IL RSAA si considera la sintesi di ogni insegnamento iniziatico ed è in questo contesto che il XVIII grado Scozzese si riporta al movimento rosicruciano, su cui è necessario esaminare se i concetti di uguaglianza e giustizia, nel senso moderno del termine, erano enunciati.
L’incapacità del positivismo di comprendere la metafisica filosofica dei secoli precedenti e i suoi profondi influssi sugli avvenimenti politici e sociali, deriva dall’adorazione superstiziosa del dato oggettivo.
Nella storia del pensiero tale concetto è un assurdo, in quanto ogni dato sarà sempre mediato e tradotto soggettivamente, e indotto dai parametri sociologici, ideologici e filosofici dominanti nell’ambiente.
Se il pensiero positivista fece conseguenzialmente nascere alcune nuove discipline scientifiche a lui congeniali quali la psicologia, l’etnografia e l’etnologia, la storia delle religioni, furono proprio da queste che nacquero i primi dubbi sull’effettiva natura “positiva” e “statistica” dell’uomo.
La psicoanalisi scoprì, o meglio riscoprì, una componente occulta nella psiche umana, tanto da dover ricercare comparazioni psico-simboliche nell’antica metafisica e nell’ermetismo nelle sue ricerche. L’inconscio freudiano, la legge di sincronicità junghiana, la psicosomatica di Groddek, l”orgone” di Reich, riaprirono la problematica ermetica sul vitalismo universale e sul rapporto micro-macrocosmico.
Le nuove discipline, attraverso l’opera di numerosi studiosi, posero poi l’accento sull’identità del profondo fra i popoli primitivi quelli civilizzati, ponendo fine all’illusione di un continuo e infinito progresso morale e sociale fondato sulla razionalità positivista e sulle scoperte scientifiche. Le attuali condizioni d’ansiosa insoddisfazione e irrequietezza del mondo attuale, che non ha realizzato le utopie illuministiche e la liberazione dell’uomo attraverso il rinnegamento dell’esperienza delle età passate, hanno riportato l’attenzione del pensiero filosofico sull’individuo come monade irripetibile e centro dell’universo e, conseguentemente, al rifiuto della centralità della “natura” della “società” o della “classe”.
L’età antica affermava l’universalità, reciprocamente specchiantesi, del cosmo e dell’uomo. L’Illuminismo volle sostituire a ciò l’idea di “Natura”, in cui l’uomo di per sé non era più la meravigliosa monade rinascimentale, ma solo un frammento poco importante del cosmo e che aveva un relativo valore solo nella sua qualità di componente sociale. In Hegel si trova già codificata questa tendenza, quando nega la forza d’affermazione della personalità e misconosce il valore dell’individualità, della volontà, del desiderio e della passione. In Marx, poi, non vi è traccia d’alcuna antropologia umanistica. Per lui, gli uomini non costituiscono un’essenza di per sé, non sono, storicamente, se non l’insieme delle loro determinazioni sociali.
La storia stessa, in Marx, non è lo sviluppo unilineare di un’essenza, ma costituisce un processo fondato sulla lotta di classe. Le correnti positiviste dell’ottocento portarono a una diffidenza totale e a un disprezzo della metafisica delle età precedenti, a una sopravalutazione dell’efficacia sociale e morale della scienza, e soprattutto all’idea di una particolare subordinazione dell’individuo alla società. Il positivismo volle costatare che la “positività” della scienza era uno stato di fatto che s’impone all’osservazione storica, e questa constatazione si estese poi in un’analisi sociologica che interpreta la scienza come prodotto storico di una struttura mentale, la mentalità positivista, che succede per evoluzione a quella metafisico-teologica. Il positivismo fu considerato utile, pratico, sociale a priori, come se questi valori pragmatistici s’imponessero dall’esterno come dati neutrali, come se non avessero necessità di un ‘elaborazione filosofica e non fossero soggetti al peso soggettivante dell’emotività e della psiche umana.
Da questa conoscenza nascono le attuali tendenze filosofiche ed esistenziali di ricerca di valori religiosi di tipo sincretistico o di metafisica esoterica, nell’abbandono dell’alternarsi caotico dei valori contingenti e per la linearità assoluta dell’infinito e dell’eterno. Queste tendenze si manifestano inoltre nel campo politico e sociale in una nuova riflessività sul valore carismatico delle ideologie, non più considerate quali effettivamente capaci di risolvere totalmente le necessità economiche e organizzative di una società.
