24 Giugno 2024
Narrativa

Narrativa fantastica, una rilettura politica, ventitreesima parte – Fabio Calabrese

A questo punto, il nostro discorso, ben lungi dall’essere concluso sembra complicarsi ancora di più, perché “l’arcaica miscela tedesca” come l’ha definita Lucio Colletti, che per impedire che ad essa e non al mondo democratico-progressista-occidentale-anglofono “spettasse l’avvenire” ci sono volute due guerre mondiali, ha dimostrato una grande vitalità a livello di fantastico non solo in campo strettamente letterario, ma anche nella musica, nelle arti figurative, nella cinematografia, e sarà bene affrontare queste tematiche prima di vedere la sopravvivenza dell’anima fantastica tedesca dopo il 1945, e sarà forse il caso di ricordare che con La storia infinita di Michael Ende abbiamo avuto forse l’unico caso di un fantastico non anglofono accostabile a Tolkien, poi sarà opportuno dire anche qualcosa del fantastico latino: di lingua italiana, francese, spagnola.

Nel campo musicale ci imbattiamo subito nello stesso problema che abbiamo trovato nella letteratura, ad esempio con Goethe, perché la scena del XIX secolo in questo campo è dominata da un grande, grandissimo che non ha senso considerare soltanto relativamente alla storia del fantastico: Richard Wagner, e tuttavia non si può certo omettere il fatto che tutta l’opera del Maestro di Lipsia è impregnata di temi fantastici, che vanno dalla mitologia germanica, ai poemi cavallereschi, alle leggende popolari, come quella diffusa fra i marinai, della nave fantasma, che gli ispirò L’olandese volante.

Anche in questo caso, come in quelli di Goethe e Kafka, sarà opportuno limitarsi a un accenno nella consapevolezza però che l’importanza del personaggio non si limita nell’ambito del fantastico.

Richard Wagner (Lipsia 1813 – Venezia 1883) fu compositore e librettista, cioè componeva sia la musica che il testo delle sue opere in base a un concetto di rappresentazione teatrale unitario e personale. Questo è stato probabilmente il primo passo verso l’idea del teatro come rappresentazione artistica totale che riassume in sé tutte le arti, così come fu poi teorizzato da Friedrich Nietzsche in La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Oltre a ciò, Wagner ebbe anche un’abbondante produzione saggistica su tematiche che spaziavano dalla teoria musicale alla politica.

La predilezione per i temi mitologici, storici, cavallereschi, fantastici, d’altra parte, testimoniava l’ostilità dell’autore per il mondo borghese e conformista del suo tempo.

È un po’ la stessa cosa che abbiamo visto riguardo a Goethe e a Kafka. Quando un grande si è occupato di tematiche fantastiche, diventa di fatto impossibile tracciare un confine fra la letteratura maggiore e la letteratura fantastica, e la stessa cosa vale in campo musicale per Richard Wagner, soprattutto perché le sue opere sono concepite come rappresentazione totale. Rappresentazione totale che egli cercò di concretizzare patrocinando la costruzione del teatro di Bayreuth, destinato a diventare “il tempio” della musica wagneriana. Questo ordine di idee ispirò con ogni probabilità a Nietzsche la sua prima opera filosofica importante, La nascita della tragedia dallo spirito della musica.

Le tematiche ricorrenti sono rappresentate in primo luogo dalla mitologia germanica, la saga dei Nibelunghi, dell’oro del Reno, dell’eroe Sigfrido, tutte cose troppo note perché occorra soffermarvisi, il mito del Graal trasportato in ambito germanico (con il celtico Perceval le galois – il gallese – di Chretien de Troyes che diventa il germanico Parsifal), leggende popolari tinte di mistero e soprannaturale, come quella della nave fantasma che gli ispirò L’Olandese Volante.

È nota l’amicizia che legò Wagner al filosofo Friedrich Nietzsche, come è nota l’improvvisa rottura della stessa a opera di Nietzsche a seguito di un’offesa mortale che Wagner gli avrebbe arrecato.

Dopo la seconda guerra mondiale, “critici” intenti a diffondere i dettami dell’ortodossia democratica e per conseguenza ostili a entrambi, hanno cercato di “spiegare” questa offesa mortale riducendola ai motivi più banali e squallidi, qualche storiella di donne e simili, eppure la sua vera natura è sotto gli occhi di tutti, a patto di non farsi accecare dai paraocchi della democrazia.

