Una delle grandi tematiche che toccano da vicino l’intero ambito delle cosiddette “scienze iniziatiche”, è rappresentato da quelle che, generalmente, vengono definite “vie della realizzazione del Sé”, ovverosia le migliori modalità per raggiungere quello stato di perfetta equilibratura interiore che, di queste scienze dovrebbe rappresentare lo scopo finale. Cominciamo con il dire, anzitutto, che tale stato di perfetto equilibrio realizzativo, in tutte queste forme di sapere, trova la propria massima realizzazione nel pervenire, dopo un determinato percorso iniziatico, alla coincidenza del “Sé” dell’iniziato con la sfera del sovrasensibile e, più esattamente, con la dimensione della trascendenza, con l’Assoluto. Ma qui si pone immediatamente un problema di ordine ontologico, costitutivo. Cosa si intende con il voler far coincidere il proprio “Sé” con l’Assoluto? Il disperdersi del proprio “io”, rendendolo parte della sostanza divina, sino a confondersi con essa, come una goccia d’acqua nell’immensità del mare o, invece, all’incontrario, assurgere ad un diverso e superiore stato ontologico, mantenendo intatto quello stesso “io”, sino a farlo assurgere allo status di autonoma entità divina? A prima vista, questa potrebbe sembrare una domanda folle, frutto di una qualche strana paranoia occultista da parte di chi scrive ma, a ben vedere, la domanda ha un suo ben preciso e calibrato fondamento. Questo ci riporta, giuocoforza, alla necessaria distinzione tra misticismo ed esoterismo, ambedue intese quali modalità di pensiero.
Nella prima, il credente si abbandona in modo acritico ad una determinata fede, mirando a raggiungere, attraverso la pratica religiosa, uno stato di estatico abbandono del proprio “sé”, nel mare magnum della sostanza divina, sino ad arrivare al proprio auto annullamento. Al contrario, nel secondo caso,il miste si pone di fronte all’Assoluto con un atteggiamento attivo, volto attraverso il percorso di varie tappe, a pervenire ad una maggior coscienza del proprio sé, tale da conseguire quello stato di superiorità ontologica o “indiamento”, coincidente con la propria divinizzazione. Motivo questo, che da sempre traspare in tutte quelle vie realizzative prospettate dalle varie forme di conoscenza “esoterica”. Una distinzione questa, operata in linea di massima ma che, non sempre è così netta e definita, anzi. In molti casi, si tende a confondere ed a mischiare queste due modalità di pensiero,creando così non pochi fraintendimenti a riguardo. A questo proposito, non possiamo non citare due autori che, su questa tematica, con i loro chiarimenti, rappresentano tuttora un valido caposaldo da cui partire, per addivenire ad una visione più chiara e nitida, dell’intera “vexata quaestio”. Renè Guenon e Julius Evola, sebbene ambedue rappresentanti di quel pensiero “perennialista” che, dall’inizio del Novecento muoverà i propri decisi passi verso una più decisa elaborazione e strutturazione teoretica, attraverso autori come Coomaraswamy, Steiner, Tilak, Kremmerz, Schuon ed altri ancora, riguardo a quanto stiamo trattando, presentano delle decise e non irrilevanti differenze.
La prima delle quali va a toccare il rilievo e la primogenitura che, dai due, viene data alle due caste che, rispettivamente stanno al vertice della piramide sociale del mondo “tradizionale”, ovverosia i rappresentanti della casta sacerdotale (i brahmini hindu…) ed i rappresentanti della casta regale e guerriera (gli kshatryia, sempre in ambito hindu…). I primi, a causa della loro funzione di naturali depositari del culto, sono titolari di una impostazione dalla doppia valenza, sia mistica che esoterica ed iniziatica, alla quale il Guenon riconosce un carattere di assoluta primogenitura e supremazia rispetto alle altre caste. Al contrario in Evola, invece, la supremazia spirituale, conseguita attraverso la sapienza esoterica, spetta alla casta regale e guerriera che, differentemente con quanto accade con la casta sacerdotale, interpreta questa sapienza con una modalità “regale” e “guerriera”, in grado di produrre quel potenziamento, tale da condurre il proprio “Sé” al contatto diretto con la dimensione del sovrannaturale ed al proprio consequenziale, “indiamento”. A tal proposito, Evola a proposito dell’Ermetismo da lui associato alla pratica alchemica, ci sottolinea il senso del termine “Arte Regia”, appunto usato per queste discipline.
