Viviamo nell’epoca della globalizzazione tecnico-economica che rende il mondo un immenso mare, un’immensa superficie liscia ed omogenea, sempre uguale a se stessa, dove l’omologazione dell’umanità corrisponde a un grande mercato composto da consumatori integrali, cioè da uomini tutti uguali, individui massificati alla maniera dell’american way of life, vestiti tutti allo stesso modo, con gli stessi desideri, con le stesse convinzioni, con la stessa lingua neo-imperiale, l’inglese, frequentatori del centro commerciale, incollati alla tv o ad uno schermo del computer, dimentichi della trascendenza, che conducono una vita sessuale libera da ogni condizionamento, che si divertono tutti allo stesso modo (discoteche, concerti rock e pop, karaoke, ecc.).
Questo processo ha avuto un potentissima accelerazione già dagli anni Sessanta del XX secolo, quando la società dei consumi non solo ha cominciato a produrre in serie oggetti tutti nuovi e uguali per uomini uguali perché massificati (cioè omologati alle mode, al vestiario, alla musica di provenienza anglosassone), ma ha contribuito alla diffusione di quel materialismo e di quell’edonismo di massa (quasi sempre legati a quelle stesse mode) che hanno rafforzato ed esasperato l’individualismo (l’altra faccia della massificazione) e desacralizzato le masse ben più a fondo di quanto, contemporaneamente ma con altri metodi più rozzi, non riuscisse a fare l’ateismo sovietico, apertamente ostile alla religione.
Le giovani generazioni occidentali degli anni Sessanta e Settanta, cresciute col nuovo benessere e nel suo culto, hanno quindi sposato quel Sessantotto-pensiero che è stato la principale causa culturale della crisi ideale che stiamo vivendo (la causa materiale, occorre ribadirlo, è l’onnipresenza e l’onnipotenza della merce e del denaro).
I sessantottini hanno lavorato in perfetta “falsa coscienza” per il capitale globale, che a parole dicevano di voler combattere. Dicevano, infatti, di voler abbattere il capitale, ma non ci sono riusciti. In compenso le loro idee hanno conquistato quelle stesse élites ultracapitaliste, quindi profondamente e integralmente materialiste, che erano per natura predisposte ad abbracciare quell’ideologia egualitaria riveduta e corretta, emendata cioè della sua carica economicamente sovversiva, nel momento in cui essa non mirava più all’abolizione della proprietà privata.
Le epoche dove il primato è del denaro, sono anche quelle nella quali imperversa la peggiore febbre egualitarista.
Tanto più allorché essa rivendichi, come nel caso del femminismo e dell’immigrazionismo, “diritti” che permettano di calmierare stipendi e salari mantenendo invariato il flusso delle merci e dei consumi. Infatti, il lavoro femminile generalizzato, incentivato come momento di emancipazione e necessitato dalla spinta al consumo, ha nuociuto in molti casi alla stabilità famigliare e alla natalità, ma ha contribuito alla crescita economica (due stipendi più bassi al posto di uno più alto, a capacità di consumo invariato o superiore), che è il primo comandamento del monoteismo del mercato; così il numero sempre maggiore di immigrati non sindacalizzati, presenti sul suolo europeo e disposti a lavorare per salari bassi, ha consentito di mantenere sotto controllo o addirittura deprimere il costo del lavoro.
Se gli interessi economici costituiscono il fine del nuovo individualismo egualitario, i mezzi per conseguirlo non hanno tralasciato nulla di intentato nell’attacco dissacratore avverso i principi della comunità naturale e della società tradizionale, indicate come un coacervo di oscurantismo e repressione, in opposizione alle teorie formulate dal pensiero relativista e radicale, figlio degenere e pervertito della vecchia eredità illuminista e positivista.
L’azione congiunta dello Stato moderno e del mercato hanno determinato la grande frattura che ormai ci separa dalle società tradizionali, l’apparizione di un tipo di società dentro la quale l’uomo individuale si prende per fine ultimo e non esiste che per sé medesimo.
Frutto del sostrato materialista della società dei consumi, le nuove rivendicazioni individualiste, cosmopolite ed egualitarie, laiciste, anti-identitarie e profane, si concentrano intorno alla demonizzazione del passato europeo, alla promozione di una mentalità cosmopolita o mondialista, alla retorica delle vittimizzazione selettiva delle minoranze (il politically correct, oscena creazione delle università e del circo mediatico degli Stati Uniti d’America) e all’esaltazione dei diritti umani, acriticamente, violentemente e dispoticamente affermati.
