Goethe è stato, per la cultura europea, un vero e proprio magnete. Con lui si sono confrontati intelletti di primo piano del XIX e del XX secolo. Solo per fare dei nomi: Hegel, Schelling, Nietzsche, George, Löwith. Anche il padre dell’antroposofia, Rudolf Steiner, come riconobbe James Webb, ha avuto nel «genio di Weimar» un punto di riferimento essenziale.
A quest’idea della vita cosmica il romantico era giunto anche attraverso i lavori d’alchimia, messi a punto con la collaborazione della von Klettenberg e grazie alla lettura di Paracelso. Rimase vincolato, per breve lasso di tempo a questo rapporto mistico con le forze della natura: anche se in lui mai venne meno l’idea dell’universo quale immenso organismo. Individuò nel meccanicismo di Holbach il nemico da battere in tale ambito di studi. Si diede alla botanica, indottovi dai lavori che conduceva nel giardino donatogli dal Duca Carlo Augusto. Passava intere giornate, inoltre, nella foresta di Turingia: qui apprese ad amare muschi e licheni. Lesse Linneo, il cui metodo classificatorio riteneva dovesse essere integrato dalla ricerca di quel quid che si mostra invariato nelle molteplici forme vegetali. Della «pianta originaria» trovò conferma in osservazioni condotte nei suoi viaggi, in particolare in Italia. Egli riconobbe che, in questa «forma fondante»: «risiede la possibilità di infinite variazioni, per cui dall’unità deriva la molteplicità» (p. 15).
Con tale «tipo» la natura gioca, dando luogo alla molteplicità della vita. A differenza di Darwin, che considera inesistente, data la presenza constatabile della variabilità degli aspetti esteriori del mondo vegetale e animale, la dimensione costante della natura, Goethe va alla ricerca di quest’ultima, scoprendo: 1) Il «tipo», vale a dire la legge che si manifesta negli organismi (l’animalità dell’animale); 2) l’azione reciproca di interazione tra organismo e natura inorganica (adattamento e lotta per l’esistenza). Darwin si era fermato solo a quest’ultimo aspetto. Goethe nel 1790 espose la sua teoria della metamorfosi: «Questo concetto è quello di un alterno espandersi e restringersi» (p. 21) degli enti. Nel seme la pianta è contratta. Con le foglie avviene il suo primo espandersi. Nel calice, le forze tornano a contrarsi in un punto assiale, mentre la corolla testimonia una nuova espansione. Stami e pistillo sono espressioni della successiva contrazione, il frutto dell’ultima espansione vegetale, che cela in sé il nuovo seme. Si tratta di un processo di entelechia ciclica. Per quanto attiene alle differenze tra mondo animale ed umano, la scienza di allora riteneva che solo gli animali avessero, tra le due parti simmetriche della mascella superiore, l’osso intermascellare. Goethe, nel 1784, mostrò l’inanità di tale tesi. Ciò implicava che gli elementi: «distribuiti negli animali, si riuniscono in armonia nella figura umana» (p. 35). La cosa era già stata colta dal nostro negli studi di fisiognomica, in cui la struttura ossea del corpo umano rinviava alla posizione preminente del capo, indicante, sotto il profilo simbolico, il destino spirituale, non cosale dell’essere umano. Insomma, per Goethe, negli organismi: «Tutte le qualità sensibili appaiono […] come conseguenze di una condizione che non è più percepibile coi sensi» (p. 47). Ad essa lo studioso giunse attraverso quella che Spinoza aveva definito conoscenza di terzo genere, la scientia intuitiva. Infatti, ricorda Steiner, il deus sive natura di Spinoza è il contenuto ideale del mondo, è dio che si dà negli enti, per la qualcosa la physis è vivificata dall’interno, dall’idea. Mentre il concetto dell’intelletto è somma osservativa, analitica, l’idea è risultato dell’esperienza diretta, non mediata della ragione. Si tratta, sostiene Steiner, di idealismo empirico. Goethe riconobbe al pensiero, in colloquio con i grandi nomi dell’idealismo, la facoltà di portarsi oltre il sensibile, la capacità di cogliere l’idea quale «forma» della natura: «La percezione dell’idea nella realtà è la vera comunione dell’uomo» (p. 84). Si tratta di un processo di cosmizzazione dell’umano.
Tale ricerca dell’idea, Goethe applicò alla molteplicità delle percezioni dei colori. Egli comprese che base di ogni colore è la luce: i colori sono modificazioni della luce. Ciò che modificava la luce facendo percepire i diversi colori, era: «la materia priva di luce, l’oscurità attiva […] Così ogni colore gli divenne luce modificata dalla tenebra» (p. 213). Luce e tenebre sono idee spirituali. Goethe, riconosce Steiner, ha indicato una scienza altra rispetto a quella newtoniana, centrata sulla visione meccanicistica. La sua è una sorta di «fisica speculativa», le cui fila, dopo Schelling e Fechner, pochi altri hanno avuto l’intrepidezza intellettuale di rafforzare. Di fronte alla devastazione della natura che il Gestell sta mettendo in atto, è forse questo il momento di guardare a Goethe e alla sua naturphilosophie, con maggiore riguardo.
Giovanni Sessa
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