Da questa prima, ma fondamentale linea divisoria tra i due autori, derivano tutta una serie di differenze che non possono esser sottaciute; né tantomeno, può esser sufficiente il fatto che i due autori, dopo un iniziale periodo di diffidenza, si stimassero reciprocamente, sentendosi accomunati nel medesimo fronte di lotta alla Modernità ed alle sue degenerazioni. Guenòn accomuna e conferisce pari dignità alle grandi narrazioni religiose quali, Cristianesimo, Islam, Induismo e via discorrendo, ritenendole tutte espressioni derivate di una unica Tradizione “primordiale”. Evola, invece, ritiene il Cristanesimo, una espressione religiosa tipica della fase di “decadence” del mondo occidentale. E nonostante le quanto mai frettolose e reiterate affermazioni, su un suo appiattimento ed allineamento alle posizioni guenoniane, a tal riguardo, in lui, riguardo alla dottrina cristiana, permarranno sempre un malcelato senso di diffidenza e disprezzo. Nel suo famoso “non possiamo non dirci cattolici…”, a trasparire non è tanto una sua tardiva conversione al Cristianesimo, quanto l’ammirazione per lo spirito guerriero che caratterizzò l’Ecclesia Cattolica durante il Medio Evo. Spirito che, lo stesso Evola, definisce abissalmente lontano da quello che, invece, anima e sostiene il Cristianesimo delle origini ed, ancor più, quello della attuale Modernità.
Se Guenon, da ortodosso e rigido studioso delle discipline della Tradizione, vede nell’iniziazione il “sine qua non”, senza il quale non è possibile un serio approccio ad un qualsivoglia percorso iniziatico, all’incontrario Evola a riguardo, si pone in un’ottica di radicale indifferenza per tale momento, ritenendolo quasi superfluo, contando per lui l’impostazione e l’atteggiamento esistenziale da tenersi nei riguardi della Modernità; atteggiamento che, naturalmente, ha il suo naturale presupposto in quell’opera di “realizzazione” e “centratura” del “Sé”, di quella pulsione ad un suo “indiamento”, senza la quale non si può capire il senso dell’intera opera evoliana. Stesso discorso, per quanto attiene le dottrine Hindu. Se Guenon guarda alle Upanishad ed in particolare al Vedanta, incentrato sul graduale raggiungimento dello stato di Atman o Io sovrasensibile, Evola guarda invece al Tantra Yoga o Via della Mano Sinistra, che, attraverso pratiche realizzative “estreme”, tramite un mix di sessualità e di particolari forme di meditazione, ha come scopo il potenziamento del “Sé” del miste.
Comunque sia, alla base di tutti gli esempi qui riportati, sta la sostanziale differenza tra misticismo fideistico e ricerca iniziatica. La qual cosa, però, non deve neanche indurci a pensare che i due atteggiamenti non possano convivere, anzi. La pratica fideistica, il misticismo, costituiscono un ottimo viatico, per addivenire ad una più approfondita ricerca ontologica e ad un lavoro su proprio “Sé” che, invece, è propria delle ricerca iniziatica. Difatti, generalmente, in quei contesti in cui ci si trova di fronte a consolidate tradizioni religiose, accanto alla pratica fideistica, è tranquillamente presente una forma di conoscenza misterica o sapienziale che dir si voglia. Così come la “paganitas” classica, conobbe i misteri eleusini e l’Orfismo, in egual modo, nell’ambito della contemporaneità, religioni come l’Induismo, il Buddhismo, ma anche lo stesso Islam e l’Ebraismo, presentano al proprio interno, insegnamenti esoterici di vario tipo.
In Occidente, invece, il plurisecolare processo di inaridimento delle fonti spirituali, conseguente alla sua progressiva economicizzazione, ha coinvolto il Cristianesimo, assurto, pertanto, a mera manifestazione di un quanto mai vuoto e superficiale fideismo. Pertanto, tutte le forme di conoscenza iniziatica, prettamente occidentali, hanno dovuto seguire un percorso totalmente autonomo dall’ambito religioso ufficiale, finendo in qualche caso, con il seguire quell’occidentale processo di banalizzazione e prosciugamento delle proprie fonti spirituali, come nel caso della Massoneria, nella quale Guenon ripone ancora qualche speranza di rinascita di un autentico spirito iniziatico, mentre, al contrario, Evola, mostra al riguardo un atteggiamento di chiusura e diffidenza. A questo punto, però, viste le differenze tra i due autori, bisognerebbe chiedersi il perché del passaggio di Evola, dalle posizioni di un neo idealismo intriso di niccianesimo, a quelle vicine al rigido perennialismo guenoniano. E’ molto semplice: ad ispirare la scelta di Evola, è stata la considerazione sul rischio dell’approdo verso uno sterile e materialistico individualismo, rappresentato dalle coordinate di quel neo idealismo, per lui assolutamente insufficienti a dare un carattere di stabilità e perennità alla sua narrazione ideale.
