“Appunti del signor Signora ossia cronache di uno strano rione”
Tra fine Ottocento e primo Novecento, l’Europa ha avuto diverse capitali culturali: Parigi, Vienna, Berlino. Tra esse va annoverata, anche se meno nota delle altre in questa funzione, Monaco di Baviera. La Baviera, regione posta ai piedi delle Alpi, rappresenta il confine lungo il quale, anche in termini spirituali, il grande Nord abbraccia la vocazione panico-mediterranea dell’Europa.
Nel racconto la Reventlow si sdoppia nei personaggi di Maria e Susanna: la prima, meglio della seconda, fa evincere il tratto eterico e pagano dell’autrice. Schwabing è trasposta in Wahnmoching, da Wahn, sogno, vaneggiamento. Il narratore è personaggio dallo strano nome, il signor Signora: questi, vien detto, durante le riunioni dei “Cosmici” stese un diario, che costituisce la sostanza del racconto. Attorno ai personaggi principali, una serie di minori, le cui vicende rappresentano di fatto: «il conflitto che Schuler avrebbe più tardi chiamato tra “vita aperta” e “vita chiusa”» (p. 19).
Nella “vita aperta” le cose le si “sente”, le si vive, non se ne ha una semplice rappresentazione, semmai, come nella prospettiva di Klages, un’immagine. L’irruzione del cristianesimo mise fine, con l’invenzione del sovramondo, sostengono i protagonisti di questa storia, alla “vita aperta”. Non è un caso ascoltare dalla viva voce di Delius-Schuler starli polemici contro Lutero, accusato di aver tacitato la riscoperta del mondo antico realizzatasi nella Rinascenza e il suo recupero della physis e della carnalità. L’universo mentale ed interiore dei personaggi di questi Appunti è fortemente segnato dal destino stellare di Nietzsche, come ricorda il dott. Stendt, filosofo: «A Wahnmoching ognuno si è letto il suo Nietzsche, ma sappia comunque che da queste parti è considerato più lodevole avere familiarità con Dioniso» (p. 84), un Dioniso osservato con le lenti di Bachofen, erudito che intrattenne i suoi lettori sul matriarcato, riportato all’attenzione della critica proprio da Klages e fatto conoscere in Italia da Julius Evola. I “Cosmici”, George e Bachofen stesso, dopo la seconda guerra, son caduti in voluto oblio, le loro posizioni intollerabili per l’ “intellettualmente corretto”. Uno dei meriti di questo romanzo sta nell’aver riproposto i loro profili, sia pur romanzati, ad un pubblico che poco conosce di loro. Queste pagine adempiono a tale compito, non per ragioni di mera erudizione, ma a scopo evocativo: affinché il lettore possa aver contezza che il loro non fu un tentativo inane, ma un destino, le cui fila debbono essere ritessute.
Questa era la speranza dell’autrice stessa, che si augurava che qualcuno, a distanza di anni, leggendo le sue pagine, provasse meraviglia ed interesse per quanto fino al 1904, anno della definitiva divisione del gruppo dei “Cosmici”, era accaduto a Monaco. Il narrato trova sviluppo nella presentazione di feste bacchiche, di discussioni su simboli e teorie, che si tenevano in un’abitazione, centro della vita intellettuale dei “Cosmici”, detta la “Casa d’angolo”. A tali incontri potevano partecipare quanti fossero stati ritenuti degni di colloquiare con gli “enormi”, questo il termine utilizzato convenzionalmente per indicare i sodali del gruppo. Al centro dei dibattiti la convinzione che: «il paganesimo più antico inclinava a rappresentarsi la forza creatrice originaria come ciecamente partoriente» (p. 84), vale a dire in termini “femminili”. Le cose ultime, “cosmiche”, erano: «in prima linea affare della cerchia di Hallwig e Delius, e quella degli Hofmann ne partecipa […] da Hallwig e Delius si cerca di ritrovare gli dei e i culti antichi, mentre qui, presso gli Hofmann, non si sente affatto il bisogno di antichi dei, perché se ne ha uno nuovo» (p. 85), vale a dire George. Ciò portò alla separazione del Cenacolo, proprio mentre il progetto della rifondazione di una enclave pagana, nella Germania guglielmina, sembrava sul punto di realizzarsi. Il Maestro-George è poco presente nelle vicende narrate. In queste pagine egli vive, anche nei confronti dei più vicini sodali, in un atteggiamento di “sdegnoso riserbo”. Era certo che solo nella solitudine, nella distanza da possibili contaminazioni “molochitiche”, indotte dalla “vita chiusa”, sarebbe stato possibile mettere in atto i processi di purificazione utili a incontrare la sostanza originaria cosmica. Allo scopo, per tutti loro, sarebbe risultato necessario: «evitare il commercio con gli insignificanti» (p. 125). Delius-Schuler è molto più presente, sintonico con le posizioni di Hallwig-Klages, appare quale antico Romano redivivo. Egli: «presentava i morti come unica ridondante esistenza e il breve tempo della nostra vita, invece, come una specie di eccezione di essa» (p. 31). Al centro di tutto, Maria, volto moderno della Grande Madre originaria che, stando a Bachfen, aveva un tratto della Dea Fortuna: «non perché distribuisca i suoi doni a capriccio […] ma perché come la terra non coltivata si concede a caso» (p. 27).
Tale visione del mondo si fonda sull’idea: «che è dalla materia, vera mater, che nasce ogni forma, e dalla materia ogni forma viene accudita fino alla sua perfezione» (p. 27). L’ esperienza dei “Cosmici” ci invita a ridare voce alle potenze della vita, per la qualcosa è indispensabile tacitare gli inganni della “vita chiusa”, silenziare le forze ostili ad essa. Queste parlano oggi attraverso le potenze mediatiche e hanno trovato accoglienza nelle visioni futuro-centriche.
Giovanni Sessa