11 Ottobre 2024
Controstoria

ITALIA 1921: Grosseto 27 giugno – prima parte – Giacinto Reale

Lavoratori! I Fasci sono sorti per impedire tutte le camorre e non adoperano la violenza se non per difendervi.

Prima di combatterci, provate se quello che affermiamo è falso.

 

A Grosseto il fascismo “arriva” tardi. Lo riconoscerà, vent’anni dopo, anche la pubblicazione ufficiale dedicata al “movimento delle squadre”:

 

In quei primi anni (1919 e 1920, ndr), gli appelli lanciati da “Il Popolo d’Italia” ebbero, purtroppo, una limitata eco in Maremma. Guardò apaticamente ed ostilmente gli inizi del movimento fascista la cosiddetta classe intellettuale, in parte cristallizzata nelle formazioni politiche tradizionali: repubblicana, liberale, democratica, e ammalata di vaghe teorie umanitarie; in parte lanciata alla conquista di facili posizioni nel turbine nuovo del social comunismo.

Gli immuni dal contagio sovversivo, sparuta minoranza, disertarono anche le poche sedi dell’allora sorgente ed ancora in gran parte “apolitica” Associazione Nazionale Combattenti, per non incorrere nelle ire dei dominatori rossi.

I pochi uomini, in massimo numero reduci dalla guerra 1914-18, che seguirono con passione il movimento fascista, divisi in vari paesi della Provincia, reciprocamente sconosciuti, assistettero, impotenti, alle continue manifestazioni della tracotanza avversaria. (1)

 

La Maremma di inizio secolo presenta tali caratteri di povertà da essere paragonata al Sud più arretrato, e soffre la stessa piaga del latifondo. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se nei primi mesi del 1919 la predicazione socialista attecchisce con facilità, con il connesso seguito di violenze grandi e piccole e prepotenze ai danni di chiunque non creda nel sol dell’avvenire.

Violenze portate a termine da masse esagitate, mobilitate al primo agitarsi di bandiere rosse, anche contro “crumiraggi” che tali non sono, perché vedono al lavoro i piccoli proprietari e i mezzadri: “Guardie e Ciclisti Rossi pattugliavano tutta la Provincia, onde evitare casi di crumiraggio che prontamente si dissolvevano di fronte al concentramento di centinaia di leghisti, non certo animati di buone intenzioni, nell’aia incriminata”.

Occupazioni di terre, imposizione di mano d’opera, sequestro arbitrario di merci, con svaligiamenti e violenze, calmieramento forzoso, scioperi nelle prime realtà industriali della zona, legate soprattutto alle attività estrattive delle ricchezze minerarie del sottosuolo, creano uno stato di insicurezza, che coincide, nei più, con l’accettazione della propaganda sovversiva.

Ecco allora che, alle elezioni politiche del 1919, condotte all’insegna della “violentissima contestazione di tutto ciò che sapeva di patriottico” Grosseto, che fa collegio unico con Siena e Arezzo, vede un imponente successo socialista, confermato l’anno dopo, alle amministrative, con l’elezione di 278 consiglieri comunali di sinistra contro i 142 eletti da tutti gli altri Partiti, e la conquista di tutte le Amministrazioni, ad eccezione di quattro (Giglio, Monte Argentario, Castiglion della Pescaia e Massa Marittima).

Complica la situazione il fatto che, il 6 marzo dell’anno successivo, la locale Camera del Lavoro aderisca alla III Internazionale e al neo-nato Partito Comunista, così come, al Consiglio Generale delle Leghe, pressoché in contemporanea, l’Ordine del Giorno comunista ottiene 9.800 voti contro i 5.600 di quello socialista.

Insomma, Grosseto si avvia ad essere una delle province più “rosse” d’Italia, all’insegna del “fare come in Russia”. Avvisaglie si hanno con quanto avviene dopo i fatti di Firenze della fine di febbraio: “treni fermi, porte della città sprangate, attività commerciali completamente paralizzate, mentre gli “uomini d’ordine” e la stessa forza pubblica aspettavano rintanati la fine del temporale”.

