Quando si fa riferimento alla Torre di Babele, viene subito in mente il leggendario edificio presente nel primo libro dell’antico testamento biblico, la Genesi, come simbolo della grande confusione generata dalla differenziazione dei linguaggi umani con conseguente difficoltà di comunicazione e di reciproca comprensione.
Gli esperti, a tale proposito, pur individuando con ragionevole certezza, le misure della costruzione nel momento del suo massimo splendore, non hanno saputo determinarne con precisione l’epoca storica, potendo solo azzardare ipotesi più o meno supportate da eventi significativi. Si sa, però, che al tempo della deportazione degli Ebrei a Babilonia, nel VII secolo a.C., la ziqqurat Etemenanki fosse dedicata al dio Marduk e che fosse alta poco più di 22 metri, come risulta dalla descrizione dello stesso sovrano Nabucodonosor II. Per il suo aspetto ancora maestoso, gli Ebrei considerarono l’edificio un chiaro esempio dell’arroganza umana, nonché un luogo blasfemo e di sfida all’unico vero Dio. Della Torre di Babele ne parla anche Erodoto, uno dei più importanti storici dell’antichità che, pur non visitandola, la menzionò come esistente durante la sua vita. All’ipotesi predominante che ha identificato la Torre di Babele nella ziqqurat Etemenanki di Babilonia, alcuni studiosi moderni ne hanno opposta una alternativa, altrettanto plausibile, individuando nella città di Eridu (4) la sede della possibile costruzione. Questa nuova interpretazione si è basata su varie argomentazioni, tra cui il fatto che le rovine della città di Eridu risultano sia più antiche che più vaste rispetto a quelle della ziqqurat babilonese e coincidono maggiormente con la descrizione biblica che fa leva sull’incompiutezza della torre. A ciò si aggiungono motivazioni di carattere linguistico: il nome della città di Eridu, nei logogrammi scritti con incisioni cuneiformi, si pronuncia Nun.ki (il luogo potente) in lingua sumerica, nello stesso modo in cui sarà indicata Babilonia molto tempo dopo.
Gli Ebrei, pertanto, impressionati dalle dimensioni della ziqqurat, sia che essa sia stata presente a Babilonia che nella città di Eridu, ne fecero un simbolo di ribellione e di sfida nei confronti dell’unico vero Dio, inserendo un significativo racconto a tema nel libro della Genesi, uno dei cinque libri costituenti il pentateuco e la cosiddetta Legge che, proprio nel periodo della deportazione babilonese, andava cristallizzandosi sulla base di scritti caotici più antichi e della tradizione orale. Secondo il racconto biblico (Gen. 11, 1-9), all’epoca della costruzione della torre, tutta l’umanità parlava una sola lingua, ma gli uomini con superbia desiderarono arrivare verso il Cielo, non accontentandosi di popolare il mondo assegnato dall’Onnipotente. Per questo grave peccato di superbia, Dio si vendicò, creando lo scompiglio fra tutte le genti, in modo che non si comprendessero più e non potessero procedere uniti nell’ambizioso progetto di ascesa verso il divino, lasciando l’opera incompiuta. La radice etimologica del termine “Babele”, derivante dall’ebraico balal che significa “confondere”, sta ad indicare proprio l’episodio della “confusione delle lingue” (5).
Nell’esegesi del testo, l’interpretazione tradizionale ebraica è alquanto differente rispetto a quella cristiana. In ambito giudaico, la punizione divina, in linea generale provocata dal peccato di superbia degli uomini, è da attribuire alla volontà di conoscere il segreto delle lettere dell’alfabeto ebraico che, fino all’epoca dell’episodio della torre, sarebbe stata l’unica lingua parlata sulla Terra. Gli ideatori del progetto, inoltre, avrebbero utilizzato il potere dei nomi di Dio, tramite la stregoneria, per governare gli spiriti angelici e per canalizzare l’energia delle stelle e delle costellazioni verso il “mondo inferiore”, il nostro pianeta. La confusione delle lingue avrebbe facilitato l’idolatria, facendo sì che gli uomini potessero rivolgersi nei modi più disparati possibili a Dio, moltiplicandolo e dimenticandone la vera natura unitaria. Nimrod (6)sarebbe stato l’ideatore e l’architetto del blasfemo edificio, facendo costruire ad est la parte per salire e ad ovest la parte per discendere. E’ interessante notare una delle numerosissime contraddizioni del testo biblico: mentre il racconto della Torre di Babele afferma che in quel tempo gli uomini parlavano tutti una medesima lingua, il capitolo precedente della Genesi, il numero 10, dice esplicitamente che i figli di Noè avevano ciascuno un proprio territorio ed una propria lingua. E’ opportuno osservare, comunque, che le narrazioni bibliche, così come si può evincere anche da molti altri passi, non seguono un ordine cronologico storiografico e preordinato, ma tendono a privilegiare l’esposizione di contenuti metaforici e simbolici.
