17 Luglio 2024
Narrativa

Narrativa fantastica, una rilettura politica, ventunesima parte – Fabio Calabrese

Ricapitoliamo brevemente alcuni concetti che abbiamo visto nella ventesima parte: la preponderanza oggi acquisita dagli autori di lingua inglese nel campo della letteratura fantastica (come in molti altri) non dipende dal fatto che gli autori britannici, e tanto meno quegli americani, abbiano una particolare inclinazione in questa materia, ma unicamente dalle circostanze storiche che hanno visto una potenza di lingua inglese diventare egemone a livello planetario.

Abbiamo visto che la letteratura tedesca, a partire dalla cultura romantica, aveva tutte le potenzialità per un grande sviluppo in questo senso, potenzialità che sono state stroncate insieme alla Germania stessa attraverso due guerre mondiali.

Nella ventesima parte, per ovvi motivi di lunghezza, non siamo andati oltre il XIX secolo, ma naturalmente il discorso non è concluso a questo punto, e vediamo ora di riprenderlo in mano.

Un’avvertenza che è necessario premettere, è che ritengo sia il caso di basarsi sulla nazionalità piuttosto che sulla cittadinanza cartacea. Due dei più importanti autori fantastici attivi soprattutto nel periodo fra le due guerre mondiali, il grande Gustav Meyrink autore del Golem, e Karl Hans Strobl, erano cittadini austriaci, e li ho inclusi nella presente trattazione. Tuttavia, il concetto di nazionalità, a mio parere, come non coincide con quello di cittadinanza cartacea, non si sovrappone interamente neppure a quello di lingua. Faccio un esempio: l’opera allucinata e visionaria di Franz Kafka presenta degli indubbi spunti fantastici, e Kafka scrisse in tedesco, tuttavia considerare “un tedesco” un ebreo praghese mi sembra rappresenti una forzatura e quindi sia pure con un certo rammarico, mi pare esuli dalla presente trattazione, e soprattutto non mi pare abbia molto senso presentarvi qui un autore peraltro notissimo.

Tuttavia, qualche piccola “annotazione a margine” mi pare non sia fuori luogo. Intanto occorre osservare che la Boemia e la città di Praga in particolare sono state a lungo aree germaniche o germanizzate anche in presenza di un contado slavo, e tutto sommato considerare cechi Franz Kafka o Karl Hans Strobl, o Sigmund Freud o Max Wertheimer fondatore della psicologia della Gestalt, non avrebbe più senso che considerare Immanuel Kant “un russo” perché dal 1945 la sua Koenigsberg è diventata la russa Kaliningrad.

In secondo luogo, potremmo dire che esistono due tipi di fantastico: quello che sogna e crea mondi alternativi, diversi dalla realtà che conosciamo, e quello che cerca di guardare alla realtà quotidiana con occhi diversi, cogliendone l’orrido, il grottesco, il surreale, il paradossale, e Kafka appartiene indubbiamente a questo secondo tipo di fantastico, come testimoniano i suoi romanzi Il castello e Il processo che descrivono la lotta del singolo contro il torpido, indecifrabile, farraginoso mostro della burocrazia dalle mille lungaggini e dagli intenti incomprensibili, anche se Il processo, dove al protagonista non viene dato modo di comprendere né di che cosa sia accusato, né di vedere la fine di una vicenda giudiziaria ingarbugliata e interminabile, se fosse ambientato nell’Italia di oggi, sembrerebbe mera cronaca giudiziaria.

Fra tutti i racconti dello scrittore, il più noto e uno dei più inquietanti, è certamente La metamorfosi, dove il protagonista, Gregor Samsa, una persona assolutamente comune si sveglia una mattina…trasformato in un enorme scarafaggio.

La cultura germanica degli anni fra le due guerre mondiali è fortemente impregnata di fantastico: oltre la narrativa, ricordiamo nella cinematografia Fritz Lang, il regista del celeberrimo Metropolis, e nelle arti figurative Max Ernst, esponente di punta del movimento surrealista. Sempre nel campo delle arti figurative, una discreta apertura verso il fantastico si nota anche nel gruppo espressionista Der blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) formatosi a Monaco di Baviera nel 1911, fra i cui esponenti di punta mi sembra il caso di citare perlomeno Alfred Kubin.