Nel campo storico assistiamo a una rivalutazione degli influssi delle correnti metafisiche sul piano contingente, in quanto queste sono in grado di agire direttamente sull’uomo e sulla sua psiche cosciente e profonda e quindi sul suo comportamento sociale. È solo in questo quadro che è stato possibile ad alcuni storici di impostare e condurre a buon punto una nuova ricerca e una nuova valutazione di quel movimento ermetico e magico che ebbe una sua stagione “rosicruciana” e che portò i suoi affluenti, dal Rinascimento in poi, ne l grande alveo massonico.
Il neoplatonismo fiorentino come origine del pensiero ermetico-rosicruciano.
Niente è nuovo nella storia del pensiero umano, ma da falde nascoste e sotterranee risgorgano spesso acque rinnovate e pure nell’eterno ciclo della rigenerazione dell’idealità spirituale. Il pensiero ermetico ha origine nella lontana alba dell’uomo e se ne potrebbe rintracciare la stessa essenza, in forme diverse, in ogni tempo e in ogni luogo, ma nell’ambito necessariamente ristretto di questa ricerca non si può indicare, quale fonte del pensiero rosicruciano in senso stretto, che l’interesse suscitato al Concilio di Firenze dal traduttore e interprete di Platone, il greco Gemisto Pletone.
Il Concilio di Firenze, che riunì Oriente e Occidente dopo l’infelice parentesi delle crociate, segnò, nel contempo, l’inizio del Rinascimento in senso filosofico. Indetto nel 1439 per la conciliazione della Chiesa di Costantinopoli e quella di Roma, ebbe inizialmente sede a Ferrara ma le manovre diplomatiche di Cosimo de Medici riuscirono a trasferirlo a Firenze. Lo scopo era evidentemente quello di aprire ai banchi e ai commerci fiorentini i ricchi scali orientali, ma gli interessi civili, intellettuali e culturali di Cosimo erano tali che produssero altre più importanti conseguenze nella storia del pensiero umano. La corte dell’imperatore Paleologo Giovanni VII e del Patriarca Giuseppe, le cui spoglie sono conservate in S. Maria Novella, non era composta solo da cortigiani, monaci e sacerdoti, ma anche da dotti, filosofi e sapienti, eredi della tradizione greco-bizantina ed .orientale. Fra questi vi era Gemisto Pletone, che espose le sue conoscenze a Cosimo ed all’ambiente culturale fiorentino, già pregno di un umanesimo d’origine e di lingua latina con forti reminiscenze e nostalgie grecistiche.
I fiorentini s’innamorarono di una dottrina angelica, che portava grazia, bellezza e libertà di contro, alla grigia patristica medioevale al peripatetismo imperante. Cosimo affidò la traduzione delle opere platoniche ed ermetiche a Marsilio Ficino, eminente umanista e latinista, che si dedicò allo studio del greco sotto la guida del Platina. Vespasiano da Bisticci narra che Cosimo regalò al Ficino:
“una casa a Firenze e donogli uno podere a Careggi e di tanta entrata ch’egli potesse vivere ed ancora due compagni e più”.
Nella rustica serenità di Careggi, Marsilio tradusse gli inni orfici e quelli omerici, Proclo, Licio, le Argonautiche e la Teogonia d’Esiodo, alternando gli studi austeri ai più rilassati e piacevoli ragionari di filosofia, in compagnia dei più famosi umanisti dell’epoca, quali il Poliziano, il Landino, Pico della Mirandola e altri. Questo spontaneo radunarsi di filosofi fu l’inizio dell’Accademia Platonica che diffuse, presso tutta l’Europa colta, i concetti del nuovo neoplatonismo1. L’interpretazione neoplatonica del Ficino, tendente a liberare l’uomo nuovo rinascimentale da una dolorosa crisi fra il suo sentimento religioso e quello della ricerca di una maggiore dignità e libertà, fu espressa dalla sua Theologia Platonica di cui è necessario dare una sintesi per rilevarne i caratteri di proto-rosicrucianesimo e i lati d’autentica rivoluzione spirituale. Nella Theologia Platonica il concetto fondamentale consiste nella problematica fra finito e infinito, risolta nell’affermazione che nell’anima razionale umana coesistono ambedue i termini. L’uomo ha quindi la possibilità di vivere sia nel temporale s ia nell’eterno. La terrestrità dell’uomo, lungi dal costituire una limitazione, un’inferiorità, è proprio la dimostrazione della sua superiorità sulle gerarchie angeliche che vivono nella sola dimensione celeste: pur partecipando etericamente alla materia non hanno la possibilità di sperimentarla i n sé. In questo quadro la religione non è più un atto di sottomissione passiva agli stadi superiori dell’essere, ma partecipazione attiva all’infinito della stessa materialità umana.