Nell’interpretazione esegetica cristiana si tende a dare del racconto della Torre di Babele una spiegazione mitologica delle origini dei diversi linguaggi umani e del progetto divino di disperdere gli uomini ai quattro angoli della terra. L’interpretazione allegorica principale, tuttavia, vede nella vicenda della Torre di Babele il fallimento di ogni tentativo umano di “aspirare al Cielo” con le proprie misere forze creaturali. Nella visione teologica cristiana, il racconto della torre non sarebbe incompatibile con la credenza, comune a molte altre religioni, secondo la quale l’uomo dovrebbe cercare di elevare la propria anima verso Dio, ma enfatizzerebbe l’aspetto che tale innalzamento dovrebbe avvenire solo nello “spirito” e non mediante “espedienti carnali”. Osservo che non è un caso se nella simbologia cristiana, il giorno di Pentecoste, 50 giorni dopo la Pasqua, sugli apostoli scendano le lingue di fuoco emanate dallo Spirito Santo, con la conseguenza che possano comprendere lingue ed idiomi sconosciuti (7). Chiediamoci, a questo punto, se la scienza attuale possa confermare oppure negare l’ipotesi che originariamente tutti gli uomini parlassero la stessa lingua e che la confusione possa essere derivata da un unico evento traumatico.
La risposta è essenzialmente negativa, in quanto, come è stato dimostrato ampiamente da un gran numero di glottologi esperti nella ricostruzione degli alberi genealogici delle lingue indoeuropee e semitiche, la diversificazione linguistica affonderebbe radici nella dispersione geografica delle varie popolazioni e nella propensione dinamica al cambiamento di ciascun idioma. L’affermazione biblica sul fatto che esistesse un unico linguaggio primordiale potrebbe di per sé non essere del tutto falsa. Forse è anche possibile che ci fosse un unico linguaggio parlato nell’Africa orientale, circa 100.000 anni fa, nel perido in cui cominciò l’avventura del genere umano, ma quando i diversi gruppi cominciarono a separarsi, colonizzando le più lontane parti del globo, il loro modo di comunicare si sviluppò in maniera diversa (8). Alcuni studiosi ritengono più plausibile che la metafora della Torre di Babele possa essere stata originata da una sorta di confusione linguistica a “livello regionale” nell’area mesopotamica. E’ possibile che una lingua come l’accadico, il sumerico o l’aramaico, in epoca molto antica, abbia assunto l’importanza dell’inglese di oggi nell’area medio-orientale, fungendo da idioma utile agli scambi commerciali e per le reciproche ambascerie tra compagini statali diverse. Analizzando con maggiore acume il testo biblico a proposito della torre di Babele, si nota che esso non si riferisce tanto alla “puralità delle lingue” quanto al crollo di un “unitario sistema di comunicazione”. Non si deve trascurare, inoltre, l’importante fatto che i sovrani mesopotamici, per la costruzione delle loro ziqqurat, arruolavano lavoratori provenienti da ogni parte dell’impero, con usi, costumi e soprattutto linguaggi diversi.
