Riprendo a esaminare le testimonianze della nostra eredità ancestrale dalla fine di gennaio 2021 anche se, come al solito, stanti i tempi tecnici della nostra pubblicazione, non so quando potrà finalmente vedere la luce.
Ricomincio, per di più, citando la pubblicazione interessata con un certo ritardo, ma sapete bene quanto sia labirintico il web, dove non è praticamente possibile tenere d’occhio tutto quanto con la tempestività che sarebbe auspicabile.
Parliamo di un articolo comparso l’8 gennaio su “The Siberian Times” a firma di Olga Gertcyk, che ci parla della ricostruzione che gli antropologi hanno recentemente portato a termine, delle fisionomie di quello che hanno chiamato il “Tutankhamon siberiano” e della donna che era sepolta con lui, verosimilmente la compagna, in ragione del ricco corredo funebre con cui sono stati inumati. La ricostruzione ha coinvolto due team di ricercatori, dell’Istituto di Etnologia e Antropologia Miklukho-Maklai di Mosca e dell’Istituto di Archeologia ed Etnografia di Novosibirsk.
I resti provengono dal tumulo scitico di Arzhan-2 e risalgono a 2.600 anni fa, e presentano una fusione di tratti caucasici e mongolici, maggiormente caucasico l’uomo, con una fisionomia più “orientale” la donna. L’uomo era probabilmente un capoclan scita, un guerriero, e la ricchezza del corredo funebre ne evidenzia l’autorevolezza goduta in vita, ma appare difficile che la sua sepoltura possa avere almeno nel cosiddetto “Occidente” la stessa rinomanza della tomba di Tutankhamon. Sappiamo che nella “nostra” archeologia è diffuso quello che possiamo definire un pregiudizio anti-europeo, da cui non è esclusa la Siberia, appendice asiatica della Russia, eppure è proprio qui che negli ultimi anni stanno avvenendo le scoperte più interessanti.
Veniamo finalmente alle notizie di quest’ultima parte del mese. Il 25 gennaio un breve articolo non firmato su “Business Insider Italia” (che, abbiamo già visto, si occupa talvolta di tematiche archeologiche), ci parla del ritrovamento di uno splendido pugnale di cristallo risalente a 5.000 anni fa in una tomba di Montelirio in Spagna, Data la fattura dell’oggetto, è probabile che non fosse destinato a scopi pratici ma a un uso rituale, tuttavia, basta osservarlo per comprendere che esso contraddice totalmente l’idea degli europei di 5.000 anni or sono come dei rozzi barbari che ci vengono spesso dipinti.
Finalmente per il 26 gennaio sono in grado di darvi una notizia che riguarda non soltanto l’Italia ma la mia regione, il Friuli Venezia Giulia, infatti stando a quanto riferisce un articolo su “ArcheoMedia” (che riporta in luogo della firma la dicitura “Fonte: Comune di Udine”), durante i lavori di restauro conservativo dello storico palazzo Dorta ubicato ai piedi del Castello cittadino, sono emersi i resti di un’abitazione protostorica risalente all’Età del Bronzo (1.300-1.200 avanti Cristo).
La cosa di maggiore interesse, tuttavia è forse il ritrovamento dei frammenti di ceramica rinvenuti a un livello corrispondente al pavimento di quest’abitazione, alcuni di essi sono di vasi di fattura centroeuropea. Gli antichi friulani che l’hanno abitata avevano dunque probabilmente contatti commerciali ad ampio raggio, un altro fatto che, non meno del pugnale spagnolo, contraddice l’immagine di questa remota Europa come rozza e barbarica.
