Annunciata da peana di ludibrio ed altisonanti squilli di tromba, la rielezione di Sergio Mattarella al soglio di Presidente della Repubblica, ha avuto l’apparenza di un vero e proprio miracolo all’italiana, all’insegna del classico e gattopardesco che “tutto possa cambiare, perché nulla debba cambiare”. Dopo liti, battibecchi, veti incrociati e rifiuti.
Dopo una risma infinita di nomi personaggi “super partes” (almeno a sentir Lor Signori…), tra cui non poche rappresentanti del gentil sesso, dopo più e più fumate nere, novità delle novità, la scelta è ricaduta proprio sull’unico nome sul quale, a detta del blocco delle opposizioni, non sarebbe dovuta ricadere la scelta e cioè quello, per l’appunto, dell’ex Presidente della Repubblica. Da una parte, si grida alla vittoria del prevalere di una forma di (posticcio; sic!) buon senso, dall’altra si preavverte il disagio per l’atteggiamento di una classe politica, mostratasi incapace persino ad eleggere una carica dall’unificante valore simbolico, quale quella rappresentata dalla Presidenza della Repubblica.
Si parla tanto anche di scelta coraggiosa e responsabile, da parte di Mattarella, nell’accettare tale gravoso incarico del quale il poverino avrebbe, ben volentieri, fatto a meno. Tant’è che si dice che, tra le segrete stanze del Quirinale, forte spirava l’aria di trasloco dell’inquilino presidenziale e dei suoi scatoloni. Allora, siamo di fronte ad un vero e proprio miracolo di ingegneria politica o che? A chi scrive, pare, invece, che siamo invece di fronte ad una magistrale commedia all’italiana. Una fiction con tanto di protagonisti e co protagonisti.
Tutti intenti a recitare una parte di un ben collaudato copione: quello di una democrazia ancora animata, al proprio interno, da una qualche forma di dialettica, in cui esiste ancora un libero dibattito tra liberi rappresentanti eletti dal popolo, del quale si debbono tener conto gli umori… Una fiction, dicevamo, che invece nasconde una ben più triste realtà: quella di un paese che sta man mano, scivolando verso una inedita e subdola forma di autoritarismo, coniugato all’insegna dell’emergenza ora sanitaria, domani chissà, e che, da troppo tempo oramai, va demandando i poteri decisionali del popolo, (ovverosia il momento elettorale, sic!) a personaggi sempre più arbitrariamente nominati da Capi dello Stato sempre più slegati dal sentire politico e sempre più, invece, sensibili ai richiami di istituzioni sovranazionali, di natura spiccatamente finanziaria.
I governi Monti e Renzi, sotto la presidenza Napolitano, prima, i governi Conte e Draghi ora, sotto la presidenza Mattarella. Con la differenza che, con la scusa dell’emergenza sanitaria, si è verificata una privazione delle fondamentali libertà dei cittadini, prima impensabile. Non solo. I notiziari ed i media “embedded”, ci magnificano con toni trionfalistici, “performances” della nostrana economia, che sembrano ben lontane dalla cruda e dolorosa realtà, di un’economia stravolta da un biennio di dissennate chiusure e privazioni, da attività chiuse e da posti di lavoro perduti.
In tutto questo delirio di assurda onnipotenza, si va invece prospettando la realtà di un regime arroccato nel proprio immobilismo, timoroso del confronto elettorale e pertanto volto a congelare nel tempo i propri privilegi, nel nome di un’emergenza senza fine. Negli Stati uniti, in Canada, Germania, Paesi Bassi ed in molta parte dell’Est Comunitario d’Europa, si respira un’elettrica aria di rivolta. La gente esasperata scende in piazza e cerca di reagire ai soprusi di ceti politici, oramai asserviti a ben altri interessi, che non a quelli dei rispettivi popoli. Ovunque, si comincia a tentennare, dubitare, processare e condannare.
Nella maggior parte d’Europa, i cosiddetti tamponi sono gratuiti o quasi e certe folli disposizioni restrittive, sono state ritirate o sono sul punto di esserlo. In Italia no. Da noi la democrazia va appannandosi, a pari passo con le libertà individuali, sempre più palesemente violate, nel nome di un ricatto chiamato “passi verde/green pass”. Si sciorinano cifre e statistiche, che vanno via via, facendosi sempre meno credibili, per tenere la gente nella paura ed impedirle di ragionare (e votare…). Nei notiziari serali, si parla solo di vaccini e di Sanremo, poco o nulla è dedicato a notizie dall’estero o altro.
“La Cina è vicina”. È vero, almeno all’Italia e mai come ora. Ma tutto questo non promette nulla di buono. I momenti di grande stasi, di chiusura, quasi sempre preludono ad improvvisi scoppi di collettiva follia, o a grandi e repentini cambiamenti. “La Cina è vicina”. È vero. Il governo Draghi deve proseguire nella sua opera di smontaggio delle nostre libertà e quella della rielezione di Sergio Mattarella, è stata la farsa finale, il voler mostrare che da noi esiste ancora la democrazia, il dibattito, anche se poi va a finire come abbiamo visto.
A questo punto, un minimo di politica decenza, vorrebbe non si parlasse più di “anti fascismo” e la si smettesse, una volta per tutte, di assegnare punteggi di democrazia agli altri, che si chiamino Putin, Erdogan, Al Sissi, Talibani o altri ancora. E per concludere. “La Cina è vicina”. Sì è vero. Ma è anche vero che, stavolta, tutti o quasi, i partiti hanno perso la faccia e se ne stanno accorgendo. Ma stavolta, potrebbe esser davvero troppo tardi. Troppe malefatte, troppe privazioni, a danno degli italiani. Già la considerazione che, esecutivi che agiscono senza la necessaria legittimazione popolare, emettono provvedimenti inficiati da un evidente vizio, sia di forma che di sostanza e perciò stesso, impugnabili ed annullabili d’imperio, dovrebbe farci riflettere sulla precarietà politica di questi signori.
Non può sempre andar bene e cercare di nascondersi dietro alle foglie di fico dell’emergenza, o del finto dibattito sull’elezione del Presidente della Repubblica, servirà ben poco. Sempre più, va prendendo piede, tra la gente, la sensazione di esser tutti stati fatti oggetto di una colossale montatura, il cui amaro prezzo qualcuno dovrà, giocoforza, pagare. Volente o nolente. È solo una questione di tempo. E stavolta, è proprio il caso di rifarsi al vecchio e sempre attuale detto: chi vivrà vedrà!
UMBERTO BIANCHI
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