Nell’ambito dell’immaginario artistico, le più antiche rappresentazioni della Torre di Babele risalgono ai codici miniati medioevali, dove il mitico edificio è delineato come una costruzione stretta e lunga, spesso provvista di merlature. Tra il XIV ed il XV secolo, nonostante il diffondersi dell’Umanesimo e del Rinascimento, la Torre di Babele viene sempre rappresentata sulla base degli schemi medioevali, con l’aggiunta di elementi cilindrici o poligonali e molto spesso con finestre bifore di matrice gotica. La svolta si ha nella zona delle Fiandre, verso la metà del XVI secolo, dove si sviluppa velocemente una diversa maniera di rappresentare il soggetto del mitico episodio biblico (9). La Torre di Babele viene trasfigurata in un edificio impressionante a pianta generalmente circolare ed a progressioni spiraliforme, con motivi classicheggianti che ne completano l’aspetto. Di particolare suggestione è l’incisione di Cornelis Anthonisz nel 1847, dove la torre che crolla appare come una sovrapposizione di anfiteatri, oppure le due celebri opere di Bruegel (10), ultimate nel 1563, La piccola e La grande Torre di Babele: nella prima si notano nuvoloni neri che già minacciano l’oscura costruzione, di cui si intravedono gli elementi architettonici strutturali in itinere, come se si trattasse di un grande cantiere verticale; nella seconda opera la confusione ed il disordine regnano sovrani, sia per il miscuglio di stili utilizzati nell’innalzamento dell’edificio, sia per il proliferare di attività e di personaggi che lo circondano, tra i quali in primo piano spicca il re Nimrod, il leggendario fondatore della Torre. Con le ziqqurat di cui abbiamo parlato in precedenza, come probabili modelli per l’elaborazione del mito della Torre di Babele, le raffigurazioni fiamminghe hanno in comune soltanto l’andamento vistosamente piramidale. In epoca moderna si distinguono i dipinti di Escher e di Salvador Dalì (11), forieri di interpretazioni futuriste e visionarie di grande originalità. Nell’incisione di Escher del 1928, la Torre di Babele è una costruzione molto singolare, orientata in un’avveniristica prospettiva a quadro inclinato.
La rappresentazione di Dalì mostra una simbologia di significati ancora più complessa, presentandosi come un cono od un cilindro verticale, più volte riproposta con fotomontaggi o ulteriori modifiche nel corso degli ultimi due decenni ed incarnando i sentimenti di inquietudine e di confusione, ormai divenuti patrimonio di carattere globale. Accanto alla simbologia religiosa, di cui abbiamo sinteticamente parlato, la “torre” è, comunque, un archetipo antico, a cui sono stati attribuiti significati diversi a seconda degli storici contesti culturali di riferimento. La “torre”, in linea generale, è un innegabile simbolo di ascesa, di elevazione e di desiderio di avvicinarsi alla potenza divina, per poter rendere più benefica l’esitenza sulla Terra. Lo stesso termine ziqqurat, più in particolare, rimanendo nello schema paradigmatico della Torre di Babele, trae origine dal verbo babilonese zaqaru, che può tradursi con le espressioni predicative italiane essere alto/essere elevato. Presso quasi tutte le civiltà antiche, la funzione della torre non era concepita come “ponte di collegamento forzato con il Cielo”, ma come sede di contemplazione, di elevazione spirituale e di illuminazione mentale, in grado di creare armonia ed equilibrio tra “ciò che sta sopra e ciò che sta sotto”: attraverso la torre non solo gli uomini avevano la possibilità di salire verso le divinità, ma gli stessi dèi potevano decidere di scendere sulla Terra. La torre era l’icona del legame tra la dimensione divina e quella umana, una specie di portale che poteva legare le due dimensioni, così lontane eppure così complementari. In molti scritti antichi il simbolo della torre si confonde con quello della montagna, come sede del dio creatore, del signore del mondo, del grande architetto dell’universo, a seconda di come si volesse indicare lo “spirito supremo” nelle diverse culture. Nella tradizione cosmologica mesopotamica, sulla cima della torre, i sacerdoti (oi magoi del riferimento evangelico) (12) e gli astrologi osservavano i segni nel Cielo, cercando di canalizzare verso la Terra le energie provenienti dall’alto.