Non è più Dio che deifica l’uomo, ma è questo stesso che si deifica nella coscienza della sua dignità umana e divina insieme. Questa dignità è tale che lo stesso Dio “non disdegnò di farsi sua creatura”. L’uomo è lo specchio e il compendio dell’universo e attraverso la conoscenza di sé èinfinitamente gradiente verso l’infinito, nella sua volontà di sperimentare in sé ogni vita, di comprendere in sé l’umanità e la divinità.
Il progresso dell’anima razionale trova il suo termine di paragone nella libertà, e quando questa è assoluta anche l’uomo è assoluto e divino. L’anima razionale, la cosiddetta “Terza essenza” è quindi la mediatrice fra macrocosmo e microcosmo e agisce in tre gradi: le anime degli esseri individualizzati, le dodici anime degli elementi e delle sfere (personificazione dell’infinita scala delle entità spirituali) e l’Anima Mundi, ombra della luce divina che ogni anima in se contiene. Le anime, essendo diverse per grado e non per qualità, hanno la possibilità di comunicare fra di loro e di compenetrarsi a vicenda su tutti i piani.
Solo l’uomo però, fra tutte le intelligenze sottoposte a Dio, partecipa di tutti i gradi materiali e spirituali della creazione e attraverso la conoscenza, la compartecipazione e l’identificazione con tutti i gradi dell’anima universale hanno la possibilità di un infinito progresso verso l’infinito divino. Questi concetti, pur nel rispetto formale della religione cattolica tendevano a riportare l’uomo allo stadio classico della paganità astratta e sofisticata di Proclo, Giamblico, di Porfirio e di Giuliano Imperatore, in cui la libertà e la dignità dell’uomo non conoscevano né il peccato originale né la sottomissione dell’uomo di fronte alla natura e a Dio.
Il Ficino (e poi Pico della Mirandola) in seguito alla traduzione del Corpus Hermeticum e altre opere, credettero di aver trovato dei mezzi operativi atti alla reintegrazione dell’uomo, espressa in forma teorica nella Theologia Platonica attraverso pratiche magiche che non si possano in alcun modo considerare come una ripresa della stregoneria medioevale, in quanto ne ribaltano completamente i presupposti.
Nella stregoneria, come nel cattolicesimo ortodosso, la richiesta di un intervento superiore sovrannaturale è collegata alla supplica a un principio, diabolico o divino che sia. Nel concetto magico legato alla renovatio rinascimentale, l’universo è antropocentrico, in quanto l’uomo ermetico, il mago, è ritenuto capace di operare sulla natura con la sua volontà e attraverso la sua possibilità di contatto con le potenze angeliche. L a sottomissione dell’uomo alla natura, entità che nel medioevo era intesa ambiguamente come ipostasi del divino nella materia e nel contempo quale dominio del diabolico, produceva il ristagno delle insofferenze sociali e l’accettazione del principio del potere com’espressione della volontà divina, e quindi intangibile.
Le osservazioni scientifiche considerate ortodosse erano quelle racchiuse nell’ambito soffocante della teologia, mentre l’osservazione empirica era guardata con sospetto e sovente paragonata alla stregoneria. L’uomo nuovo del Rinascimento, pur non potendo prescindere dalla religiosità cattolica, ne sfuggiva ai soffocanti la cci cercando di inglobarla apparentemente nella nuova dottrina. L’esponente più prestigioso di questa tendenza fu Pico della Mirandola che, non potendo dimostrarla in Porfirio e Giamblico, si dedicò allo studio e alla diffusione della Cabbalà, che pur affine e in gran parte identica all’ermetismo era, purtuttavia, più di questo inserita nel solco della tradizione biblica giudaica e cristiana, rappresentando così un migliore anello di congiunzione fra religione e magia.
