di cui godranno i fascisti da parte dei militari di corpi di Polizia:

…molti dei quali erano ex combattenti, e ciò costituiva un altro motivo di affinità con i fascisti…sia soprattutto perché, dato il carattere “antibolscevico e d’ordine” del fascismo, essi vedevano nel fascismo un naturale alleato contro quei “sovversivi” dei quali, per oltre due anni avevano dovuto subire gli insulti e le violenze, e che, pertanto, non capivano perché dovessero considerare alla stessa stregua di coloro che invece si dicevano loro amici. (1)

 

È quello che succede a Minervino come in tutti i comuni della Murgia, che vengono sottratti ad uno ad uno, con la guida ed il coordinamento di Caradonna, alla tirannia bolscevica.

Componente fondamentale della vittoria squadrista si rivela, anche in Puglia, la velocità di azione e la capacità di spostamento, soprattutto a cavallo, come abbiamo visto. Squadre a cavallo ci saranno anche altrove, per esempio nelle pianure emiliane o in Lomellina, ma lì avranno più una connotazione propagandistica – quando non folcloristica –, per dare l’idea di un vero e proprio esercito in campo, a differenza di quelle pugliesi, che saranno “essenziali” per il raggiungimento della meta.

È significativo che ad esse, e solo ad esse accenni, per esempio, Pietro Gorgolini, laddove, nel suo “Rivoluzione fascista”, racconta il raduno di Napoli che precederà la Marcia: Ecco la caracollante cavalleria dell’on Caradonna precedente la massiccia colonna dei contadini fascisti delle arse pianure foggiane, baresi e leccesi”.

In effetti, quegli squadristi a cavallo dovettero fare molta impressione ai partecipanti, e anche ad uno che, pur giovanissimo, ne aveva già viste di tutti i colori:

Ettore tornò da Napoli fuori di sé. Tutte quelle camicie nere, ed i capi da lui visti, lo avevano entusiasmato al punto che gli era venuta la parlantina facile. Un caso raro per lui.

Gim era rimasto particolarmente impressionato dai Reparti di cavalleria guidati da Giuseppe Caradonna, che comandava le squadre d’azione della provincia di Bari, Foggia, Potenza, Reggio Calabria, Lecce e Catanzaro.

Muti raccontò, tra le matte risate, il grido che i fascisti meridionali lanciavano ogni qualvolta vedevano arrivare il loro comandante: “Per don Ciccio, eia eia allalà”
E Gim sottolineava quell”allalà” pronunciato con la doppia “elle”, tentando di imitare al massimo la pronuncia di fascisti baresi.
(2)

Un aneddoto certamente vero, anche se è fondato il dubbio di un errore nel ricordo di “Gim dagli occhi verdi”. Quel “don Ciccio” era in realtà doveva essere un “don Peppino”…

Risolto il problema del movimento, resta quello dell’armamento, perché l’iniziale ricorso alle doppiette da cacciatore presenti in tutte le abitazioni bracciantili, a qualche vecchio schioppo ereditato, e alle scarse pistole cimelio di guerra di alcuni reduci, si rivela ben presto insufficiente a colmare il divario numerico rispetto agli avversari.

La soluzione si dovrà ad alcune circostanze fortuite:

La cavalleria (fascista ndr) disponeva di un’arma che per gli italiani di quel tempo era inconsueta: la carabina Winchester.

Il possesso di quest’arma fu reso possibile grazie alla missione di una delegazione di Arditi che si recarono negli Stati Uniti. Lo scopo della missione era quello di riuscire a raccogliere fondi tra gli emigrati italiani e gli ex combattenti della guerra 1915-18. Tra i sostenitori dell’iniziativa vi era anche un emigrato di Cerignola: il padre di Fiorello la Guardia, futuro Sindaco di new York, che divenne personale amico di Caradonna.


