“porte dell’inferno e gli strumenti della salvezza
sono in mano alla Dea
e l’iniziazione medesima viene celebrata
come una morte volontaria e una salvezza temporanea” (1).
Si cela sempre un eterno dilemma dinanzi a molti indagatori dell’occulto, del misterico e dello spirituale in genere, un dilemma che spesso rappresenta la causa scatenante di deviazioni o di smarrimento, il dilemma legato all’origine stessa della ricerca, il suo fine ultimo, l’approdo e la realizzazione. Un pò come i filantropi moderni, sulla scia di un buon Nietzsche, potremmo insinuare che furbescamente l’ego risolve il problema allontanandolo da sé, collocando la risposta al dilemma della scaturigine del sacro in mondi lontani, fantasiosamente trascendenti, in tradizioni lontane, in viaggio onirici ove la coscienza viene trascinata dalla marea, più aver ben salda tra le proprie mani la barra del timore, perché, come i filantropi appunto, si sposta la propria attenzione verso un bisognoso nell’opposto emisfero del mondo, non accorgendosi, che il bisognoso è nella nostra stessa casa:
“Qui però sei con te stesso , e a casa tua; qui puoi discorrere liberamente tra te e te, sciogliendoti e sciorinando tutti i tuoi argomenti; ché non v’è alcun pudore di sentimenti segreti e incalliti” (2).
Effettivamente, spesso, ci si nasconde da se stessi, si fugge da se stessi, affinchè non si debba parlar chiaro e netto con se stessi, non si sia costretti a guardare dentro lo specchio di Dioniso ed osservare il guardiano della soglia,
“oggi possiamo forse cominciare a presentire come quest’atteggiamento di amorosa sottomissione dialogica all’ (apeiron) che fu alla base della sapienza cosiddetta presocratica sia la sola conoscenza di cui metta veramente conto di prenderci cura, così che essa possa giungere a germinare <<al di sotto del nostro diaframma>> (Empedocle, 519)” (3).
L’opera si struttura in otto sezioni, indagando vari aspetti della spiritualità, da quella arcaica a quella ermetica, fino ad approdare nell’opera di Dante e nella disamina delle analisi di Jung e dell’ecofilosofia, mantenendo una linea di continuità tra tutti gli interventi, che si rende visibile, comprensibile nel saggio più importante di questo magistrale compendio, quello dedicato a “La simbolica e il suo carattere ieratico” di René Schwaller de Lubicz:
“Non si tratta di un microcosmo accanto a un macrocosmo, ma dell’Universo incarnato (dall’uomo), l’Antropocosmo. Pertanto, possiamo conoscere sensorialmente, intellettualmente e intuitivamente solo ciò che in noi è innato, ciò che siamo, inconsciamente, ma di cui in certi momenti è possibile risvegliare la consapevolezza” (4).
Un’equilibrata ermeneutica impone una direzione cosmicamente ciclica dell’Essere, che maceri ogni vacuità duale, per ricomprendere il processo hegeliano ed ermetico dell’Intero, in cui la sintesi degli opposti elementi si possa in un solo istante fulmineo, comportando l’intera risoluzione della transuente dimensione raziocinante. Tale è il senso dell’assunzione di un pensiero vivente, non riflesso, libero dai sensi, parafrasando Massimo Scaligero, grazie al quale, unicamente, è possibile comprendere tutta la transitorietà del gioco cosmico, come divenire che non svela la propria illusione, se non quando l’esperienza interiore, a seguito di un rivolgimento verso la propria origine prenatale, sappia riconoscere, sappia platonicamente rimembrare l’Assoluto, il quale è pensabile razionalmente solo in maniera illusoria, ma concepibile esclusivamente sperimentalmente, in guisa riflessiva e centripeta. La problematicità dell’esperienza modernamente filosofica si ravvisa nella mancanza di un’adeguata soluzione esperienziale, in cui l’intuizione pur felice, non si pone l’interrogativo sul come il processo di Unità e Molteplicità del Cosmo possa attuarsi come un reale processo di catarsi, percependolo pragmaticamente quale preciso processo ermetico di autoriconoscimento numenico. La dimensione trasmutativa a cui facciamo riferimento è essenzialmente la trasmutazione dell’Intelletto indicata da Schwaller de Lubicz, l’Intelligenza del Cuore, quale assunzione di una propensione coscienziale non più soggiacente al mero raziocinio o all’evidente riflesso della veglia emozionale diurna, ma come nuova fioritura dell’Axis Mundi, che rende i due poli apparentemente opposti, l’uomo e la natura, elementi organici di un unico ecosistema sapienziale, l’anima uterina di Iside o di Giunone, l’antro ove è occultata l’arcano della vita e dell’oltrevita. Non casuale un ‘espressione di Angelo Tonelli nel testo:
“Dall’esperienza diretta della verità, che si staglia come un’impronta nella sua psyché, l’iniziato, viene restituito alla consapevolezza privilegiata dell’immortalità della sua essenza autentica, che è consustanziale all’Uno – Luce” (5).
La dissoluzione di quelli che giustamente vengono denominati veli di Maya, quali punti esterni di una circonferenza che invano rincorre sempre il proprio asse, alla ricerca di una centralità che sia chiave d’accesso al grande simbolo del cosmo, atto a sublimare una data forma dalla propria relatività sensoria in un rapporto analogico ed anagogico, fra il sensibile e l’intelligibile, mediazione di questi stati e come superamento della linea di confine. Gerardo Fraccari, nella sua analisi “Naturalisti cinesi e naturalisti greci”, in una profonda comparazione tra il mondo taoista e quello presocratico, coglie ed esprime, secondo il nostro giudizio, tutto il senso dell’Oikosophia:
“per essi la Natura era energia purissima, tale proprio perché non può avere un nome, ed era il vero substrato vivo e inafferrabile (<<La Natura ama nascondersi>>, dice Eraclito) da cui emanano tutte le cose materiali e spirituali” (6).
L’opera in analisi, curata da Daniela Boccassini, in conclusione, si presenta come una memoria sottile collettiva e non solo di una singola parte, di un singolo uomo, di una singola tradizione, una raccolta spesso impegnativa nella sua complessa decifrazione, che offre dati, informazioni e spunti di riflessione di altissimo profilo, in un’ottica bruniana a noi particolarmente cara:
“Natura est deus in rebus” (7).
Note:
1 – Apuleio, Metamorfosi, XI, 21;
2 – F. Nietzsche, Queste le parole di Zarathustra, il Rimpatrio, parte terza, Edizioni di Ar, Padova 2011, p. 319;
3 – “Oikosophia – Dall’intelligenza del cuore all’ecofilosofia”, Introduzione, Quaderni di Studi Indo – Mediterranei X, Edizioni Mimesis, Milano 2018, a cura di Daniela Boccassini , p. 18;
4 – Ivi, p. 38;
5 – Ivi, p. 83;
6 – Ivi, p. 388;
7 – Giordano Bruno, Spaccio de la bestia trionfante, dialogo terzo, parte seconda, BUR, Milano 2010, p. 262.