Seguendo i tracciati dei codici prossemici, i piani più vicini al Cielo simboleggiavano la trascendenza, mentre i piani inferiori indicavano gli istinti più bassi e materiali. Nella tradizione occidentale, consolidatasi nell’epoca medioevale, periodo in cui come già sottolineato, iniziarono a fiorire numerose immagini della mitica costruzione biblica, la torre non è più vista soltanto come simbolo di “ascesa”, ma anche di “ordine” e di “controllo”. In questa applicazione semantica bivalente, di “elevazione” e di “vigilanza”, ogni scalino segnava una precisa fase del percorso di crescita, tesa a catturare l’energia proveniente dal “Cielo” per irradiarla sulla “Terra”. Non è un caso, se proprio in epoca medioevale, cominciarono a svilupparsi i primi nuclei delle narrazioni fiabesche, dove la principessa, simbolo dell’eterno femminino, è rinchiusa in una torre che, al tempo stesso, funge da luogo di protezione e di prigionia. Da un punto di vista psicologico, la torre evidenzia due significati opposti presenti in ciascuno di noi: da un lato la predisposizione quasi naturale ad integrarsi con il mondo circostante, dall’altro il timore di uscire fuori dalle nostre sovrastrutture che possiamo identificare con gli schemi esistenziali troppo rigidi e poco disponibili agli impulsi esterni. Lo stesso racconto biblico della Torre di Babele, se letto in un contesto più generale e scevro da condizionamenti troppo legati ad un’interpretazione teologica tradizionale, si pone ai nostri occhi quasi come l’emblema della mancanza di lungimiranza dell’essere umano, poco preoccupato del rispetto della natura e privo di una unitaria visione ecologica che possa realmente farlo sentire in piena armonia con le altre forme di vita (13). Il mito dell’incompiutezza e della caduta della Torre di Babele, pertanto, può indicare anche la fine di un obsoleto modo di comunicare ed il rinnovamento verso la ricerca di nuovi sistemi di linguaggio in grado di costituire basi solide per il progresso di una umanità sempre afflitta dalla propria finitezza, ma in cui arde perennemente una scintilla divina che la spinge ad andare oltre sé stessa. La “torre” assume un significato particolare nei tarocchi, come carta di distruzione e di rinnovamento. In alcuni mazzi è conosciuta semplicemente con la denominazione La Torre, mentre negli storici tarocchi di Marsiglia (14) prende il nome di Maison Dieu, traducibile in italiano con La Casa-Dio, un significato che sarebbe falsato se rendessimo l’espressione più liberamente con il genitivo soggettivo La Casa di Dio.
E’ necessario delineare tale precisazione, in quanto come archetipo spirituale, la torre indica l’arrivo in un territorio sacro, una regione dell’anima dove sia possibile esprimere pienamente sé stessi e dove le nostre risorse riescano ad essere convogliate verso la materia, dopo aver attraversato una fase di radicale cambiamento, molto spesso accompagnata da crisi profonde e dolorose. La carta associata alla torre è la numero XVI-16, costituendo una precisa tappa nel percorso iniziatico intrapreso dall’individuo, come se a quel punto del cammino si fosse pronti per ricevere l’illuminazione da parte della divinità. La torre, infatti, è il simbolo successivo a quello del diavolo (carta XV-15), conosciuto anche con la denominazione ermetica di “guardiano della soglia” (15). Nel passaggio tra la carta numero numero 15 e quella successiva, il soggetto ha davanti a sé una scelta importantissima, un bivio fondamentale per il prosieguo della sua elevazione: da un lato può scegliere di rimanere incatenato alle proprie passioni, come appunto simboleggia il diavolo, dall’altro ha la possibilità di seguire le aspirazioni della propria anima, avviandosi verso la torre. Questa tipologia di percorso iniziatico ricorda di certo l’onirico viaggio di Dante Alighieri nella Divina Commedia che, dopo aver raggiunto Lucifero, nelle profondità dell’inferno, risale verso il Monte del Purgatorio, curiosamente rappresentato dagli artisti come una roccia/torre a forme conica, dove i dannati pro-tempore espiano i sette peccati capitali. Nella sedicesima carta dei tarocchi, sono raffigurate due persone nell’atto di precipitare dalla torre: esse appaiono ribaltate a testa in giù e sono costrette a guardare la realtà da una prospettiva diversa e fuorviante, a similitudine dell’appeso (carta numero 12). I soggetti incisi sono due, proprio con l’intento di rappresentare la “dualità interiore” e la divisione a cui può portare ogni difficoltà di scelta. Una volta distrutta la sommità della torre, i malcapitati possono pensare a come ricostruire la propria vita, facendo tesoro delle esperienze pregresse.