Wagner aveva sposato Cosima Lizst, figlia del compositore Franz Lizst, all’epoca di questo matrimonio nettamente più affermato di Wagner, e questo avrà certamente giovato alla carriera dello stesso Wagner, in compenso Cosima Lizst era una donna autoritaria e dominatrice che, si può dire, costrinse il marito a convertirsi al cristianesimo.

Non è difficile capire che fu proprio questa l‘offesa mortale di cui parla Nietzsche: a farsi cristiano lasciando di stucco i suoi discepoli, era proprio l’uomo che attraverso il ciclo dei Nibelunghi aveva riportato in vita le antiche tradizioni germaniche, gli dei e gli eroi del Valhalla, colui che riguardo alla religione del Discorso della Montagna aveva scritto senza peli sulla lingua:

Per quanto l’innesto sulle proprie radici di una cultura che le è estranea possa aver prodotto frutti di altissima civiltà, esso è costato e continua a costare innumerevoli sofferenze all’anima dell’Europa”.

Quando sento la musica di Wagner, mi viene voglia di invadere la Polonia”. Credo che tutti quanti conosciamo la battuta malevola di Woody Allen, e sappiamo anche a quale gruppo etnico-religioso appartiene il comico “americano”, lo stesso che controlla la macchina hollywoodiana ed è all’origine della totalità delle idee e dei veleni della democrazia.

A parte il fatto che le vere responsabilità dello scoppio della seconda guerra mondiale non sono quelle che solitamente si raccontano, che i Polacchi furono estremamente duri sulla questione di Danzica e della popolazione degli ampi territori tedeschi che il diktat di Versailles aveva arbitrariamente assegnato loro, e provocarono in ogni modo la Germania convinti di poter presto “abbeverare i cavalli nella Sprea”, perché qualcuno che voleva arrivare a un secondo conflitto mondiale, aveva fatto credere loro di avere le spalle molto più coperte di quanto non fosse.

Nondimeno è vero che la riscoperta delle antiche radici, di un senso forte dell’identità germanica promossa dalle opere di Wagner ebbero un’influenza profonda su generazioni di tedeschi, e che la sua musica fu apprezzata dai dirigenti nazionalsocialisti, compreso lo stesso Hitler.

Tuttavia, è chiaro che l’amore per le tradizioni e un senso forte della propria identità nazionale possono essere visti come negativi solo nell’ottica distorta di una democrazia che mira all’imposizione universale del meticciato cosmopolita, alla distruzione di popoli ed etnie.

Il discorso sulle arti figurative è certamente più complesso, anche perché in questo campo i confini fra il fantastico, il surreale, il semplicemente non realistico, sono molto più evanescenti. Sono pochi gli artisti che non possano non vantare almeno un’opera “non realistica”, e per conseguenza il rischio di omissioni è in questo campo estremamente forte.

Fra i pittori abbiamo già incontrato, oltre ad ETA Hoffmann, “il padre” della narrativa fantastica tedesca, la cui opera di pittore fu però marginale rispetto a ciò, Alfred Kubin, che abbiamo visto come narratore, con il romanzo L’altra parte. Torniamo allora a parlare di Kubin (1877 – 1959), artista fortemente attratto dal macabro e dal surreale, che iniziò la sua carriera come illustratore delle opere di Poe.

Un tema ricorrente nell’iconografia medioevale, molto presente in Germania ma non esclusivamente tedesco, è quello della Totentanz, la danza dei morti o degli scheletri, dove scheletri e cadaveri decomposti intrecciano un ballo, talvolta coi vivi, dove il macabro si mescola all’erotismo e anche all’ironia, perché la morte spazza implacabile tutti i sogni dell’uomo. Ispirate a questo tema, Kubin pubblicò una prima raccolta di disegni intitolata appunto Totentanz nel 1914 e una seconda, Ein neuer Totentanz (Una nuova Totentanz) nel 1947.

In generale l’espressionismo e il simbolismo tedeschi furono fortemente impregnati di fantastico, ne è un esempio il movimento Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) che ebbe fra i suoi esponenti oltre allo stesso Kubin, Vassilij Kandiskij, Franz Marck, Paul Klee; si ispirava a un quadro di Kandiskij dallo stesso nome a proposito del quale wikipedia riporta:

Kandinskij trasse ispirazione per questo quadro dalle leggende e fiabe del medioevo tedesco e della tradizione popolare russa, per le quali aveva maturato un grande interesse. In particolare, l’artista era affascinato proprio dalla figura dei cavalieri che per combattere il male affrontavano le prove più ardue e i pericoli più spaventosi: essi sono quindi il simbolo della lotta fra bene e male, della battaglia dello spirito contro il materialismo”.