L’American Legion ebbe un ruolo importante in America per la propaganda anticomunista e la repressione squadrista dei moti sovversivi comunisti scoppiati anche negli USA. Nacque nel 1919. Il suo Comandante nazionale, Alvin Owsley, dichiarò che:” I fascisti sono per l’Italia ciò che l’American Legion è per gli Stati Uniti”. Mussolini ne divenne membro onorario

Lo stesso Caradonna era molto noto negli ambienti americani della Legione, tanto che il Governo gli donò una medaglia ricordo.

La missione degli Arditi italiani in America ebbe grande accoglienza e rese possibile la dotazione delle carabine Winchester e delle pistole Browning per la cavalleria di Caradonna, armi modernissime in Italia per quei tempi, e particolarmente adatte per la cavalleria. (3)

 

Sistemato anche questo problema, il fascismo murgese intraprende con sicurezza la strada della ormai vicina consultazione elettorale.

Lo stato d’animo degli avversari, che per due anni avevano minacciato sfracelli e attuato violenze piccole e grandi di ogni tipo, è mutato, in pochi mesi, forse ancora più velocemente e fortemente di quanto gli stessi fascisti si aspettassero.

La raccomandazione di Turati, apparsa sull’ “Avanti” del 4 maggio non potrà lasciarli stupiti, perché interpretata, ai loro occhi di uomini d’azione, come una resa senza condizioni: “Non raccogliete le provocazioni, non fornite loro pretesti; non rispondete alle ingiurie. Siate buoni, siate pazienti, siate santi”.

Non è un invito che tutti i sovversivi sono disposti a seguire, però. La giornata elettorale del 15 maggio, della quale tutti intuiscono l’importanza si rivelerà drammatica, e particolarmente in Puglia.

I dati ufficiali paleranno di 21 morti in scontri tra opposte fazioni e/o con le forze dell’ordine: 10 risultati “estranei” ai conflitti, 5 socialcomunisti e 6 fascisti.

Di questi ultimi vale la pena di segnalare il dato dell’età, perché veramente mai, come in questa giornata, esso dimostra la “giovinezza” delle adesioni fasciste: il sedicenne Riccardo Celoria cade in una spedizione a Borgo Vercelli, il quindicenne Giuseppe Basadonna e il ventenne Francesco Giachin (con un loro camerata appena più anziano) vengono uccisi a Maresego (Capodistria), il diciassettenne Vittorio Benetazzo cade a Treviso, il diciottenne Arrigo Caleffi e il diciassettenne Eugenio Morandini sono massacrati a Soave…

Gli scontri più violenti avvengono però a Cerignola. Alla fine si conteranno otto morti. Ma qui i fascisti sono quasi completamente assenti:

La causa occasionale dei tragici eventi fu l’utilizzo del distintivo fascista del tricolore da parte di alcuni contadini per sfuggire ai controlli degli esponenti del fascio. I fascisti, appostatisi nei pressi delle due sezioni 438 e 439 fermarono i contadini e, dopo averli riconosciuti, strapparono loro i distintivi. L’episodio dei distintivi innescò i primi incidenti: numerose furono le sparatorie in vari punti della città; un’automobile con a bordo elettori fascisti fu bersagliata dal fuoco dei socialisti, che cercarono di applicare un atto di ritorsione.

Il clima creatosi in città diede purtroppo i suoi frutti sin dall’inizio della giornata, portando ad una situazione di guerra civile, come testimoniato dal rapporto del vicequestore Roma. I socialisti, nella loro risposta scomposta ed istintiva, commisero gli stessi errori dello sciopero generale di febbraio, organizzando un’azione assolutamente inconcludente.

Infatti, i socialisti, ritornando nei loro quartieri periferici si preclusero di fatto, la possibilità di recarsi a votare nelle sezioni elettorali poste nel centro della città.