Sono, comunque, gli ultimi conati di un sovversivismo che va esaurendosi, per la stanchezza della popolazione, l’incapacità dei capi, la mancanza di un consenso “vero”, aldilà di quello indotto dalla paura.

Il 21 novembre del 1920 viene fondato, a Ravi, il primo Fascio della provincia; nello stesso periodo arriva nel capoluogo il “fascista diciannovista” fiorentino Dino Andreani, e, a seguire, nascono Fasci a Montemerano, Saturnia, Poggio Capanne e Manciano.

A Santa Fiora, infine, il 3 febbraio si ha la prima manifestazione pubblica dei fascisti, convenuti da Bagnolo e Gretini. Poca roba, se vogliamo, ma più che sufficiente per dare un segnale, confermato dalle elezioni di maggio, nella quali il Partito Socialista subisce una “emorragia di voti” e i comunisti non vanno oltre un modestissimo risultato.

Più che all’azione fascista, il risultato è dovuto a quei fattori “oggettivi” sopra accennati. Lo squadrismo grossetano è ancora di là da venire, e le prime azioni (esposizioni del tricolore, sfilate dimostrativa, affissione di manifesti, qualche ceffonatura) si devono a camerati proveniente da Siena, Pisa e Orvieto.

Sono azioni che riguardano esclusivamente piccoli centri della Provincia. Il capoluogo appare ancora un obiettivo troppo arduo anche per i più spregiudicati, che solo l’intervento di uomini decisi e rodati può conseguire.

Il che non vuol dire che il Fascio locale rinunci all’azione, con un occhio speciale alle esigenze e aspettative dei più umili, patrocinando una campagna di calmieramento che, nell’ambito di quella più vasta a carattere nazionale, dà i suoi frutti:

 

A Grosseto i primi fascisti comparvero verso la metà di giugno nella demagogica veste di calmieratori (di qui la frase della donnetta al negoziante: “Se non mi fai lo sconto, chiamo il fascista”). (2)

 

A questo punto, il pensiero dei Grossetani va a Firenze, e in particolare alla squadra che, in un paio di mesi di vita, di è già fatta una fama invidiabile, tal che ormai, ovunque succeda qualcosa di grosso, si dà per scontato l’intervento della “Disperata”, guidata da Onorio Onori. Squadra nata da poco, ed esattamente il 14 marzo, come annota Mario Piazzesi nel suo “Diario”:

Si è così varata una squadretta a capo della quale è stato messo un Tenente degli Arditi, naturalmente decorato al valore, composta da quattro Ufficiali ex combattenti, due Sergenti degli Arditi, due fiumani, tre studenti, un impiegato e un viaggiatore di commercio, anche questi studente a tempo perso.

Abbiamo anche pensato al nome, e dopo molto arzigogolare, è stato deciso per quello della “La Disperata” in onore della guardia del corpo di d’Annunzio. E l’insieme della squadra, con i suoi componenti ed il suo nome così sgangherato, è piaciuto tanto che dopo pochi giorni non abbiamo più potuto reggere all’impeto dei postulanti, ed abbiamo dovuto accogliere però altri spedizionieri, scegliendoli uno per uno, altri fegatacci.

Ora siamo in ventuno, e Rico, fiumano, ricordando una canzone di d’Annunzio, dice che ci porterà una certa fortuna. (3)

L’iniziativa avrà un successo superiore ad ogni previsione, alla fine ci saranno una sessantina di aderenti, tre Caduti (Annibale Foscari, Gastone Bartolini e Giovanni Luporini), otto mutilati e ventiquattro feriti. Per ora, però ciò che più conta è la notorietà nell’ambiente squadrista.

Ad accrescere a dismisura tale notorietà è ciò che avviene a Perugia. Varrà la pena di farne qui un cenno, perché, perché azione che precede di poco la spedizione su Grosseto, ha in buona parte gli stessi protagonisti, ne anticipa in qualche forma il modus operandi.