Queste dottrine, atte a raggiungere alte vette d’introspezione e illuminazione, fecero credere che l’umanità potesse assurgere a una maggiore conoscenza e a realizzare i poteri che Ermete Trismegisto attribuisce potenzialmente all’uomo. Un’apparente contraddizione di queste dottrine, perlomeno da un punto di vista esclusivamente moderno, consiste nel fatto che da una parte si afferma che l’uomo è il centro del proprio universo e quindi occupato esclusivamente della propria realizzazione e del suo “particulare”, dall’altro si attribuisce a quest’uomo la possibilità e la necessità di trasformare la natura e la società in cui vive secondo criteri di superiore perfezione. Il fatto è che quest’intervento nel contingente non ha però dei caratteri sociali, almeno nel senso in cu i oggi ciò è comunemente inteso.
Le città immaginarie e le società utopiche di Tommaso Moro, Giordano Bruno, Campanella, Adriano Boccalini e altri precursori e ispiratori del fenomeno rosicruciano sono derivate in massima parte dalla Repubblica di Platone. Questa “Repubblica” non è certamente una democrazia in cui i poteri provengono selettivamente dal basso verso l’alto, ma una società oligarchica e sapienziale dotata di ferree leggi. L’ordinamento civile, il buon governo e la giustizia che vi regnano, non derivano dal compimento di diritti e doveri uguali per ogni cittadino, ma dall’adeguamento dei reggitori all’ordine divino e angelico del cosmo, ove tutto è pace, giustizia e amore.
Il sapiente riporta quindi ordine nel caos, costringe con la sua volontà la natura e la società ad adeguarsi alla legge divina ed è tramite fra gli angeli e gli uomini, comunicando direttamente con i piani superiori. La felicità del comune abitatore dell’utopia non deriva quindi da una realizzazione giuridica del sociale, ma dal ristabilirsi della naturalità del diritto divino, che, come il sole, non nega ad alcun fiore o frutto il potere vivificante dei suoi raggi. Un’altra apparente contraddizione consiste nella volontà di rinnovamento del vecchio mondo da parte dell’ermetismo rinascimentale, senza che a ciò sia collegato alcun concetto di progresso e d ’evoluzione materiale nel futuro.
Il Rinascimento vide il fiorire della sua stagione non come una visione volta al futuro, ma come un ritorno a un passato che amava e ammirava come una mitica perfezione. L’entusiasmante svilupparsi della matematica, della meccanica, dell’architettura, riscoperte nella traduzione dei testi classici rappresentava il riavvicinarsi dell’età dell’oro, il ritornare sui propri passi per ritrovare una dignità eroica e una gioia di vivere e di sapere persi da secoli d’umiltà e rinuncia cristiana. Questo rifarsi quindi delle dottrine ermetico-kabbalistiche, nella loro eversione della società della loro epoca, a una rigenerazione e reintegrazione delle qualità umane e divine perse dopo un’età felice, e nona un processo evolutivo è estremamente importante per comprendere i successivi sviluppi storici del rosicrucianesimo.
La diffusione delle dottrine ermetiche in Europa nell’evo moderno fu opera di Giovanni Hieidenberg, che latinizzo il suo nome all’uso degli umanisti in Trithemius, da Trittenheim dov’era nato, e dai suoi più famosi allievi, Enrico Cornelio Agrippa di Colonia e Theofrastus Bombastus von Hoenheim detto Paracelso. Paracelso, filosofo, umanista, medico e alchimista, rinnovò i concetti della farmacopea medica, basata allora sui semplici, introducendo la iatrochimica, cioè l’uso delle facoltà curative dei prodotti chimici e minerali su cui è ancor oggi fondata la scienza farmaceutica. Sua è la teoria dell’archeo, che afferma che nella natura è nascosto un artefice, espressione simbolica delle virtù e delle forze naturali, e corrispondente all’incirca al concetto moderno di uno spirito vitale.