Gli elementi più determinati tra i contadini giunsero ad innalzare barricate e postazioni fisse di difesa, quasi sul modello della guerra di trincea… In questo modo, seppur armati, andarono incontro alle perdite maggiori, affrontando militarmente in modo improvvisato i Reparti dell’Esercito e dei Carabinieri, superiori per preparazione, armamento e tattica.

I fascisti, che pure parteciparono attivamente a molti scontri a fuoco… non ebbero alcun ferito o arrestato ad opera dell’azione dei Carabinieri. Il fascio, infatti, ebbe alcuni feriti, ma questi furono colpiti dai militanti socialisti, e non dal fuoco dei Carabinieri o dei soldati. (4)

 

E non può mancare, nella tragedia, l’elemento farsesco:

Nella tarda serata i Carabinieri arrestarono il socialista Donato Grassi (ex consigliere comunale) che, intimorito dal clima di violenza generato dagli scontri, cercò di recarsi a votare travestito da donna, per cercare di passare inosservato e sfuggire ai controlli effettuati dagli squadristi nelle vicinanze delle sezioni elettorali. (5)

 

Caradonna viene naturalmente eletto, e in Parlamento si lega alla pattuglia degli “intransigenti”, tra i quali spicca Farinacci, che lo citerà espressamente nel suo libro di memorie:

13 giugno 1921,

oggi i Deputati fascisti si sono riuniti alle 13 in una sala di Montecitorio e hanno deliberato che, se l’on. Misiano – disertore di guerra – si fosse presentato alla Camera, avrebbe dovuto essere allontanato. Di questa nostra decisione informiamo l’on. Bombacci perché avverta in tempo il suo collega.

Alle ore 13,45 Misiano invece di presenta nella Sala dei Passi Perduti e si siede su un divano.

Senza profferir parola, io, Caradonna, De Vecchi, Giunta, Capanni e qualche altro, lo raggiungiamo e gli diamo l’ordine categorico di sgombrare l’aula. Il disertore comunista, credendo che…la solennità dell’aula e del luogo ci possa rendere prudenti e riguardosi, scatta in piedi, estrae di tasca una rivoltella e la punta contro di noi.

Mentre in aiuto di questo figuro accorrono Deputati comunisti e socialisti, io mi avvento sul Misiano e riesco a strappargli l’arma dalle mani. (6)

A seguire, il parlamentare cerignolano sarà contro il Patto di Pacificazione, affiancandosi a Bologna e ai più importanti Fasci del Nord (mentre di Crollalanza sarà a favore), e, con una valutazione che è comune a questi “ribelli”, giudicherà Mussolini responsabile di quella che si va profilando come una crisi del fascismo. Lo farà a suo modo, senza risparmiarsi, arrivando a definire, al Congresso della sua città, il 21 agosto, la situazione come “frutto del volgare politicantismo di Mussolini che torna a mirare all’ovile socialista”.

La fama di “duro” gli crea intorno un alone quasi leggendario, dipingendolo come uomo adatto a risolvere le situazioni più complicate, e attribuendogli anche responsabilità in episodi nei quali è assolutamente innocente.

Come l’omicidio del suo corregionale, l’on Giuseppe Di Vagno, odiatissimo dalle sue parti, perché responsabile nel natio paese di Conversano, delle violenze di un nucleo di Arditi del Popolo.

Così, quando il 30 maggio il parlamentare socialista decide di tenere un comizio, alcuni fascisti locali si recano a Cerignola a chiedere l’intervento di Caradonna, col quale c’è un articolare legame, visto che, in campagna elettorale, ha partecipato ad una manifestazione nel paese, che pure non fa parte del suo Collegio, e ha attraversato le strade “sotto un tappeto di fiori”.

Per questo, rispondendo alla chiamata, un manipolo di squadristi parte in treno da Cerignola, il giorno del previsto comizio socialista, che dovrebbe dare il via al repulisti dei fascisti, diretto a Conversano. Giunti però quasi alla meta, alla vicina stazione di Polignano, gli uomini vengono bloccati dal Presidente del Fascio che avrebbero dovuto aiutare, Lovecchio Musti, e sono invitati a tornare indietro, per sopravvenuti accordi con le Autorità, che si sono impegnate a garantire la sicurezza dei mussoliniani concittadini di Di Vagno.