Ne è un esempio l’imposizione terroristica dell’omofilia obbligatoria e della società “meticcia” o “multiculturale”. In questo tipo di società, questi uomini atomi, questi individui, si considerano primi, si identificano come l’origine, si distaccano dal sacro e dall’autorità e si concepiscono anche su un piano di uguaglianza con gli altri uomini. Questa centralità dell’uomo è, nella pratica, la centralità dell’individuo.
D’ora in poi quando la modernità dice “uomo” intende “individuo”.
L’individuo però non è l’uomo inteso nella sua accezione classica e naturale, ma un essere separato, resecato dalla comunità alla quale appartiene, e che si sente svincolato dall’auctoritas e dalla tradizione che lo precedono, un essere desocializzato e destoricizzato, la cui natura sociale e politica non è affatto costitutiva della sua umanità. Dall’economia alla politica (sottomessa all’economia!) il passo è breve.
Anche il Nuovo Ordine Mondiale di cui oggi si parla è il frutto della tentazione egualitaria, di quella passione per l’uniformità e per l’identico tipica del pensiero economico che trasferisce la sua infezione nelle Istituzioni. Non a caso è proprio la banconota del dollaro a portare iscritto il motto paramassonico “Novus ordo seclorum”, cioè
Nuovo Ordine Mondiale.
Nuovo Ordine Mondiale.
E’ un’ideologia, quella del mondialismo, che ha uno stretto legale con l’individualismo e l’egualitarismo, che ne sono le logiche premesse. I tre fattori dell’uguaglianza, del materialismo e dell’individualismo formano un insieme coerente, dove ciascun fattore viene dall’altro ed anche lo rafforza.
Infatti solo se gli uomini sono atomi tra loro interscambiabili, come nella stessa teoria dei diritti umani, si può pensare a quella cosmopolis egualitaria, che è il sogno congiunto della destra del denaro (finanzieri, banchieri, multinazionali) e della sinistra politica, anche quella che si definisce no-global (ma che in realtà è global cioè internazionalista e mondialista, prefiggendosi di regolamentare la globalizzazione tramite lo Stato mondiale omogeneo).
La globalizzazione, infatti, essendo fondamentalmente egualitaria, parte da premesse economiciste ma sogna di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati in una sola razza, un solo popolo, un solo Stato.
Questo è il motivo per il quale tutti i movimenti identitari e cosiddetti populisti, che intendono combattere l’immigrazione di massa e difendere le particolarità storiche dei loro popoli, vengono demonizzati dal circo mediatico e dalla classe politica progressista, di destra e di sinistra.
Le tendenze egualitarie sono andate ben oltre l’economicismo marxista, portando avanti la distruzione di ogni pur lieve forma di differenziazione in ogni ambito dell’uomo e dell’universo.
Niente più Stati e patrie, niente più differenze di razze (il famoso melting pot: il termine stesso razza suona ormai in maniera negativa, come se le razze non fossero, in natura, come qualsiasi altra diversità). Niente più distinzione culturale, niente più distinzione persino ontologica.
Dovremmo quindi batterci perché non si realizzi, attraverso la politica di Washington, della NATO, dell’ONU, della UE e del grande capitale finanziario e delle multinazionali, un nuovo “nomos della terra” unipolare sotto guida statunitense, preludio di uno Stato mondiale futuro, ma bensì un mondo multipolare, dove la stessa Europa, rispettosa dell’autonomia di Stati nazionali al loro interno federati o confederati – e quindi rispettosi delle identità diverse che li compongono, delle patrie carnali e naturali che non si possono ridurre all’astrazione della nazione – venga a costituire un polo autonomo di civiltà al fianco degli altri, distanziandosi dalla politica atlantista e appoggiando la Russia nel suo tentativo di costituire un pluriverso, un nuovo “nomos della terra” che, come auspicava Schmitt, permetta a grandi spazi continentali di gestire e controllare le potenze della tecnica e dell’economia.
Perché l’uomo non è un essere universale, ma un essere particolare, radicato in una terra e in una cultura, anche se capace di aprirsi e tendere all’universalità.
La sua apertura all’universalità lo rende unico tra tutte le creature, ma questa apertura non sacrifica mai del tutto la sua particolarità. E anche se la negazione dell’apertura all’universale è, a volte, divenuta disumana, la negazione della particolarità è apertamente antiumana.
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