Gustav Meyrink (1868-1932) era figlio illegittimo di un aristocratico e ministro del Wurttenberg, barone Karl von Varmbuler e della cantante Maria Meyer. Portò il cognome materno che poi modificò in Meyrink. Nato a Vienna, visse prevalentemente ad Amburgo e a Praga. Poiché Meyer è un cognome presente anche nelle comunità ebraiche, e – credo – soprattutto perché il suo romanzo più noto, Il Golem, riprende la leggenda ebraica praghese di questa inquietante creatura, si diffusero voci circa le sue origini ebraiche, che non corrispondono alla realtà.

Meyrink scoprì l’esoterismo e l’occultismo, e decise di dedicarsi alla carriera di scrittore nel 1891, dopo che il tedio della vita l’ebbe spinto sull’orlo del suicidio. Il suo romanzo più noto, Il Golem, è del 1915, un’opera che andò subito incontro al successo di pubblico. Sarebbe facile l’accostamento con il Frankenstein di Mary Shelley, ma si tratta di due romanzi molto diversi. Come nella narrazione della scrittrice inglese, il Golem è una creatura artificiale, ma la somiglianza finisce lì. Nella leggenda ebraica il Golem è un essere di argilla animato mediante la magia, una sorta di statua animata o robot creato da un rabbino per difendere la comunità ebraica. Nel romanzo di Meyrink, che ha una trama complessa e si potrebbe definire corale, vi sono continue allusioni a questa inquietante creatura, che però non compare mai direttamente. Con ciò, Meyrink ha creato una tecnica narrativa per raccontare in maniera plausibile l’ignoto, l’inquietante, che sarà poi ripresa da numerosi epigoni.

Di notevole interesse anche gli altri romanzi di Meyrink: Il domenicano bianco che racconta la lotta di un autentico iniziato contro lo spiritismo di cui svela il carattere satanico, La notte di Valpurga, la complicata vicenda di una rivolta in un paesino della provincia boema dove l’irredentismo ceco si mescola in un indecifrabile viluppo alla religione e alla stregoneria. Alcune pagine de La notte di Valpurga sono in assoluto tra le più inquietanti che mi sia mai capitato di leggere, per esempio la descrizione della Daliborka, la torre-prigione in tutto simile a un intestino, dove i prigionieri sono man mano trasferiti a celle a un piano più basso e ogni piano successivo porta a un grado più avanzato la “digestione”, la degradazione e l’abbrutimento del condannato, oppure il misterioso personaggio di Zrcadlo (che in ceco significa specchio), un essere privo di anima il cui corpo viene di volta in volta posseduto da diversi spiriti ed entità, o ancora l’allucinante fantasma di Jan Kzisa che sovrasta elusivamente tutta la vicenda. Jan Kzisa fu il leggendario condottiero degli ussiti che, ferito a morte diede disposizione di essere scuoiato perché il tamburo fatto con la sua pelle continuasse a guidare col suo suono gli ussiti in battaglia.

Jan Kzisa, il cieco, lo scorticato, che cavalca un destriero putrefatto alla testa di un esercito di fantasmi”, canterebbe un’antica ballata.

O ancora tra i romanzi di Meyrink non si possono non citare La faccia verde (o Il volto verde, a seconda delle edizioni), la storia del cammino di un uomo verso la rivelazione iniziatica, o il ponderoso L’angelo della finestra d’occidente, una biografia romanzata della vita del celebre alchimista John Dee (a cui H. P. Lovecraft attribuì la traduzione inglese del Necronomicon).

A parte La notte di Valpurga che è una storia dove prevale nettamente l’horror, utile comunque a conoscere le forze negative che possono entrare in gioco, questi romanzi costituiscono anche una valida introduzione all’esoterismo, e il fatto che diversi tra essi possano vantare nell’edizione italiana la traduzione di Julius Evola, è una garanzia di serietà in un campo dove sappiamo esistere una ciarlataneria quasi infinita.

Ma Gustav Meyrink ha saputo dimostrare anche un tocco più leggero nella narrativa breve, in particolare nei racconti dell’antologia Il baraccone delle figure di cera (titolo malamente decurtato in Racconti di cera in alcune edizioni), dove si è disinvoltamente burlato del suo tempo e del suo ambiente, della burocrazia dell’imperial-regio governo e del militarismo, e anche dell’esoterismo e di se stesso, in racconto compare uno studioso che è un esperto non soltanto di magia bianca e di magia nera, ma anche di quella verde e di quella violetta, in un altro si scopre che il terribile segreto tramandato in una nobile famiglia e rivelato soltanto al primogenito al compimento della maggiore età, è la disastrosa situazione finanziaria del patrimonio avito.

