di Mario M. Merlino
(Un anno vissuto Ereticamente, parafrasando il titolo di un vecchio film… non è poco, anzi. Una collaborazione nata per caso o perché non sempre i sentieri sono interrotti, ma si intrecciano e denunciano che altro ed oltre si può salire. Era il 13 luglio e volevo scrivere un qualcosa su Céline – da poco avevo preparato il soggetto la sceneggiatura e la realizzazione di uno spettacolo sullo scrittore francese. La mano, però, se n’è andata per suo conto e ne sono venuti fuori sei interventi sull’anarco-fascismo… E così eccomi qui a pensare quanti ne ho scritti in un anno e a quanti lettori posso aver trasformato sereni momenti in incubi culturali… ahahah… rido su di loro in allegria di comunità e non perché coltivo forme di sadismo…).
E riprendo quanto scritto nel precedente ‘pezzo’ sul concetto di giustizia e di vendetta, incarnate nelle figure femminili di Maria Pasquinelli ed Alfa Giubelli.
E’ la sera del 15 luglio del ’44, alla periferia di Crevacuore, comune in Val Sessera, oggi in provincia di Biella. Nella zona, controllata per lungo tempo dalle bande partigiane, opera la 112° brigata garibaldina comandata da ‘Gemisto’, quel Francesco Moranino che fu fra i più spietati capi della resistenza, eletto deputato, inquisito e fuggito a Praga in buona compagnia di tutti coloro che, al soldo del partito comunista, avevano segnato di rosso sangue le radiose giornate della liberazione. Di quei delitti il giornalista Giampaolo Pansa ha avuto il merito di renderli al grande pubblico e fatta la sua fortuna. Noi non ne avevamo bisogno, cresciuti a fianco dei ‘vinti’(?) ed educati dalla letteratura latomica su quelle tragedie e orrori (ricordo, ad esempio, i libri di Giorgio Pisanò, I giorni dell’odio a cura di Alberto Giovannini, di Antonio Serena I giorni di Caino e le innumerevoli testimonianze… non ultima e non meno dolorosa quella della ‘nostra’ amata Gina, ausiliaria della GNR).
Nei pressi del cimitero Aurelio Bussi, commissario politico e degno sodale del Moranino, fa uccidere a colpi di mitra e di pistola Calimero Ricciotti e la sorella Margherita Giubelli (il marito era stato ferito sul fronte greco e non aveva dato più notizie di sé). Quasi presaga della fine della madre, la piccola Alfa l’aveva seguita, piangendo e aggrappata alla sua veste, aveva assistito alla scena, a quei corpi abbandonati alla pietà del sacrestano del paese.
Poi gli assassini, non paghi dell’eroica azione, avevano razziato il modesto appartamento, dando ulteriore dimostrazione delle nobili e ideali motivazioni delle loro gesta. Bandiere rosse al vento pugni chiusi al canto dell’Internazionale per realizzare la ‘futura umanità’, va bene, ma se si può saldare qualche conto personale e arraffare una catenina d’oro un orologio e un paio di scarpe, meglio ancora…
Del resto sono gli stessi partigiani a motivare la duplice esecuzione. Ebbi occasione, diversi anni fa, di leggere parte delle arringhe tenute alla Corte d’Assise di Novara, 16 marzo 1957, dagli avvocati difensori della Giubelli (fra costoro Gastone Nencioni, che fu senatore del MSI e fra i promotori della scissione di Democrazia Nazionale). Ricorda, il Bussi, al Calimero d’essere stato da lui schiaffeggiato in piazza e gli rende i ceffoni, che sono – va da sé – un rendiconto inadeguato. Poi lo fa incamminare con un pretesto in direzione del paese, ma ai suoi sgherri aggiunge: ‘Lasciatelo andare avanti un poco e poi fatelo fuori…’. E alla mamma di Alfa, con un tono quasi di tenerezza (così riferiscono ai carabinieri i suoi complici): ‘Questa è la tua ultima ora, cara Margherita. Voi altri Ricciotti siete sempre stati la mia rovina, mi avete sempre fatto correre, siete una manica di fascisti e di delinquenti’…
Come si vede, qui, la causa del proletariato, le catene dello sfruttamento spezzate, il compagno Stalin che tutto vede e a tutto provvede sono determinanti… per appagare piccoli livori, rancori e animo vendicativo. Che aggiungere d’altro?
La vita di Alfa si confonde con quelle di tanti orfani, vittime della guerra dell’odio della sopraffazione. Viene sballottata tra parenti prima a Milano e, successivamente, da quelli di Venezia. A soli quindici anni si sposa con il cugino, lavoratore onesto affettuoso, ma ella non riesce a dargli la pienezza dei suoi sentimenti, del suo giovane corpo, magari un figlio su cui riversare l’affetto. La sua naturale crescita di donna s’è fermata a dieci anni, paralizzata davanti all’orrore di quella scena infame e terribile. E, allora, v’è solo un possibile gesto liberatore. Prendere la pistola del marito, salire sulla corriera da Borgosesia e raggiungere il paese di nascita, cercare Aurelio Bussi, diventato nel frattempo sindaco, e gridargli in faccia: ‘Sono Alfa Giubelli, la figlia di Margherita Ricciotti!’, scaricandogli al contempo contro cinque colpi, lasciarsi arrestare processare condannare…
Durante l’udienza, avendole chiesto il Presidente della Corte il motivo del suo gesto, rispose: ‘Vendetta? Giustizia? Non so, Signor Presidente: dovete giudicare voi’… Noi, che non amiamo i giudici i questurini gli psicanalisti i confessori, non staremo con codici manette lettini e morale, ci preme solo osservare come Alfa fu l’unica che seppe e volle chiudere il conto, per quanto personalissimo, dalla parte del ‘sangue dei vinti’…
4 Comments