Siamo dunque, come si vede nel pieno della tradizione romantica e fantastica.

Un altro artista che è impossibile non menzionare, è Arnold Böcklin (1827 – 1901). Qui vale sempre un discorso che ho già fatto: guardiamo alla nazionalità, non alla cittadinanza cartacea: un austriaco, un boemo di etnia tedesca hanno pieno diritto a essere considerati tedeschi, e così pure uno svizzero tedesco di Basilea, quale era Böcklin.

Più che di un quadro, per l’opera più famosa di Böcklin si può parlare di un vero e proprio ciclo pittorico, infatti L’isola dei morti fu dipinta in ben cinque versioni, realizzate fra il 1880 e il 1886. L’isola dei morti in ciascuna di esse è annoverata fra i capolavori della pittura simbolista. Nelle diverse versioni che differiscono l’una dall’altra per pochi particolari, abbiamo la materializzazione di un’idea molto antica: quella della morte come viaggio per approdare a dimensioni sconosciute.

Materialmente, vediamo una barca in cui, oltre al rematore, scorgiamo in piedi una figura avvolta in un sudario, approdare in un’apertura fra alte rupi di un’isola a forma di anfiteatro. L’area centrale dell’isola è coperta da funerei cipressi. L’atmosfera trasmette un forte senso di inquietudine.

Questo quadro affascinò Hitler, che ne acquistò la quarta versione, e se la portò dietro nelle sue varie sedi e bunker. C’è una famosa fotografia del 1940 di un incontro di Hitler e von Ribbentropp con il ministro sovietico Molotov dopo la stipula del patto di non aggressione fra la Germania e l’Unione Sovietica. Il quadro che si vede alle loro spalle è precisamente L’isola dei morti. Purtroppo, la versione in possesso di Hitler andò distrutta in seguito a un bombardamento nel 1944, e ne rimane solo una fotografia in bianco e nero.

Nel 1888 Böcklin dipinse L’isola della vita, forse per creare un contraltare positivo a L’isola dei morti, ma quest’ultimo quadro è ben lontano dal possedere la potente suggestività che emana dagli altri.

Non si può fare a meno di menzionare il pittore maggiormente rappresentativo del surrealismo tedesco, anzi, considerato tout court uno degli esponenti più importanti dell’arte surrealista, Max Ernst (1891 – 1976, anche se lavorò principalmente fuori dalla Germania, soprattutto in Francia, ma era nativo di Brühl vicino a Colonia.

Elencare i suoi molti e perlopiù ben noti quadri, non avrebbe qui molto significato, ma quello che si può rilevare è che anche nel suo caso notiamo la tendenza a superare i limiti imposti dalla staticità della pittura per approdare a una dimensione narrativa. C’è la sua collaborazione, assieme a Salvador Dalì al film di Luis Bunuel L’age d’or (L’età d’oro), ci sono soprattutto i suoi romanzi-collage, frutto di una tecnica particolare con la quale assemblando immagini di diversa provenienza, si racconta o si sembra raccontare una storia. Ernst ne ha prodotti tre: La Femme 100 têtes (La donna dalle cento teste), Reve d’une petite fille qui voulut entrer au Carmel (Sogno di una ragazza che voleva entrare al Carmelo – cioè nell’ordine delle carmelitiane, farsi suora) e Une semaine de bonté (Una settimana di bontà).

In modo simile alla narrativa scritta, anzi con un grande impatto visivo, il cinema ha una molto maggiore capacità di “raccontare storie”, di narrare rispetto alla musica e alla pittura, e sappiamo bene con quanta ampiezza ad esempio gli USA abbiano utilizzato e utilizzino il mezzo cinematografico attraverso il sistema hollywoodiano.

Negli anni ’20 del XX secolo nacque in Germania una corrente di cinema espressionista, dove non mancano le componenti soprannaturali e fantastiche, se non, come nel celebre Metropolis di Fritz Lang prettamente fantascientifiche. Gli autori più rappresentativi di questo filone sono F. W. Murnau, G. W. Pabst, Robert Wiene, Paul Leni e soprattutto Fritz Lang.

Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene del 1920 è considerato un po’ il prototipo del genere, qui un dottore ambulante che è una specie di ciarlatano, esibisce un sonnambulo che controlla con l’ipnosi, ma dove la coppia passa, avvengono strani delitti…

Con ogni probabilità la pellicola più nota e a più alta presenza di soprannaturale, è Nosferatu di Murnau, ispirata al romanzo Dracula il vampiro di Bram Stoker. Il titolo del film (perché il nome del protagonista è conte Orlok) si rifà al romeno nos-feratu cioè non-morto, vampiro. L’aver cambiato i nomi non valse al regista a evitare una denuncia per plagio da parte degli eredi di Stoker, e d’altra parte la somiglianza della trama con quella del romanzo, è evidente. Tuttavia, l’idea di un conte-vampiro “alternativo” a Dracula è rimasta, e nel 1976 Werner Herzog girò un riuscito remake di Nosferatu.

Fritz Lang (1890 – 1976) è considerato il maestro non solo di questo genere cinematografico, ma un po’ di tutta la cinematografia tedesca.

Le sue opere più famose furono il ciclo del Dottor Mabuse (inizialmente tre pellicole che diventarono quattro suddividendo la prima in due parti) e soprattutto Metropolis.

Reso dalla forte interpretazione dell’attore Rudolf Klein-Rogge, Il dottor Mabuse è in un certo senso profetico, incarna la figura del genio del male che si muove disinvoltamente nella finanza, negli affari, nella politica, per acquisire sempre più ricchezza e potere con qualsiasi mezzo lecito e illecito.

Metropolis è una pellicola rimasta famosa nella storia del cinema per gli effetti speciali, la sceneggiatura, le tecniche di ripresa assolutamente avanzate per l’epoca in cui uscì (1927), e questi elementi che hanno permesso a Lang di focalizzare la visione di un futuro fatto di città tentacolari, sono stati d’ispirazione a molta fantascienza successiva, da Blade Runner a Guerre stellari, e questo ha fatto perdere di vista la trama, che è in sostanza quella di una rivolta operaia, ma i rivoltosi non sanno che la loro leader Maria è stata sostituita da un robot umanoide, e che quella che credono sia una rivolta è in realtà strumentale al potere. Fuor di metafora, si tratta di un film anticomunista.

La sceneggiatura del film fu scritta assieme alla seconda moglie di Lang, la scrittrice Thea von Harbou con cui egli ebbe per alcuni anni anche un intenso sodalizio professionale.

Nel 1934 dopo l’ascesa al potere del nazionalsocialismo, alla viglia di un colloquio con Joseph Goebbels che intendeva affidargli la direzione della cinematografia tedesca, Lang decise di fare il salto della quaglia con una fuga improvvisa dalla Germania, rifugiandosi negli Stati Uniti e abbandonando anche la moglie, che era una fervente nazionalsocialista.

La sua motivazione ufficiale fu che temeva che il colloquio con Goebbels “nascondesse una trappola”. Una motivazione credibile o non era invece più verosimile che, entrando la Germania nazionalsocialista in collisione con le potenze che le avevano già imposto l’umiliazione del 1918, si profilava l’eventualità “scomoda” di un secondo conflitto mondiale?

Di certo si può dire che, così come Marlene Dietrich che fece la medesima scelta, Lang non osò rientrare più in Germania nemmeno dopo il 1945, sapendo di essere percepito dai suoi connazionali, di essere in definitiva un traditore.

Io credo, con questa serie di articoli, in particolare dalla ventesima parte in poi, di aver dato sufficiente dimostrazione del fatto che la presenza massiccia nel fantastico di autori anglosassoni non sia dovuta al fatto che questi ultimi siano particolarmente versati nel campo del fantastico, ma alle circostanze storiche che tutti conosciamo, che la Germania aveva analoghe, non inferiori possibilità, ma la sua ascesa è stata stroncata da due guerre mondiali. Si può aggiungere che in un contesto storico diverso analoghe possibilità le avrebbe avuto il nostro bistrattato mondo latino.

Il nostro discorso non è finito, perché le prossime volte vedremo sia di parlare di quest’ultimo, sia del fantastico tedesco, soffocato ma non del tutto estinto dalla catastrofe del secondo conflitto mondiale.

NOTA: nell’illustrazione a sinistra, Richard Wagner, al centro particolare de L’isola dei morti di Arnold Böcklin, a destra, fotogramma di Nosferatu di Murnau.

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