Tuttavia, anche qui non manca qualche brivido genuino di orrore autentico, ad esempio quando si scopre che gli strani gemelli siamesi del racconto che dà il titolo all’antologia sono in realtà un uomo in cui il corpo fisico e il corpo sottile sono stati magicamente dissociati.

Gustav Meyrink è un autore che si è continuato a pubblicare fino a tempi recenti, la stessa cosa però sostanzialmente non si può dire per Karl Hans Strobl e Hanns Heinz Ewers (non pare che esista una regola precisa: il nome tedesco Johannes, Giovanni, a volte viene abbreviato in Hans, altre volte in Hanns con due enne) che sono invece andati incontro a una vera e propria damnatio memoriae tanto più assurda se consideriamo che quanto meno Ewers può essere considerato al livello se non proprio di un Poe, almeno di un Lovecraft di lingua tedesca, e il motivo di ciò non è difficile da capire: in diversa misura furono entrambi nazionalsocialisti, tuttavia comprendiamo quanto sia assurda tale censura anche riguardo a cose che non hanno a che fare con la politica, e quanto sia plumbea e chiusa la mentalità democratica a dispetto di tutte le dichiarazioni di libertà di pensiero retoricamente proclamate da tutte le costituzioni.

Ci sono, per la verità, delle differenze: mentre Strobl fu un fervido nazionalsocialista e pagò con la vita le sue convinzioni, Ewers ebbe con il nazionalsocialismo un rapporto che si può definire ambiguo, e probabilmente è per questo che mentre attorno all’opera letteraria del primo è stato fatto il vuoto totale, facendola cadere nell’oblio, per quanto riguarda il secondo c’è da citare perlomeno la pubblicazione in Italia nel 1972 dell’antologia Il ragno e nel 2017 del romanzo Alraune.

Dovremo poi considerare la posizione di un intellettuale particolarissimo quale fu Ernst Jünger, la cui opera presenta importanti venature di fantastico, e per quanto riguarda il cinema, Fritz Lang, senza dimenticarne la moglie, la scrittrice Thea Von Habou, dal cui romanzo Lang trasse la sceneggiatura del suo capolavoro Metropolis.

Karl Hans Strobl (1877-1946) nacque Iglau, oggi Jihlava in Moravia. Dopo aver lasciato nel 1913 un impiego statale perché malvisto dai suoi superiori cechi, fu durante il primo conflitto mondiale corrispondente di guerra, per poi dedicarsi dopo l’esperienza bellica all’attività di scrittore. Fu fra i molti di etnia tedesca che abbandonarono la Boemia e la Moravia destinate dal trattato di pace a far parte della Cecoslovacchia. Per meglio dire, ne fu espulso nel 1934 per “attività sovversiva”, consistente nel suo caso in una serie di articoli che denunciavano i maltrattamenti cui erano sottoposti i Tedeschi nello “stato salsiccia” disegnato a Versailles.

 Ottenne la cittadinanza austriaca e si stabilì a Perchtoldsdorf, una cittadina ai sobborghi di Vienna. Come molti esuli dalle regioni tedesche che il trattato di Versailles aveva regalato alla Polonia e alla Cecoslovacchia, aderì al partito nazionalsocialista.

Catturato dai sovietici alla fine del secondo conflitto mondiale, morì probabilmente in seguito ai maltrattamenti subiti.

Il suo primo romanzo, Die Vaclavbude, è del 1902, ma cominciò ad avere successo come autore a partire dal 1910 con la pubblicazione di una serie di romanzi e racconti fantastici fra cui Lemuria (1917) e Gli occhi del basilisco (1926) [ho tradotto questo titolo in italiano]. Di questa produzione che pare riscuotesse all’epoca un discreto successo, in Italia e in lingua italiana non è disponibile nulla. A differenza di Hanns Heinz Ewers che fu un puro esteta dell’orrido, Strobl ebbe una produzione piuttosto varia, che comprendeva gialli e romanzi “di ambiente”, a parte la sua attività giornalistica, prima come corrispondente di guerra, poi di denuncia delle condizioni di vita dei tedeschi nello stato cecoslovacco.

