8 Ottobre 2024
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Qualcosa d’altro: i racconti di Gianfranco de Turris 1986-2000 – Giovanni Sessa

 L’ultima fatica di Gianfranco de Turris, Qualcosa d’altro. Racconti 1986-2000, nelle librerie per Bietti, è opera davvero importante. Nelle sue pagine de Turris ha trasferito una messe enorme di letture, una sorta di borgesiana Biblioteca di Babele del fantastico, rielaborata in modo originale e trasferita al lettore in una prosa affabulatrice e coinvolgente.

Il volume è preceduto da un saggio introduttivo di Giuseppe O. Longo, mirato a cogliere l’ubi consistam della produzione fantastica dell’autore, e da una postfazione di Alessio de Giglio (per ordini: 02/29528929, pp. 260, euro 16,00). Si tratta della raccolta di racconti scritti e pubblicati da de Turris tra il 1986 ed il 2000. Alcuni di questi testi li avevamo già letti: collocati nella silloge hanno assunto un significato diverso, in quanto essi ora evidenziano la compiutezza e organicità contenutistica e compositiva, atta a concedere coerenza teorica all’iter narrativo dello scrittore. I racconti, come precisato da Longo, pongono il lettore di fronte al perturbante: «a tutto ciò che dovrebbe restare segreto, nascosto, e invece affiora» (p. 7). L’autore fa emergere dalle cose che ci circondano, dal nostro quotidiano: «un mondo altro […] una realtà invisibile ma più vera di quella ordinaria» (p. 8). Gli ambienti in cui le vicende si svolgono, hanno tratto panico-mediterraneo: spiagge desolate, ambienti canicolari, dune di sabbia che risplendono sotto il sole, calette e scogliere, oppure paesaggi innevati. A tutta prima, si potrebbe sostenere che de Turris  abbia dato inizio ad un nuovo genere del fantastico: di contro al “gotico nordico”, egli presenta il “gotico mediterraneo”, rinviante ad un Altrove, comunque, dissonante rispetto al presente. In realtà, a noi pare che lo scrittore abbia realizzato un’operazione più raffinata: il recupero delle radici italiane del fantastico. Esse risalgono al diciassettesimo secolo, al caleidoscopico universo messo in scena ne, Lo cunto de li cunti da Giambattista Basile. Che caratteristiche presentava quel “mondo alla rovescia”? Rispondiamo con le parole del filosofo Massimo Donà: «Alterazioni della normale catena causale, parole magiche e fate che sorvegliano le buie entrate del mondo sotterraneo e dove il possibile e l’impossibile si davano convegno in una medesima vicenda (Di un’ingannevole bellezza, Bompiani, p. 46). In esso si diceva, soprattutto, come nei racconti di de Turris, della duplicità dionisiaca dell’essere, della prossimità di orrido e bello, di vita e morte. Tale tratto del fantastico nazionale si è riverberato fino al Novecento. Si pensi a Buzzati, autore al quale abbiamo pensato dopo aver chiuso l’ultima pagina di, Qualcosa d’altro.

Lo scrittore bellunese sapeva che il mistero, l’irrisolvibile enigma della vita, è sempre davanti ai nostri occhi. Si pensi al suo racconto che ha per protagonista una goccia d’acqua che, sottraendosi alle leggi della fisica, sale le scale! La letteratura fantastica italiana è sorta attorno alla consapevolezza, tutta shakespeariana, che le cose non sono mai quello che dicono di essere e la loro “sostanza” è il sogno! Il libro di de Turris è articolato attorno a tale visione.

Nei racconti, inoltre: «sono quasi sempre adombrate esperienze personali […] Gli spunti sono nati quasi sempre da sensazioni ed esperienze […] dalla suggestioni di luoghi, persone ed eventi insoliti» (p. 244). Sia chiaro, la vera protagonista del narrato è la natura, la physis, esperita nella sua ambiguità di potenza creatrice e distruttrice. Essa è il “luogo” nel quale il Principio si concede e, allo stesso tempo, si sottrae, in un gioco cosmico di continui rimandi. Lo si evince con chiarezza in Meridies, racconto nel quale sono incastonate gemme letterarie tratte dalle Bucoliche. Nell’assolato pomeriggio estivo, tra campi di grano ed avena, il protagonista segue strani movimenti d’aria che si mostrano tra le spighe. Giunge presso i resti di un antico ponte e scopre un’iscrizione rinviante al Genius loci degli Equi, che avevano abitato quell’area prima dell’arrivo dei Romani. L’atmosfera panica, rende il personaggio partecipe di qualcosa di indefinibile, lo apre al Principio agente nella realtà.

In Ferragosto, il lettore si trova, invece, al cospetto dell’inaspettata prossimità del perturbante. E’ la storia di un uomo che spera di godere di libertà e solitudine, in quanto la moglie, come ogni anno, parte per le ferie. Solo le telefonate della donna, indotte dalla gelosia, avrebbero potuto distrarlo dal meritato otium. Si approvvigiona, per evitare inutili uscite, di un numero rilevante di scatole di carne. Oggetto usuale, inoffensivo, simbolo della modernità. All’improvviso, prova una sensazione inquietante: gli pare di essere assediato e circondato. Un rumore sordo, proveniente dalle scatole, aumenta di intensità e la carne inizia a  uscire dai contenitori, spandendosi sul pavimento. Lo strano materiale rosato aumenta di volume, al centro sembra palesarsi una bocca. L’uomo si ricorda della pubblicità: «Meat vi piacerà e voi piacerete a Meat! Diventerete inseparabili», ma non fa in tempo ad avvedersi che due enormi fauci si spalancavano ormai davanti a lui… Centrale e bellissimo il racconto, Il vecchio che camminava lungo il mare. Il protagonista, incuriosito da un vecchio che sulla battigia, da trent’anni, raccoglieva pezzi di vetro levigati dal mare, vuole saperne di più. Si reca, pertanto, alla baracca dell’uomo, che pareva attenderlo. Questi gli rivela il proprio segreto: stava costruendo con quei vetri l’immagine del proprio Paradiso perduto, quello a cui solo lui era destinato e che avrebbe raggiunto di lì a poco, a lavoro concluso. Trovare la “porta” verso l’Altrove, questo il senso della vita. In, Spettacolo di marionette, de Turris mette in luce la struttura profonda della temporalità, la sua dimensione ciclico-sferica e non lineare. Lo fa presentando una storia d’amore intrecciata alla ricerca, dai tratti onirici, del Necronomicon da parte di un cronista, in una libreria antiquaria di Roma.

L’impossibile si mostra in modo esemplare nelle pagine di, Autobus, in cui si narra di un bus del servizio pubblico sul quale, in un giorno di sciopero, salgono dalla porta posteriore un numero considerevole di persone, ma quelle che scendono, spariscono alla vista del narratore. Per di più: «L’autista crumiro guidava imperterrito ma davanti a lui […] Francesco non vide nulla. C’era soltanto il vuoto» (p. 39). Ne, Il manoscritto trovato in un cimitero di automobili, emerge un’evidente critica del macchinismo moderno. La modernità quale epoca di pauperismo spirituale, come ha scritto de Giglio, de Turris cerca di sconfiggerla: «con la parola, che mette l’essere “in relazione”, spinge fuori dall’isolamento e trasmette il vissuto personale, l’emozione […] come la “nostra” tradizione» (p. 258).

Ci auguriamo, allora, che questa silloge narrativa non sia l’ultima firmata da de Turris, né prova finale di un solitario pessimista. In sintonia con lui, siamo convinti della possibilità dell’impossibile.

Giovanni Sessa

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