Sono momenti concitati quelli che si diramano in tutto il continente. “Parigi è stata colpita, l’Europa è stata colpita!”, “si è tentato di uccidere la libertà d’espressione”, questo ed altro viene tuonato sui giornali, dai media, e si può ritrovare anche nelle bocche della gente comune. Si afferma con risolutezza “Je suis Charlie” e con una continuità quasi da rasentare un mantra.
Le reazioni della politica, delle istituzioni di tutte le capitali europee si competono nel tentativo di esprimere le une di più delle altre, la vergogna lo sdegno il ribrezzo per tali esecrabili atti.
L’accaduto è ancora troppo “caldo”, il sangue sparso è ancora troppo “caldo” per addivenire a riflessioni serie, pertinenti, non in preda al furore emotivo.
L’eccezionalità e lo sbigottimento appaiono essere i caratteri principali di tutta questa tragica storia.
La domanda più spontanea, l’enigma più prossimo che riempie le menti è costituito dal “Perché?”.
E giù fioccano le più disparate analisi e i giudizi più eterogeni. Ma come si è accennato il carico di emozioni è fin troppo forte ed annebbia le menti. Forse solo ad acque calme si riuscirà a addivenire a riflessioni, se non giuste, quanto meno imparziali. Uno dei tentativi più tristi, che a detta dei formulatori cerca di rispondere al “Perché?”, ma che in realtà esce macroscopicamente dal merito, è l’appello che da le solite parti arriva per spegnere in anticipo il possibile accendersi di focolai xenofobi e la denuncia di tutti quei “aggregati” che una situazione del genere potrebbero “monetizzare” a proprio favore.
Episodi come questi hanno la qualità di far saltare i vecchi schemi di giudizio, di ridimensionare il tutto e creare diverse vedute. Ma rendono anche visibile chi soffre di una perpetua miopia e di una totale incapacità ad uscire dai propri “spazi definiti”. Soprattutto chi per troppo tempo ha abitato i salotti delle alte sfere e che rimane intoccato dall’aria che sta fuori, specialmente se quest’aria diventa un vento impetuoso foriero di situazioni del tutto nuove o comunque non vissuto da molto.
La strage di Parigi è un caso nuovo, come è nuovo tutto il sommovimento mondiale che si sta vivendo.
E’ giusto richiamare tutti alla calma, a non perdere il senno, a non compiere altre efferatezze. Ma il cercare anche in queste condizioni, di rimettere gli accaduti all’interno delle vecchie logiche “destra – sinistra”, “xenofobia – antirazzismo” non giova a questo ottimo intento ed anzi crea le condizioni per l’evolversi della rabbia, e in ultimo si palesa come la corsa al salvarsi dello status quo vigente che sente troppo bene il fuoco sotto i suoi piedi. E ne ha paura, una terribile paura.
Forse prima ancora del “Perché?”, sarà giusto domandarsi “Come si è arrivati a tutto questo?”
E’ innegabile un fatto: che le regole su chi si basta la nostra società sono sbagliate e atti così eccezionali ne sono la prova più atrocemente concreta.
A qualcuno sembrerà banale, ripetitivo e forse fomentatore di odio. Ma questo sangue ha due mandati precisi: il multiculturalismo ed il relativismo.
Sembra che si voglia sventolare i soliti “spauracchi” ed invece non si comprende quale terribile errore sta nel non contemplarli e scacciarli a tutti i costi.
Ma in chi trovare il come si è arrivati a ciò, se non proprio in quei bollati spauracchi? La tanto cercata “società aperta”, che ha creato le “frontiere aperte” e le “culture aperte”, non si sta rilevando in altro se non nel suo esatto contrario, nella sua involuzione più pericolosa. Popoli tanto diversi, fin dentro il sangue, messi in unico coacervo, alla lunga diventano un vulcano in eruzione. Un potente esplosivo!
