di Michele Rallo
L’ultimo chiodo sulla bara dell’Europa si chiama Zona di Libero Scambio. Con gli Stati Uniti, naturalmente. Il progetto — nella sostanza — risale ad almeno 100 anni fa: in mezzo, due guerre mondiali per diffondere la democrazia in Europa, una guerra fredda per difendere la democrazia in Europa e — adesso — una valanga di guerricciole e rivoluzioncelle localiste per esportare la democrazia nel mondo arabo. In tutto ciò, in verità, la democrazia non c’entra proprio per niente. C’entra, invece, il progetto degli Stati Uniti di invadere con la loro produzione agricola e industriale (e con i loro capitali) tutti i mercati mondiali e — in primis — il ricchissimo mercato europeo. D’altronde, gli americani non si sono nemmeno curati di nascondere il loro disegno. Nel lontano 1918 lo mise nero su bianco l’allora presidente statunitense Woodrow Wilson, codificandolo al terzo di quei famosi “18 Punti” che costituivano il manifesto ideologico della partecipazione americana alla prima guerra mondiale: «Soppressione, fino al limite estremo del possibile, di tutte le barriere economiche, e creazione di condizioni di parità nei riguardi degli scambi commerciali fra tutti i paesi che aderiranno alla pace e si uniranno per il mantenimento di essa.»
Allora, non fu possibile realizzare questo fatidico terzo punto: fu necessaria una seconda guerra mondiale per liquidare l’opposizione dei nazionalismi europei e, successivamente, un lungo braccio di ferro per abbattere la superpotenza russa. Adesso, una volta caduto il muro di Berlino e depotenziate le economie del Vecchio Continente attraverso la creazione di una masochistica Unione Europea, i tempi sembrano maturi per tentare l’affondo decisivo: la creazione di una Zona di Libero Scambio che possa abbattere le ultime barriere sopravvissute al rincoglionimento generale della globalizzazione economi-co-finanziaria.
L’operazione era stata già tentata ai danni dei paesi sudamericani, che gli strateghi di Washington avrebbero voluto vincolare agli USA con una Zona di Libero Scambio delle Americhe; ma i capi “latinos” avevano fiutato la fregatura ed avevano stoppato l’iniziativa. La classe dirigente europea, invece, naviga oggi in un mare di obbediente rassegnazione: ha accettato come inevitabili la globalizzazione economica, la rinunzia a battere moneta ed il ricorso ai prestiti della speculazione finanziaria, il massacro dello Stato sociale, l’invasione programmata di una immigrazione “a orologeria”… ha fornito le truppe ausiliarie per destabilizzare il mondo arabo, ha subìto in silenzio tutte le angherie dei “liberatori” (ultima in ordine di tempo quella dello spionaggio nelle comunicazioni), ha accettato perfino di sequestrare di fatto l’aereo del Presidente della Bolivia in spregio ad ogni norma di civiltà diplomatica.., e volete che questa classe dirigente europea non sia disposta ad offrire anche l’ultima prova d’amore al potente alleato? Quella prova d’amore che i discolacci sudamericani hanno avuto l’ardire di rifiutare e che noi — grati — siamo invece ansiosi di fornire. E pazienza se, in questo modo, andremo ad abolire gli ultimi dazi doganali che ancora offrono un minimo di tutela alla nostra produzione, specie a quella agricola. Mi sembra giusto. Quei bravi cowboys hanno fatto due guerre mondiali per liberarci, e noi non vogliamo sacrificare in loro favore neanche quattro arance e qualche piede d’olivo?
Nota di Ereticamente
Ringraziamo l’Autore per l’invio. L’articolo è stato pubblicato in cartaceo sul periodico Social di Trapani
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