La storia inizia quando il Fascio fiorentino decide di accogliere la richiesta di aiuto giunta da Perugia, a mezzo di tre squadristi locali (Chiurco ne fa anche i nomi: Narducci, Scalchi e Boschi) appositamente inviati.

In città, la situazione, già non facile per i pochi mussoliniani, è improvvisamente precipitata, la sera del 21 marzo, con il grave ferimento della camicia nera sedicenne Pietro Romeo. Il giovane, che si trova nei pressi del caffè Vitalesta, abituale ritrovo fascista, a poca distanza dal caffè Tirreno, che è invece il “quartier generale” dei social-comunisti, viene aggredito e ferito a colpi di pistola, nonostante il tentativo di difendersi, a sua volta, a rivoltellate.

Un fulmine a ciel sereno, potremmo dire, perché, aldilà della “normale” competizione, fino a quel momento i fascisti hanno sempre teso la mano ai loro avversari ed alla popolazione tutta, tendendo a rimarcare la loro differenza rispetto alla descrizione di chi li vuole mazzieri al servizio dei padroni. Un loro manifesto, affisso proprio nelle giornate della rivolta di Firenze, dice:

Lavoratori! Vi ingannano coloro che dipingono i fascisti come vostri nemici e vi aizzano contro di loro. I fascisti non sono contrari né ostacolano i vostri diritti, anzi, vi proteggono senza spillarvi quattrini e vogliono darvi il benessere economico e morale che si ottiene solo con l’ordine e la giustizia.

Lavoratori! Vi ingannano coloro che vi promettono la rivoluzione e vi spingono armati nelle piazze, sacrificando voi e le vostre famiglie a loro esclusivo beneficio. Pensate che tutti costoro vivono alle vostre spalle speculando sul vostro sudore e si nascondono quando il pericolo è sicuro. La rivoluzione che avrebbe affamato e rovinato irreparabilmente l’Italia, è ormai impossibile. Solo mettendovi per la via dell’associazionismo cooperativo voi risolverete il vostro problema economico e morale.

Lavoratori! I Fasci sono sorti per impedire tutte le camorre e non adoperano la violenza se non per difendervi.

Prima di combatterci, provate se quello che affermiamo è falso. (4)

 

Quel 21 marzo, però, il caso vuole che in via Mazzini, vicino al luogo dove è stato colpito Romeo, sia in corso una riunione fascista, i cui partecipanti, appena giunta la notizia, si armano di latte di benzina e vanno a dare fuoco al giornale sovversivo “La Battaglia”, che è considerato l’ispiratore del clima di violenza.

Segue la proclamazione di sciopero generale, e tutto lascia intendere che sarà l’occasione per la “resa dei conti” finale con i pochi fascisti cittadini che hanno appena, e con fatica, costituito la loro associazione in città, alla presenza del fiorentino Zamboni.

Da qui la richiesta d’aiuto, in primis a Firenze, ma anche ai Fasci della provincia che sono in via di costituzione, oltre che a quelli di Arezzo ed Orvieto.

D’altra parte, il giornale vicino ai mussoliniani, “Vittorio Veneto”, la ha detto chiaramente, con l’edizione in edicola già il giorno dopo il ferimento di Romeo:

“A Perugia si può morire, ma si deve vincere. Un fascista assalito a revolverate da venti socialisti è moribondo. Fascisti! Siate pronti!”

La Disperata fiorentina

Firenze risponde per prima, e meglio. Sullo svolgimento dei fatti di quelle che, con qualche esagerazione retorica, saranno definite “Le cinque giornate di Perugia”, abbiamo il racconto di Piazzesi, attendibile anche per quella vena ironica che lo pervade ed evita scadimenti nell’autocelebrativo.

Al giovane, che convocato da una telefonata, arriva alla sede di piazza Ottaviani, si presenta uno spettacolo senza precedenti. Il cortile è stracolmo, mentre da un bugigattolo vengono tirate fuori “bracciate di Mannlicher e di moschetti 91”.