In Paracelso l’uomo è considerato quintuplice nelle sue manifestazioni fisiche e spirituali e in contatto armonico e continuo con il cosmo. Dalle corrispondenze micro-macrocosmiche del corpo fisico – e dalle sue componenti sottili – deriva la medicina ermetica e tutta l’operatività ermetica espressa in termini alchemici. La stessa attuale medicina psicosomatica non potrebbe trovare migliore definizione che quella espressa da Paracelso stesso:
“ Sappiate che l’influsso della volontà costituisce u n capitolo importante della medicina. Può avvenire, infatti, che l’uomo che non si concede nulla di buono e che odia se stesso finisca con l’ammalarsi in seguito all’odio che ha per se stesso. L’odio per se stessi proviene da un oscuramento dello spirito. E può darsi che le immagini siano maledette nella malattia, portando seco febbri, epilessia, apoplessia e simili. E voi medici non immaginate nemmeno lontanamente quanta parte abbia nella malattia la forza della volontà, perché la volontà è una genitrice di spiriti di cui l’uomo razionale non sospetta nemmeno“.
Il vagabondaggio medico di Paracelso sembra essere proprio il modello del Rosacroce, Nobile e instancabile Viaggiatore e guaritore. Agrippa, forse il più grande e il più nobile fra i filosofi ermetici, ha avuto un’eccezionale biografo e commentatore della sua opera fondamentale in Arturo Reghini, cui è ben giusto rimandare per qualsiasi ragguaglio, ma che avrebbe purtuttavia una parte fondamentale in questa ricerca essendo le sue ricerche kabbalistiche il fondamento delle espressioni mantriche e mandaliche del fenomeno rosicruciano.
Le idee neoplatoniche, arricchite dai concetti e dalle esperienze ermetiche kabbalistiche, formarono le radici storiche e filosofiche del movimento rosicruciano che, in questa necessariamente rapida successione storica, è già alle soglie del suo presentarsi sul piano del contingente con i suoi famosissimi manifesti.
La crisi europea del XVlI secolo e i primi attori dello scenario rosicruciano.
Prima di affrontare direttamente quello che è lo scopo fondamentale di questo studio, cioè la ricostruzione dei drammatici sviluppi di una tentata e fallita azione sul piano degli avvenimenti politico-sociali del rosicrucianesimo, è necessario esaminare la situazione europea del XVII secolo nel suo quadro storico. Il XVII secolo sotto l’aspetto politico ed economico fu un’epoca di gravissima crisi e involuzione.
L’Europa fu sconvolta da epidemie di peste e di colera che decimarono la popolazione con il concorso di lunghe carestie prodotte da cattivi raccolti e continui conflitti. La popolazione, costantemente accresciuta durante il secolo XVI non riusciva più a nutrirsi convenientemente e l’altissima mortalità infantile, la scarsa alimentazione e la diffusione delle malattie portarono l’età media a venticinque anni. Il 90% della popolazione europea era dedita al lavoro dei campi, estenuata dalle pesanti gabelle, dalle tasse e dalle decime ecclesiastiche.
Il flusso d’oro proveniente dalle Americhe si era esaurito e le attività commerciali e industriali languivano, producendo una riconversione dei capitali della borghesia in campo agricolo. Questo portò a un’ulteriore aggravarsi delle condizioni economiche dei contadini, in quanto il passaggio delle terre dalla proprietà feudale a quella borghese, la cui concezione del profitto era totale e prioritaria, tolse ai coloni anche gli ultimi diritti tradizionali ed essenziali alla loro sopravvivenza, quali il libero pascolo in terreni comunitari e la libera raccolta dei prodotti del sottobosco.
La fame produceva agitazioni e rivolte nelle campagne, mentre le popolazioni cittadine, ridotte all’indigenza dal decadere delle attività industriali e artigiane, chiedevano l’elemosina o si riducevano in servitù per il solo vitto. L’aristocrazia difendeva tenacemente i propri antichi diritti di contro l’irresistibile ascesa della borghesia, che si sostituiva sempre di più alle classi tradizionali nella gestione del potere economico e politico.