Alla stessa maniera in cui le varie ideologie che si rifanno al materialismo progressista, hanno fatto del “progresso” una categoria di narrazione ideale e metastorica, Evola ha conferito al termine “tradizione” quella stessa, ma opposta, valenza di narrazione metastorica e meta politica. Evola, quindi, non ha rifiutato o rinnegato le proprie precedenti fasi spirituali ed ideali, le ha solo integrate con quel supporto metafisico di cui, invece, nelle prospettive di certo neo idealismo e di certo niccianesimo, non doveva rimanere traccia alcuna. Fermo restando che, come abbiamo già avuto modo di vedere, le posizioni di Evola sulla metafisica, sono tutte all’insegna della supremazia di una “Via Regia”, non fideistica o devozionale, ma improntata ad un radicale lavoro di ricerca e perfezionamento del “Sé”, sino al proprio “indiamento”, così come rappresentatoci in testi come “La Tradizione Ermetica” o nel saggio “La via della realizzazione di sé nei misteri di Mithra”. A questo proposito, vale ricordare anche quanto l’antroposofo Massimo Scaligero disse a proposito di Evola e della sua particolare idea di iniziazione, tutta frutto della particolare natura di quest’ultimo, che non necessitava di quella gradualità per altri necessaria, proprio in virtù della capacità di quest’ultimo di connettersi direttamente e senza mediazione, a superiori stati di coscienza.
Quanto sin qui detto, però, non deve comportare lo sminuire o il deprezzare, il contributo di personaggi del calibro di un Renè Guenon. Piuttosto, ambedue le impostazioni, vanno viste nell’ottica di un’ampia ermeneutica interpretativa, in una logica di necessaria complementarietà. L’esempio del Buddhismo sarà, a questo proposito, calzante. Se Guenon, ( stavolta nell’inedito ruolo di condivisore delle idee nicciane,sic!) ci dice che il Buddhismo rappresenta una versione decadente e pietista dell’Arya Dharma e che, quanto di buono esso possiede, deriva dall’Induismo, d’altro canto, Evola, ne “La dottrina del risveglio”, del Buddhismo esalta la valenza guerriera. Potrà sembrar strano, ma la ragione sta dalla parte di ambedue. Difatti, il Buddhismo nella sua versione più ortodossa, per intenderci quella Therawada, ma anche in quella stessa Mahayana, può esser interpretato all’insegna di una forma di mistico pietismo, tale da avvicinarlo per molto versi, alla dottrina cristiana. D’altro canto, in alcune delle sue versioni estremo orientali, (giapponesi in particolare), come quella Nichiren e quella Zen, possono riscontrarsi delle valenze guerriere, che sembrano distanziarlo di molto dai dettami originali.
Ora, tutto questo, ci mette di fronte al fatto che, contrariamente a quanto i potrebbe credere, la stessa idea di “Tradizione”, così come formulata da questi, ma anche da altri autori, è tutt’altro che un rigido monolite, intriso di un rigido e ritualistico conservatorismo. Piuttosto, essa prende un aspetto fluido, mobile, conferitole proprio da quella Modernità che, nell’ottica della preminenza dell’ “Io” e delle sue interpretazioni, ha influenzato le valutazioni degli autori che abbiamo or ora, esaminato. E così, come per magia, Tradizione e Modernità vanno a confluire ed interagire in un unico e grandioso disegno. Ora, la sfida che ci aspetta, è proprio quella di riuscire a pervenire alla realizzazione di una occidentale “via della mano sinistra”, in grado di gestire e superare in maniera radicale, le aporie e le sfide di un modello, quello Tecno-Economico che, fattosi vero e proprio malvagio “deus ex machina”, rischia di disumanizzare l’intero genere umano.
Umberto Bianchi
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
- Evola-La Tradizione Ermetica-Edizioni Mediterranee
- J.Evola-Lo Yoga della Potenza-Edizioni Mediterranee
- R. Guenon-L’uomo ed il suo divenire secondo il Vedanta-Adelphi Editore
- R. Guenon-Il regno della quantità e i segni dei tempi -Adelphi Editore
- M. Scaligero-Lo Yoga e la Rosacroce-Edizioni Mediterranee
- D. Suzuki-Il Buddhismo Zen-Astrolabio Editore
- S. Nivedita/A. Coomaraswamy-Miti dell’India e del Buddhismo-Laterza.
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