I “Disperati” che, in ventuno, partono per primi con il primo di tre camion, al loro arrivo in città si danno subito da fare, e spianano la strada, con scontri a fuoco e lancio di SIPE, all’arrivo degli altri, bloccati per via dagli agguati sovversivi, così che, quando quelli sopraggiungono, si può dire che è tutto bell’e risolto.

All’azione squadrista si alternano così, prima e con minore fatica del previsto, grandi mangiate, spesso offerte dai paurosi borghesi locali che hanno ripreso fiato, e discreti (ma forse nemmeno tanto) corteggiamenti a vezzose turiste che, in visita alla città così ricca di storia e monumenti, vogliono partecipare ai “fascist sistems” e si fanno squadriste anch’esse:

 

“Solino” si perse subito dietro i fianchi prepotenti di una rossa veramente notevole e ci fece stare in pensiero fino a sera, quando arrivò, ridotto come un cencio. Le “Canne” si misero in testa di dar fondo alle bottiglie del caffè, e in parte ci riuscirono, tanto che alla sera erano tutte in pietose condizioni.

Noi invece, gli intellettuali, comprata una guida, ci ingolfammo nelle meraviglie della Perugia etrusca, romana e medievale.

Però le lunghe giornate dei conflitti ci avevano stancato, e, cadendo la Pasqua nel giorno seguente, sorse in tutti il desiderio di festeggiare in santa pace e in seno alle famiglie, il giorno del perdono (5)

 

D’altra parte, l’opera di “redenzione” cittadina ben presto è bell’e finita. I negozi riaprono, le sedi avversarie vanno a fuoco, la soddisfazione dei fiorentini alle stelle:

 

Non un circolo rosso, non una cooperativa, non un covo, nulla rimase in piedi, e, già che eravamo nell’argomento, scomparve anche qualcosa dei bianchi, tanto gli uni valevano gli altri.

Ormai anche nell’Umbria eravamo divenuti professori e gli allievi locali promettevano bene. (6)

 

L’esperienza perugina si rivela, comunque, particolarmente utile, perché insegna che pochi ma decisi possono avere ragione anche di città intere, ritenute roccaforti inespugnabili, che la spregiudicatezza e la velocità dell’azione sono requisiti fondamentali per il successo, che la “Disperata” è veramente la temibilissima macchina da guerra della quale si parla.

Non può che essere questa la squadra alla quale affidare anche l’azione su Grosseto.

Qui, in verità, c’è qualche piccola incertezza, forse dovuta alla concorrenzialità che, anche a cose fatte, ancora esiste tra città e squadre fasciste.

Chiurco, alla data del 29 giugno, parla di una richiesta di aiuto giunta a Siena, portata probabilmente da due dipendenti della fattoria Ricasoli che, al loro rientro a Grosseto, individuati, saranno pesantemente bastonati.

Segue la partenza di squadristi per la città, con auto e treno. In questa fase lo studioso senese colloca il tragico incidente del quale sarà vittima Rino Daus, squadrista senese, e del quale si dirà. Non fa cenno – se non per arrivi successivi – alla presenza di squadristi fiorentini.

Piazzesi, invece, anticipa alla sera del 26 giugno la partenza di un gruppo (tredici, per l’esattezza) di fiorentini, dettaglia lo svolgimento dell’azione vera e propria nei giorno 27 e 28, per poi accennare solo a ciò che avvenne dopo, con l’arrivo degli altri – Senesi compresi – in una città già domata..

Mi rifarò a questa seconda versione, che mi pare la più precisa e curata, anche nei minimi particolari, oltre che basata sulle testimonianze rese, nel tempo, da alcuni dei partecipanti.

NOTE

  1. Panorami di realizzazione del fascismo, Roma 1942, vol. V, pag. 37
  2. Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, I minatori della Maremma, Minimum fax 2019, pag. 125
  3. Mario Piazzesi, Diario di uno squadrista toscano, Roma 1980, pag. 127
  4. Francesco Pierucci, 1921-22 violenze e crimini fascisti in Umbria, Umbertide sid, pag. 23
  5. Mario Piazzesi, cit., pag. 138
  6. Ibidem, pag. 137

 

 

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