L’evoluzione scientifica inaugurava un nuovo metodo di ricerca, basato sulla formulazione d’ipotesi da verificare e modificare mediante la sperimentazione, producendo profonde ripercussioni in campo filosofico. I cosiddetti “libertini”, traendo spunto dalla critica umanistica alle verità rivelate o comunemente accettate divulgavano l’incredulità e lo scetticismo. Al dubbio scettico si opponevano il razionalismo illuminato di Cartesio, l’empirismo prudente di Loke e il panteismo kabbalistico e rosicruciano di Spinoza.
Pur nell’opposizione delle opinioni, si diffondeva sempre più il concetto che l’intolleranza e il fanatismo religioso non derivavano unicamente da considerazioni d’ordine dottrinale, ma che l’uniformità re1igiosa era imposta come garanzia di sottomessi costumi e lealtà politica nei confronti del potere costituito. La reazione all’oppressione politica e al fanatismo si espresse in forme diverse nei vari paesi d’Europa, che diedero ognuno il proprio contributo di pensiero e d’azione. Gli uomini e i gruppi che per primi tentarono di portare nella realtà contingente della loro epoca, forse uno dei più terribili nella storia dell’umanità, furono nella loro maggioranza collegati a quel movimento ermetico che si presentò agli occhi del mondo sotto l’etichetta rosicruciana.
Il liberalismo italiano, che diede un contributo non indifferente a quegli avvenimenti e che influenzò la Stesura dei primi manifesti rosicruciani, ebbe inizio dalla delusione per i risultati del Concilio Tridentino, che avrebbe dovuto portare a misure di tollerante liberalità nei confronti dei Riformati e a una maggiore moralizzazione della vita ecclesiastica. Frà Paolo Sarpi, ecclesiastico veneziano e uno dei maggiori esponenti del liberalismo italiano, pubblicò in Inghilterra la sua “Istoria del Concilio Tridentino” in cui dimostrò c he i protestanti non erano stati invitati, che il parere dei cattolici più moderati non era stato preso in considerazione.
Per quanto riguarda gli aspetti socio-politici del fenomeno rosicruciano, nell’analisi nei soli documenti originali di questo movimento, i due Manifesti, e i successivi appelli rivolti a questa fantomatica organizzazione, di là dalle valenze “occultistiche” prevalenti, troviamo che la forma di potere auspicato era quello della Quarta Monarchia citata dall’Apocalisse, in cui le istanze riformate, l’unità delle sette cristiane e la caduta del potere papale, si esprimevano nell’attesa messianica di un Imperatore.
La giustizia non era vista come una sorta di catarsi sociale e legislativa che producesse un diritto universale, ma come un’elargizione dall’alt o, un potere che attraverso l’Imperatore derivava dal piano divino. Per quanto i Rosacroce siano stati effettivamente i lontani progenitori dell’ideologia pre-illuminista, più per quanto gli veniva attribuito che per un’effettiva concettualità originaria, l’uguaglianza e la giustizia, così come noi oggi le concepiamo, non erano né intuite né tanto meno espresse.
Per tal motivo non è possibile che siano state direttamente trasmesse in Massoneria nel Rito Scozzese. Non dimentichiamo inoltre che nonostante il trinomio fosse invocato nelle Logge già prima dalla Rivoluzione Francese, fu iscritto sulle pareti del tempio solo, a iniziare dalle Logge Francesi, dopo la rivoluzione del 1848, né tuttora fa parte della ritualità anglosassone. Gli scopi e la filosofia del XVIII grado sono stati così descritti da Albert Pike:
Il grado di Rosa Croce insegna tre cose: l’unita, l’immutabilità e la Bontà di Dio; l’immortalità dell’anima; e la definitiva sconfitta del male e dell’ingiustizia e del dolore da parte di un Redentore e di un Messia che ancora deve venire, se non è già comparso. 2
Vittorio Vanni
NOTE
1 Lo storico inglese Francis Yates riporta una frase di Inigo Jones, Gran Maestro della Massoneria operativa del XVII secolo, che affermò che l’idea della Massoneria pro veniva dalle Accademie neoplatoniche italiane.
2 Albert Pike, Morals, dogma and Clausen’s commentaries, Vol. IV, pg. 129, Bastogi Editore, Foggia,.
BIBLIOGRAFIA
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