La notizia, comunque, si sparge, così che apparirà credibile la voce che vorrà, qualche mese dopo, Caradonna implicato nell’omicidio.

In effetti, si tratta di pura falsità, che vuole inquinare le prove in una vicenda tutta locale, come riconosciuto in un recente studio, che, riaffermata la centralità di Conversano nella spiegazione del delitto, chiaramente conclude: “ventilare l’ipotesi di una “congiura politica” ordita dal ras del fascismo del calibro di Giuseppe Caradonna è non solo privo di fondamento, ma addirittura un autentico depistaggio”.

Al coinvolgimento dell’avvocato di Cerignola, valoroso reduce di guerra, costretto a farsi violento dalla altrui violenza, non crede, in realtà nessuno, già nella immediatezza dei fatti e ancor meno negli anni che verranno.

Comandante della X° Zona alla Marcia, dopo la conquista del potere, egli si allontanerà sempre più dalla realtà delle terre che lo videro comandante delle squadre a cavallo, per motivi professionali, incarichi di Governo, e poi per il suo ruolo di Vice Presidente della Camera.

Sarà coinvolto, anche per il suo carattere tempestoso, in litigi con vari esponenti del regime, ma non mancherà alla chiamata saloina.

L’elenco dei presenti alla cerimonia di inaugurazione, nel 1932, del “Faro votivo”, eretto a Minervino e dedicato ai trenta Caduti pugliesi della Rivoluzione, non lo cita, pur essendo ben nove i martiri delle sole Cerignola e Minervino.

Una scelta, quella del luogo, non dettata solo da motivi tecnici, e cioè dalla volontà di assicurare alla luce del Faro una visibilità di 80 chilometri. Ci terrà a ribadirlo l’oratore designato per la cerimonia:

Ma, più che questo dettaglio essenzialmente tecnico, v’era una ragione profondamente sentimentale che indicava Minervino da essere scelta per l’altissima designazione.

Minervino battè per prima la diana della riscossa fascista in Puglia. Durante il periodo più acuto della lotta antibolscevica aveva combattuto aspramente ed aveva mantenuto con onore le sue posizioni di città combattente.

Minervino era la roccaforte del bolscevismo in Puglia, e vantava spavalde agitazioni contro i poteri dello Stato. Era stata anche la prima, tristemente famosa nella storia delle agitazioni operaie, per gli scioperi, i tumulti e i conflitti.

Quando il primo agguerrito manipolo del fascismo, con Mario Limongelli, ingaggiò la lotta diseguale e senza quartiere, il bolscevismo ne rise. Poscia…a Minervino guardavano le consorelle città tendendo il loro animo per ispirarsi e trarne forza e fede.

E Minervino fin da allora fu per loro il faro di luce, di esempio, di olocausto e di sacrificio. (7)

 

 

FOTO 5: winchester mod. 1900

FOTO 6: l’espulsione di Misiano

 

NOTE

  1. Renzo De Felice, Mussolini e il fascismo, vol II La conquista del potere, Torino 1966, pag. 27
  2. Gori-Campana, Ettore Muti, Roma 1964, pag. 187
  3. Pierfranco Bruni, “Giuseppe Caradonna e la Destra Nazionale”, Roma 1996, pag. 45
  4. Francesco Barbaro, “La Capitanata nel primo dopoguerra”, Foggia 2007, pag. 236
  5. Ibidem, pag. 238
  6. Roberto Farinacci, Squadrismo dal mio diario della vigilia, Roma 1934, pag. 89
  7. PNF, Federazione provinciale di Terra di Bari, I Caduti del fascismo di Puglia, Bari 1932, pag. 10

 

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