Il sito in questione si chiama “Povestea Locurilor” (povestea.locurilor.ro) e l’articolo, firmato Daniel Rosca è del 18 novembre 2020, e ci parla delle Rune carpatiche. Si parla infatti di iscrizioni, ma non solo di quelle. Apprendiamo che a Lepenski Vir sulla sponda serba del Danubio, sono state trovate le tracce di ben 136 costruzioni fra cui parecchi altari votivi – il sito era probabilmente un luogo sacro – e deve essere stato frequentato a lungo perché le fondazioni più antiche risalirebbero all’8.000 avanti Cristo, mentre le ceramiche più recenti sono state datate al 5.000 a. C. Fra gli oggetti in ceramica sono state ritrovate delle uova calcaree con serpenti incisi (dei Fabergé preistorici?). Sono stati trovati 35 segni incisi che presentano una somiglianza con quelli delle tavolette di Tartaria (cultura del Danubio), alcuni dei quali sono gli stessi delle tavolette di piombo ritrovate a Sinaia (Romania). Si tratta di pittogrammi che non siamo in grado di tradurre, ma che rappresentano un sistema di scrittura di almeno duemila anni più antico dei più antichi pittogrammi sumerici.
A parte la priorità nell’invenzione della scrittura, è importante capire una cosa: la creazione di un insediamento o di un luogo di culto stabili sono al di fuori della portato di cacciatori-raccoglitori, per due motivi, prima di tutto perché costoro devono dedicare tutte le risorse a procacciarsi la sopravvivenza e non dispongono di alcun surplus, e secondariamente perché queste popolazioni esauriscono rapidamente le risorse di una zona e sono costrette a un’esistenza nomade di continui spostamenti che non permette loro di creare insediamenti stabili. È probabile che questi antichi carpatici di dieci millenni or sono avessero già raggiunto lo stadio dell’agricoltura e della pastorizia. Ne esce indubbiamente un’immagine dell’Europa preistorica molto diversa da quella a cui ci hanno abituati.
Diverse migliaia di anni fa è accaduto qualcosa in riva al Danubio, qualcosa che i libri di storia non ci vogliono raccontare, che gli storici ci nascondono: ciò che noi chiamiamo civiltà è nato verosimilmente lì, non in riva al Nilo, né all’Eufrate né al Tigri.
In relazione a ciò, c’è un’altra storia che è venuto il momento di raccontarvi: quella dell’uomo di Varna. L’anno scorso era comparso al riguardo un articolo su “Ancient Origins”, ma trattandosi di un articolo piuttosto datato, di quelli che ogni tanto vengono rimessi in apertura del sito, non ve ne avevo fatto menzione, anche perché tutti voi che mi avete seguito, avete visto quale diluvio di nuove scoperte e informazioni sulla nostra eredità ancestrale c’è stato nel 2020.
Ultimamente, su questa scoperta riguardo alla quale ci sono così poche informazioni, mi ha chiesto lumi una persona con cui sono in corrispondenza, mia figlia Alessandra, a seguito della visione di un filmato sull’argomento apparso su You Tube lo scorso dicembre. Il filmato, ho appurato, è di “Vanilla Magazine” che, parallelamente allo stesso, ha pubblicato sul proprio sito anche un ampio articolo sull’argomento a firma di Matteo Rubboli.
In effetti la sepoltura dell’uomo di Varna è soltanto una delle 294 tombe risalenti al quinto millennio avanti Cristo rinvenute nella necropoli di Varna nell’attuale Bulgaria, è va tenuto presente che, sebbene la scoperta sia avvenuta negli anni ’70, gli archeologi stimano che il 30% della necropoli sia ancora inesplorato.
I resti nella sepoltura n. 43, quelli dell’ “uomo di Varna”, sono quelli di un uomo adulto che si suppone fosse un personaggio autorevole, a giudicare dal ricco corredo funebre che li accompagna, che ne fa una delle più ricche sepolture preistoriche mai scoperte in qualsiasi luogo, bracciali, anelli, oggetti di oreficeria che sono i più antichi oggetti in oro mai scoperti al mondo, prodotti di tecniche di oreficeria all’epoca del tutto sconosciute in Egitto o in Mesopotamia, testimonianze di una cultura avanzata, la cultura di Varna, appunto, più antica di quelle della Mezzaluna Fertile e della Valle del Nilo.
