Quello di Fernando Pessoa è un nome ai più misconosciuto o, quanto meno, del grande poeta portoghese è sinora stata data una smorta e malaticcia immagine di esistenzialista, una sorta di corrispettivo portoghese del francese Jean Paul Sartre. Ma, a ben vedere, così non è. Quella di Pessoa, è una figura complessa dalle molteplici sfaccettature, che ben si inserisce nel panorama della cultura occidentale tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo.
E’ l’irrazionalismo, dunque, a farla da padrone in quel convulso scorcio epocale. Un irrazionalismo che, coniugato in varie maniere e secondo varie sensibilità, passa da un iniziale senso di smarrimento dinnanzi all’impetuoso incedere della Modernità, ad un uso “fuori dalle righe” del linguaggio artistico, sino all’approdo alle derive occultiste di cui sopra. Per quanto riguarda Pessoa, sin dal 1906 si hanno testimonianze scritte sui suoi interessi nei riguardi di ermetismo ed alchimia. In molti suoi scritti poetici e di prosa, egli fa riferimento ad una tradizione gnostica e neoplatonica, trasmessasi attraverso l’Ordine di Cristo, i Cavalieri Templari, sino ad arrivare ai Rosacroce ed alle moderne organizzazioni iniziatiche. Monarchico utopista, Pessoa, si inserisce nell’alveo di una forma di millenarismo portoghese che vede nel ritorno di un santo-monarca illuminato e nell’inaugurazione di un Impero universale, l’obiettivo, la panacea ai mali ed ai disagi della Modernità. In lui la personalità diviene un vuoto ed inane orpello, una delle tante manifestazioni di quell’io sovrasensibile,apollineo e dionisiaco al contempo che, espressione di sinergia tra Unità e Molteplicità, esprime sé stresso in mille modalità liriche. Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos António Mora, Alexander Search (che scrive in inglese), Vicente Guedes (che doveva inizialmente essere l’autore del “Libro dell’Inquietudine”) e il Barone di Teive (autore de “L’educazione dello stoico”), sono alcuni tra gli pseudonimi o “eteronimi”, sotto i quali Pessoa scrive, conferendo a costoro personalità e stili letterari, ben spiccati. Alexander Search, in particolare, sarà colui che, maggiormente tratterà di esoterismo.
La poesia in Pessoa è leggiadria e mistero, un soffio di sensazioni che passa accanto al lettore, ma che lascia insolute le domande sul reale senso di tali scritti e sulla personalità di chi li produce. Pessoa è, in verità, una non-persona, perché nella sua poesia cerca l’auto annullamento di sé, la liberazione dall’insopportabile fardello e limitazione di una personalità astretta e costretta nei binari di un continuo ed irrisolto oscillare tra essere e nulla, tra vita e morte, “ek-sistere”, per l’appunto, alla fine del quale e sopra il quale, dovrebbe stare la realizzazione di quel millenaristico impero dello spirito, sorretto ed animato da quelle organizzazioni iniziatiche, che in lui tanta ammirazione producevano. Pessoa conseguirà il proprio autoannullamento, il proprio liberatorio “nirvana”, a soli 47 anni, a causa di problemi epatici legati all’abuso di alcool. Il suo nome, rimane legato alla contraddizione di un’epoca, che seppe produrre grandi e contrastanti sentimenti. L’entusiasmo per la Modernità, ma anche lo smarrimento, la frantumazione dell’Io in tante personalità, quanti i punti di vista all’insegna dei quali si può interpretare un’opera d’arte, sono il lascito poetico e spirituale di Pessoa. La sua grandezza fu proprio quella di essere una e molte personalità al contempo, mostrando così la vuota inanità di un mondo, al contrario, sempre più indirizzato verso un unico, arido, modello di pensiero.
“No Túmulo de Christian RosenKreutz“/Sulla Tomba di Christian RosenKreutz”
I – “Quando, risvegliati da questo sonno, la vita,
/ Sapremo ciò che siamo, e ciò che è stata / Questa
caduta fino al corpo, questa discesa / Fino alla notte,
che a noi l’Anima ostruisce, / conosceremo allora
tutta la nascosta / verità di chi è tutto che esiste o
fluisce? / No: neppure nell’Anima libera è conosciuta
… / Né Dio, che ci creò, in Sé la include. / Dio è
l’Uomo di un Dio maggiore: / Adam Supremo, che
cadde; / Nostro Creatore, anche lui / fu creato e la
Verità gli morì… / da oltre l’abisso, Spirito Suo, La
vede; / qui non ha nel Mondo, Corpo Suo.
II – Ma prima era il Verbo, qui perduto / quando
l’Infinita Luce, già spenta, / dal Caos, piano
dell’Essere, fu alzata / in Ombra, e il Verbo assente
oscurato. / Ma se l’Anima sente la sua errata forma,
/ in sé che è Ombra, vede infine riflesso, / il Verbo
di questo Mondo, umano e unto, / Rosa Perfetta, in
Dio crocifissa. / Allora, signori della soglia dei Cieli,
/ potremo cercare oltre Dio / il segreto del Maestro e
il Bene profondo; / non soltanto qui, ma già in noi,
risvegliati / nel sangue attuale di Cristo, infine liberati
/ dal Dio che muore alla generazione del Mondo.
III – Ah, ma qui, dove irreali erriamo, / dormiamo
ciò che siamo, e la verità, / anche se alla fine in
sogno la vediamo, / vediamola perché in sogno, in
falsità. / Ombre cercando corpi, se li troviamo / come
sentire la loro realtà? / Con mani d’ombra, Ombre,
che tocchiamo? / Nostro tocco è assenza e vacuità. /
Chi da quest’Anima chiusa ci libera? / Senza vedere,
udiamo oltre la stanza / dell’essere: ma come, qui, la
porta aperta? / Calmo nella falsa morte a noi offerto,
/ il Libro chiuso messo contro il petto, / Nostro
Padre Rosacroce conosce e tace”.
Umberto Bianchi