Nella maggior parte dei mazzi di tarocchi, i due personaggi sono raffigurati con le mani protese verso l’erba verde, quasi ad indicare elementi emblematici di speranza e di rinnovamento. Non sono mancati coloro che hanno ricollegato la narrazione della torre di Babele alla colonizzazione della Terra da parte degli Annunaki, gli alieni provenienti dal fantomatico pianeta Nbiru, responsabili anche dell’aver creato il genere umano, attraverso un incrocio con una specie indigena. Nell’ottica di tale fantasiosa ricostruzione, affascinante e non impossibile, ma non supportata da prove scientifiche, la torre di Babele sarebbe una sorta di ponte spaziale o di stazione di atterraggio dei velivoli alieni. Suggestive sono le immagini utilizzate da alcuni scrittori di fantascienza, peraltro intrise di elementi biblici, come Arthur C. Clarke che, nel racconto Le fontane del paradiso (16), ipotizzò la costruzione di un ascensore cosmico sulla cima di una montagna. Reali progetti di ascensori cosmici, seppure ancora in una fase embrionale, sono stati portati avanti dalla NASA e da agenzie spaziali di altri Paesi negli ultimi anni: la parte principale della struttura portante è significativamente denominata torre. Il racconto della torre di Babele può essere facilmente applicato e trasfigurato nell’epoca presente, dove l’espansione incontrollata della cultura globalizzata sembra quasi riprodurre le ambizioni dell’antico re Nimrod. Mai nel passato, come nel mondo di oggi, vi è stata una cosi grande abbondanza di informazioni, a cui però non corrisponde un’adeguata metodologia di comunicazione e di interpretazione, con il deludente risultato che molto spesso viviamo nella confusione e nella frammentazione. L’ultimo progetto della torre di Babele è forse rappresentato dal linguaggio digitale, parlato in maniera universale dai computer, dai cellulari e da tutti gli altri dispositivi elettronici a disposizione.
Pur riconoscendo l’enorme importanza del progresso tecnologico, il rischio è che se ne possa diventare schiavi, facilitando l’avvento dell’era denominata dai futurologi con troppo entusiasmo del transumanesimo. Con uno sguardo acronico e metastorico, pertanto, il racconto della torre di Babele diventa un mito senza tempo che racconta una storia vera: un grave errore compiuto dal genere umano con terribili ed inaspettate conseguenze.
Note:
(1) Enmerkar e il Signore di Aratta è un poema sumerico formato da 636 versi, il primo di un ciclo che racconta il lungo conflitto tra le città di Uruk ed Aratta, probabilmente realmente accaduto e databile intorno al 3000 a.C.;
(2) Il Libro dei Giubilei, chiamato anche Piccola Genesi, è considerato canonico dalla sola Chiesa Copta, mentre è ritenuto apocrifo dalle altre confessioni cristiane;
(3) Cfr. Jacques Vicari, La torre di Babele, Edizioni Arkeios, Roma 2001;
(4) Gli archeologi ritengono che Eridu fosse una antica città della Mesopotamia e che corrispondesse all’attuale territorio di Tell Abu Shahrain, circa 12 chilometri a sud-ovest della millennaria Ur;
(5) Cfr. Pierre Gibert, Bibbia, miti e racconti dell’inizio, Editore Queriniana, Brescia 1993;
(6) Nell’antico testamento biblico (Gen.10,8-12), Nimrod fu re dello Shinar e figlio di Kus, a sua volta figlio di Cam e, pertanto, nipote di Noè;
(7) L’episodio è narrato nel libro degli Atti degli Apostoli (2, 1-13), attribuito all’evangelista Luca;
(8) Cfr. Giulio Soravia, Le lingue del mondo, Edizioni Il Mulino, Bologna 2014; (9) Cfr. www.didatticaarte.it, La torre di Babele, iconografia di un mito senza tempo, consultato il 15/01/2021;
(10) In realtà, la torre di Babele fu il soggetto di ben tre dipinti del grande Bruegel, di cui la prima, una miniatura su avorio eseguita durante un viaggio a Roma, andò perduta;
(11) L’opera di Dalì raffigurante la Torre di Babele, all’inizio abbastanza ignorata, ha ricevuto molteplici imitazioni negli ultimi due decenni;
(12) Il vangelo di Matteo è l’unica fonte del canone cristiano a parlare dei “Magi”, genericamente indicati con l’espressione greca “oi magoi”, traducibile in italiano con “i Magi” o “Alcuni Magi”. La determinazione di essi nel numero di “tre” è postuma, nonché basata su tradizioni apocrife;
(13) Cfr. Armando Savini, Miti, storie e leggende. I misteri della Genesi dal caos a Babele, Editore Diarkos, Milano 2020;
(14) Quando si parla dei tarocchi di Marsiglia, si fa generalmente riferimento al mazzo standard francese, dal quale sono derivate tante altre raccolte;
(15) Cfr. Alejandro Jodorowsky/Marianne Costa, La via dei tarocchi, Editore Feltrinelli, Milano 2014;
(16) Con il libro citato, Clarke vinse il Premio Nebula nel 1979 ed il Premio Hugo del 1980 come miglior romanzo.
Luigi Angelino