Oltre che autore, Strobl fu editore e, insieme ad Alfons Von Czbulka, pubblicò fra il 1918 e il 1921 la rivista “Der Orchideengarten” (“Il giardino delle orchidee”), di cui uscirono 55 numeri e fu probabilmente la più importante rivista di lingua tedesca dedicata ai temi del fantastico pubblicata fra le due guerre.

Sulle pagine del “Giardino delle orchidee” uscirono molti racconti di autori amatoriali che non hanno lasciato traccia altrove, ma anche classici della narrativa e della poesia, fantastica o meno, fra cui spiccano nomi come Edgar Allan Poe, Charles Baudelaire, Walt Withman, Arthur Conan Doyle, lord Byron, H. G. Wells e, a rappresentare l’Italia, Grazia Deledda. Un punto di forza della rivista furono senz’altro le illustrazioni, di diversi autori che si ispirarono alle tematiche dell’impressionismo e del surrealismo, coordinati da Otto Munch (da non confondere con Edvard Munch, autore del celebre Urlo).

Un’antologia dei racconti di Orchideengarten è stata pubblicata in Italia dalle edizioni Hypnos, a cura di Alessandro Fambrini e Walter Catalano.

Tuttavia, probabilmente di Strobl avremmo perso ogni traccia se non l’avessero citato Louis Pauwels e Jacques Bergier ne Il mattino dei maghi in relazione a un fatto abbastanza inquietante: in uno dei suoi racconti dell’inizio del secolo descrive il naufragio di una nave transoceanica: la nave del racconto si chiama Titano e ha dimensioni e caratteristiche tecniche sorprendentemente analoghe a quelle del Titanic. Coincidenza o preveggenza?

Questo fatto è spesso citato da altre fonti, che però di solito non riportano quanto Pauwels e Bergier riportano nelle pagine successive, che ci danno l’idea che lo scrittore austriaco fosse realmente un veggente, infatti ci raccontano ancora (pag. 400 del Mattino dei maghi):

“Nella biblioteca dello scrittore austriaco Karl Hans Strobl, morto nel 1946, il suo amico Willy Schrodter fece la seguente scoperta: “Aprii le sue opere, ordinate in uno scaffale. Tra le pagine erano disposti numerosi articoli di giornali. Non erano di critica, come dapprima avevo creduto, ma cronache di fatti diversi. Mi accorsi con un brivido che riferivano avvenimenti narrati da Strobl molto prima che accadessero”.

Peccato che questa preveggenza non gli permise di prevedere la sorte che lo attendeva. Arrestato dall’armata rossa alla fine del secondo conflitto mondiale e internato in un campo di lavoro, Strobl che aveva già 69 anni, non resse l’ospitalità dello “zio Joe” e morì l’anno seguente, fu una delle decine di milioni di vittime della mostruosità comunista.

Resterebbe da raccontare ancora gran parte di questa storia: Hanns Heinz Ewers, Ernst Jünger, il regista Fritz Lang e la moglie Thea Von Habou, e occorrerebbe anche parlare della fantascienza tedesca del dopoguerra, un discorso che non può essere compresso in poche righe, vi do quindi appuntamento alla ventiduesima parte.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra Il Golem di Gustav Meyrink, al centro Vaclavbude, romanzo di Karl Hans Strobl, a destra Der Orchideengarten, antologia italiana dell’omonima rivista tedesca.

3 Comments

  • Primula Nera 28 Giugno 2021

    Un anno fa, per la Hypnos, è uscita fortunatamente una traduzione di “Lemuria”,l’opera più importante di Strobl . Questo è un periodo straordinariamente favorevole per la narrativa fantastica in Italia ; vi è un discreto numero di lodevoli case editrici che stanno facendo uscire tantissime cose interessanti(Hypnos, Dagon press, Providence press ,etc) ; tutto ciò dopo un paio di decenni(‘90,2000)nei quali l’interesse per il genere sembrava stesse scomparendo definitivamente…

  • Fabio Calabrese 29 Giugno 2021

    Primula Nera: Grazie della precisazione. Ne prendo nota.

  • Primula Nera 29 Giugno 2021

    Grazie a lei. I suoi articoli sulla letteratura fantastica sono molto interessanti e rappresentano una preziosa miniera di informazioni.

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