Il sito della necropoli fu scoperto per caso nel 1972 da un operaio, Raycho Marinov, che probabilmente era impegnato in lavori di tutt’altro tipo. Ora voi tenete presente che le tavolette di Tartaria, contenente i primi esemplari di scrittura conosciuti al mondo, furono ritrovate nel sito di Turda in Romania un decennio prima. Dal 1972 e ancora di più dal decennio precedente, di acqua sotto i ponti ne è passata un bel po’, ma queste informazioni capaci di rivoluzionare l’immagine che noi abbiamo del nostro passato e di noi stessi, restano al massimo confinate a una ristretta di specialisti, mentre la scuola, l’università, il sistema mediatico, i testi divulgativi, continuano a ripetere fino alla nausea le solite favole mediorientali.
Voi ricorderete che altre volte su queste pagine ho ironizzato sul muro di gomma che sembra circondare queste scoperte, un coverage nemmeno si trattasse di segreti militari. Beh, pensandoci bene, c’è poco da scherzare, queste informazioni sono appunto dei potenziali strumenti di guerra. Per il sistema che ci domina, è essenziale tenerle quanto più possibile celate, per mantenere la dipendenza psicologica di un’Europa che si crede tributaria del Medio Oriente, grazie alla visione del mondo giudeo-cristiana, che è una causa e forse la causa principale della sua debolezza.
Parliamo di quello che è sempre stato il nostro fedele amico e compagno dell’avventura dell’uomo nella sua espansione su questo pianeta, il cane. Il cane, lo sappiamo, deriva dall’addomesticamento del lupo, un addomesticamento molto antico avvenuto già nel paleolitico, e che deve essersi verificato più volte in diversi luoghi.
Di cani ci parla un articolo pubblicato il 25 gennaio da “The Archaeology News Network” che cita come fonte la Durham University.
Un team internazionale di ricercatori guidato da Angela Perri di questa stessa università inglese (a parte il nome italiano non si può non notare la bizzarra coincidenza, perro in spagnolo significa cane), ha studiato il genoma dei cani dei nativi americani, giungendo a un’interessante conclusione: questi animali non sono perlopiù imparentati con il lupo americano, ma con i cani e i lupi della Siberia orientale, sono il frutto di un addomesticamento avvenuto circa 23.000 anni fa, prima che gli antenati dei nativi americani varcassero il ponte di terra della Beringia entrando nel Nuovo Mondo.
Si pensa invece che, impiegato per la caccia, per la guardia agli accampamenti, per il traino delle slitte, il cane sarebbe stato per gli amerindi uno strumento essenziale per la conquista del duplice continente. Va notato anche che questa ricerca colloca l’inizio del popolamento delle Americhe attorno ai 15.000 anni fa, cioè tre millenni prima della data finora generalmente ammessa.
Il 30 gennaio su “Ancient Origins” Aleksa Vuckovich ci parla di Drust I, sovrano dei Pitti. Quello che sappiamo dei Pitti è veramente poco, se non che questi antichi scozzesi erano estremamente combattivi e che i Romani, non riuscendo a sottometterli, eressero il vallo di Adriano per mettere le terre da loro conquistate al riparo dalle loro incursioni. Sappiamo anche che il nome Pitti, dato loro dai Romani (Picti in latino), deriva dalla loro usanza di dipingersi la faccia al momento di scendere in battaglia.
