«Nell’amore ci accorgiamo per lo più troppo tardi se un cuore ci è stato dato solo in prestito, se ci è stato donato oppure si ci è stato addirittura sacrificato»
(Arthur Schnitzler)
Confesso le mie tendenze conservatrici. All’idea di progresso e di cambiamento oppongo istintivamente una tradizione da difendere. Resisto al nuovo che avanza e minaccia le vecchie certezze, rifiutando ciò che non comprendo, questa metamorfosi dei valori che può erodere la mia consolidata visione delle cose.
L’esempio più chiaro di questo atteggiamento retrivo è la mia diffidenza – ma dovrei dire radicale avversione – per i nuovi modelli familiari. L’albero genealogico è un essere arcaico di cui sento le profonde radici, di cui contemplo gli innumerevoli rami dove per millenni han costruito i nidi i miei avi, cui sono legato da una forma d’amore e di rispetto. Ne vedo le nodosità, i rami secchi, i frutti marci, e tuttavia ne ammiro la maestà e quasi mi par di cogliervi una terrena sacralità. I tentativi di abbatterlo, sradicarlo e farne legna per il caminetto mi indignano come una diabolica profanazione.
Ho dovuto quindi prescindere dai miei sentimenti per convincermi che svellere quell’antico tronco farà spazio a nuove piante, più giovani e vitali, adorne di fiori e frutti migliori. Non è stato facile né privo di sofferenza giungere a una simile certezza, ottenuta al prezzo di una soppressione di valori ideali, ma ne è valsa la pena. Tale sacrificio è infatti stato premiato da un immediato allargamento del mio orizzonte intellettuale.
Ho capito che era solo una lunga consuetudine a generare in me l’illusione ottica per cui le usanze alle quali avevo conformato per tanto tempo la mia vita mi apparivano le sole accettabili. Una volte cadute le cataratte del pregiudizio, ho visto che i paradigmi sentimentali, sessuali e familiari cui mi ero sempre ispirato non erano scolpiti nella pietra ma galleggiavano pigri e stagnanti in una palude di condizionamenti culturali. Vedevo leggi naturali dove c’erano solo arbitrarie convezioni sociali e culturali. Per questo mi sembrava contro-natura ciò che le contraddiceva.
Ma una volta superati i miei vecchi preconcetti sono emersi in me, come in un repentino chiarore, i possibili sviluppi del mio nuovo e più ampio orizzonte di pensiero. Ho sentito in me l’energia del futuro e, in questo spirito, mi è balenata un’idea. Sono partito da una semplice constatazione, ovvero che è normale per l’essere umano desiderare di avere dei figli. Questo però implica difficoltà e impegni assai gravosi, sia per chi voglia seguire l’iter tradizionale sia per chi adotti procedure più moderne o agisca all’interno di famiglie atipiche.
E anche una volta che, con metodi classici o tecnologici, si ottenga un/a bambino/a, rimane poi il compito di allevarlo/a, educarlo/a, farsi carico per tutta la vita di problemi e responsabilità. Non è raro il caso che qualcuno si penta di esser genitore a causa delle pene e delle fatiche che tale ruolo comporta. Molti possono così venir scoraggiati dalle difficoltà e rinunciare all’appagamento di un desiderio tanto naturale.
Si trattava dunque di razionalizzare la relazione tra genitori e figli, liberandola dal fardello di tali fastidi. Ma come? Proprio mentre mi arrovellavo su questo dilemma mi ha colto una sorprendente ispirazione. È stato come cadere sulla via di Damasco. Una luce accecante mi ha avvolto. Ho sentito una voce che diceva: “verrà abolita la proprietà privata e sarà un mondo migliore!”.
Era un’idea semplice, profonda, rivoluzionaria – di fatto completamente nuova nella storia dell’uomo – e di eccezionale valore morale, la soluzione di ogni problema. Possedere qualcosa non è infatti un privilegio, come superficialmente si potrebbe credere, ma una gravosa responsabilità. Perciò di questo peso si faranno carico solo pochi, pochissimi grandi filantropi. Se lo metteranno in spalla come una croce per amore del prossimo, mentre il resto dell’umanità ne sarà finalmente liberato.
Non avremo più una nostra casa, una nostra auto, dei nostri vestiti, dei nostri libri e una moltitudine di altre piccole o grandi proprietà di cui preoccuparci. Saremo felicemente liberi. Non so in quanto tempo sarà possibile realizzare questo sogno, ma è in questa prospettiva che è nata la mia illuminazione. Ho pensato che anche i figli sono una ricchezza privata, e che averne comporta una mole di obbligazioni e di impegni incompatibile con la nostra libertà. La mia proposta, semplice e pratica, è dunque questa: si affittino anche i bambini.