I passivi comportamenti che hanno portato a guardare inerti l’arrivo in tanti decenni di cospicue porzioni di popolazioni allogene, le politiche fin troppo favorevoli verso l’immigrazione, le culture dell’accoglienza e dell’integrazione senza se e senza ma che hanno portato a sbandierare concetti come lo “Ius soli” e quindi la cittadinanza per il semplice fatto di essere nati su pezzo di terra (scansando completamente l’importanza che c’è nell’omogeneità comunitaria e culturale), hanno reso possibile questa escalation di violenza. Dove ci ritroviamo gente che anche dopo quattro generazioni vive e si sente estranea al contesto che la circonda, farsi forte delle proprie culture difronte alla nostra perdita di cultura, partire con un passaporto di uno degli sati europei, addestrarsi in luoghi lontani alla lotta “spirituale” e abominevolmente materiale, ritornare da noi e fare strage in mezzo a noi.
Parigi è un esempio di come certi virus viaggino liberi nelle arterie delle nostre città. Perché le nostre difese erano troppo preoccupate dallo svolgere il loro compito, ovvero essere difese.
E poi lui: “il relativismo”. Di cui il multiculturalismo è figlio, che pone le basi di esso. Che tutto generalizza, che tutto equipara. Che non solo porta a credere che il concetto di “popoli” e di “convivenza” sia relativo, ma che anche si appropria della “libertà” di criticare, di fare satira su tutto e su tutti, allo stesso modo.
L’occidente da un tale atto ne rimane “paralizzato”. Non si credeva che scherzare, divenuto schernire, alla lunga con le sacre icone avrebbe portato alla estrema reazione di qualcuno, per cui ancora quelle tanto satirizzate immagini valgono qualcosa.
A dispetto di tutto, e a dispetto anche di chi “storcerà il naso” leggendo, questi brutali assassini hanno dimostrato che c’è qualcosa di ben altro superiore ti tutte le libertà di espressione, di tutte le libertà di satira, di tutti i tracotanti “diritti fondamentali”; che c’è ancora qualcosa di “sacro” per cui valga la pena morire.
Un senso di difesa di ciò che si reputa intoccabile, un sentimento di “appartenenza” talmente profondo ed anche fanatico se si vuole, che fa premere il detonatore di una bomba o il grilletto di un mitra. Un senso ed un sentimento che, come detto, paralizza l’occidente, lo rende inerte ad una tale pazzia. Perché cancro di tutto è quel relativismo che succhia e svilisce l’identità europea, le sue figure, le sue radici più profonde e che anzi ne fa un bersaglio della ridicolizzazione, dell’imbarbarimento più vero, del sacrilego più ostentato. E che una volta distrutto il proprio si rivolge a quello altrui, non curandosi minimamente di notare se ciò sia una cosa ben gradita in casa d’altri. Ma invece giustifica e sostiene il tutto come “un’inviolabile diritto alla libertà di espressione”.
Dicono che è stata livellata l’umanità, che azioni tali ci riducono in bestie. Si abbia il coraggio di dire che l’inchiostro di una delle penne che ha firmato questo scempio, questa “livellazione”, sia riscontrabile sotto i “polpastrelli” di quella libertà di espressione che tutto livella, che tutto accomuna, che tutto sbeffeggia.
E ancora, di questo relativismo che si crede libero dalla pesante egida delle religioni. Ma che crea anche esso profeti, testi sacri, discrimini religiosi e guerre religiose. Che anche esso, ironia della sorte, è una religione!
E se anche tutta la sanguinosa vicenda di questi lunghissimi giorni, fosse un bluff, un astuto raggiro per chi sa quale losco interesse, come si sta facendo notare dalle tante incongruenze del caso che stanno sorgendo. Ciò comunque non inficerebbe il discorso fin qui tenuto. Che forse anche esso è dettato dalla emotività ancora troppo forte ed iconoclasta. Ma da queste posizioni forse si riuscirà a trovare anche il tanto agognato “Perché?”.
Si vuole cercare i colpevoli? Non li cercate in quei folli fondamentalisti. Loro, signori!, sono soltanto gli esecutori. Non rivolgete il vostro sguardo lontano a chi sa quale terra o luogo. Basterà guardarsi molto più vicino, basterà porsi difronte ad uno specchio.
Da più parti si sprona a ritrovare l’unità in difesa della libertà e si riversano folle oceaniche nelle piazze, matite in mano e rivolte al cielo, per dare un segnale di forza. Ma l’unica unità, la sola forza che va ricercata è nel profondo spirito europeo, dei suoi credi, dei suoi miti, nella libertà di essere europei. Prima che “la libertà” ci incateni.
Federico Pulcinelli