Possediamo tuttavia alcune liste di re pitti, e da queste una figura che è messa in particolare rilievo è quella di Drust I, figlio di Erp, che avrebbe regnato dal 412 al 452. Leggendario combattente, Drust era noto come “re delle cento battaglie”. Fu colui che, una volta iniziato il ritiro delle legioni romane dalla Britannia, cominciò a lanciare i Pitti in una serie di scorrerie sempre più in profondità oltre il vallo di Adriano. E qui si apre un capitolo davvero interessante, perché è proprio per fermare i Pitti di Drust, che i Britanni cominciarono a reclutare mercenari sassoni, dando inizio all’invasione anglosassone dell’Isola.
È un ulteriore esempio di qualcosa che abbiamo già visto più volte nella storia: I Romani del tardo impero non avevano più voglia di fare il militare, e cominciarono a ingaggiare al loro posto barbari germanici, col risultato che i Germani divennero i loro padroni e posero fine all’impero. Gli Arabi del periodo califfale fecero la stessa cosa con i Turchi, e il risultato fu che l’impero Ottomano si sostituì al califfato arabo come potenza dominante del mondo islamico, i Turchi divennero i loro dominatori. I ricchi mercanti degli stati comunali italiani del tardo medioevo, non avendo voglia di provvedere alla propria difesa, ingaggiarono sempre di più le compagnie di ventura di mercenari, e i capitani di ventura, almeno quelli più audaci e fortunati, finirono per diventare i Signori e le signorie sostituirono a poco a poco gli stati comunali.
La lezione è ben chiara, e vale per l’oggi e per il futuro come valeva per il passato: chi porta le armi è destinato prima o dopo a prendere il potere, E’ il potere.
Rimaniamo su “Ancient Origins” che il giorno seguente, 1 febbraio presenta un nuovo articolo sempre di Aleksa Vuckovic, questa volta dedicato a uno dei personaggi più importanti del ciclo arturiano: Lancillotto.
La Vuckovic fa osservare che negli ultimi anni le ricerche si sono concentrate soprattutto su Artù, gli altri personaggi della Tavola Rotonda sono stati alquanto trascurati, tuttavia la conclusione dell’articolo risulta un po’ deludente, infatti se per Artù abbiamo delle fonti molto antiche come le Triadi Bardiche e l’Historia regum Britanniae e soprattutto l’Historia Brittonum di Nennio che è di poco posteriore agli eventi narrati, e ha quindi buona probabilità di rispondere agli effettivi eventi storici, per quanto riguarda Lancillotto, compare per la prima volta nel poema Erec et Enide scritto da Chretien de Troyes nel 1170, è dunque probabile che si tratti di un personaggio semplicemente letterario.
Sempre su “Ancient Origins” compare il 2 febbraio un articolo di Gary Manners dedicato ai complessi nuragici della Sardegna. Poiché dell’argomento ci siamo occupati molte volte su queste pagine, adesso non entrerò nei dettagli, se non per dirvi che l’articolo si occupa dei complessi nuragici di Barumini (È ovvio, trattandosi del più vasto, una vera e propria “città nuragica”), Palmavera, Santu Antine, Nuraghe La Prisgiona (Arzachena), Nuraghe Losa, e la struttura megalitica nota come Tomba di Giant. Manners comunque precisa che in tutta l’isola ci sono circa 3.000 nuraghi risalenti all’Età del Bronzo dal 18° al 3° secolo avanti Cristo.
Come sempre, non si può non osservare con dispiacere che sembrano essere gli stranieri più che gli Italiani a essere interessati alla ricchezza di tesori archeologici di cui l’Italia dispone.
Io penso che mai come questa volta, questo giro d’orizzonte di questo incipiente 2021 ci abbia fatto toccare con mano la grandezza e l’antichità della civiltà europea, non solo, ma, ed è un fatto propriamente politico, l’importanza di essere europei, di appartenere a una cultura che non possiamo permettere sia cancellata nell’indistinto grigiore che il NWO vorrebbe imporre dovunque.
NOTA: Nell’illustrazione, ricostruzione dei lineamenti del guerriero e capotribù scita noto come il “Tutankhamon siberiano” e della sua compagna (da “Siberian Times”).
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