Società ad hoc si occuperanno di tutte le noiose procedure relative al concepimento, alla gravidanza e al parto, secondo una gamma di metodiche autonome o eteronome, tradizionali o innovative, tra cui si potrà scegliere liberamente. Il bambino potrà essere affittato a chi ne farà richiesta fin dal primo giorno di vita. Ma chi lo volesse potrà noleggiare un bambino già cresciuto, senza dover aspettare anni perché parli o cammini. E per chi non vorrà subire i suoi turbamenti adolescenziali sarà possibile disfarsene in qualsiasi momento.
Si tratta in sostanza di realizzare anche nel rapporto coi figli quella libertà che già abbiamo raggiunto nelle relazioni di coppia. Sappiamo per esperienza che l’amore è uno stato d’animo passeggero. La formula della locazione d’amore temporaneo è dunque la più sensata. L’affitto potrà limitarsi a qualche ora o giorno oppure estendersi ad alcuni mesi o anni, secondo i nostri desideri. Alla fine del periodo prestabilito ognuno sceglierà liberamente di rinnovare il prestito del figlio, di restituirlo all’agenzia o di cederlo ad altri. Non è mia intenzione definire qui tariffe, formule di noleggio, diritti di recesso ecc. Mi basta esporre per sommi capi la mia idea e sottolinearne gli aspetti funzionali.
Provate a immaginare: per qualche mese noleggiare una bella bimba di tre anni, comprarle delle bambole, farla trotterellare sulle ginocchia, poi riportarla indietro e affittare un maschietto di dieci che potrete aiutare a fare i compiti o con cui andare a pesca. Potrete avere a nolo un ragazzino che vi ammiri e vi ubbidisca, portarlo al cinema, sculacciarlo e metterlo in castigo, fargli le prediche o viziarlo, passargli la mancetta settimanale.
E se vi risultasse antipatico, niente vi impedisce di sostituirlo o, pagando una modica penale, renderlo in anticipo. Se scopriste che fa ancora la pipì a letto o che è un po’ tonto, farete valere il vostro diritto di recesso. Se invece vi piacciono i neonati ne potrete avere uno sempre nuovo cui dare il biberon, cui pulire il sederino per tutto il tempo che vorrete. Potreste anche affittare un bambino malato, per il piacere di accudirlo e curarlo, o una ragazza madre che vi dia dei nipotini, vivendo così tutte le emozioni che un genitore prova in quei casi. Ho già trovato uno slogan efficace: “affitta l’affetto!”.
Ma con gli stessi criteri si potrebbero noleggiare nonni e nonne su misura, ovvero anziani che si prestino a ricoprire questi ruoli tradizionali che, con le nuove forme di fecondazione, spariranno naturalmente. Signori attempati che facciano mostra di una senile saggezza o si inventino epopee familiari; vecchie signore che raccontino fiabe o insegnino ai bambini a dire le preghiere – se vi piace il gusto rétro – o che con la loro esperienza consolino le fanciulle alle prime ferite d’amore. Inoltre, l’affitto di nonni rassicuranti e affettuosi garantirebbe il calore umano necessario in occasione di Natali, compleanni e ricorrenze speciali. Per rendere più piacevole l’intimità familiare si potranno noleggiare con uguali modalità anche cani, gatti o altri animali d’affezione.
Quando il vecchio o il cane non ci servono più o ci son venuti a noia li riporteremo a chi ce li ha affittati, che cercherà per loro nuove locazioni. Questo è certamente meglio che abbandonarli per strada o in un ospizio. Da questi affitti d’amore potremo trarre secondo me innumerevoli benefici psicologici ed economici, creare un mercato ricco di nuove opportunità e sviluppare una rete di relazioni umane sempre nuove e appaganti.
Ma la mia proposta va oltre, rappresenta la speranza di una profonda riforma morale. Tende a prevenire conflitti domestici, a spezzare pesanti catene parentali. La locazione d’amore è una forma d’altruismo sociale. Non chiude i nostri sentimenti nella prigione piccolo borghese della famiglia tradizionale ma li distribuisce generosamente tra vari soggetti, donando a ciascuno di loro un po’ del nostro amore. Vuol dimostrare che una famiglia non poggia su tristi obblighi civili o religiosi ma sul piacere di star insieme e amarsi liberamente, senza esservi costretti.
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