17 Luglio 2024
Giornata del Ricordo

Dal confine orientale, per non dimenticare. Quarta parte – Fabio Calabrese

Eravamo nel 2004. Quell’anno cadeva il cinquantenario e restituzione di Trieste all’Italia. Il comune di Trieste aveva organizzato una manifestazione per celebrare l’evento, e richiese a ogni scuola superiore triestina di inviare una classe sul colle di San Giusto dove si doveva tenere la celebrazione, a cantare l’inno nazionale e sventolare il tricolore. All’uopo, a ogni scuola interessata fu inviato un pacco contenente copie dell’inno di Mameli e bandierine tricolori.

Nessun preside di nessuna scuola triestina decise di aderire all’iniziativa, non solo, ma il preside di uno dei due licei scientifici cittadini, proprio, per ironia della sorte, quello che porta il nome del martire dell’italianità Guglielmo Oberdan, decise di dare al suo rifiuto una particolare enfasi, facendo allestire nel cortile della scuola una specie di rogo dove fu platealmente bruciato il pacco contenente gli inni e le bandierine. Non vi stupirà sapere che quest’uomo era stato candidato del PD alla presidenza della provincia di Trieste poco tempo prima.

L’istituzione della giornata del ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo, avvenuta proprio nel 2004, in uno dei rari momenti in cui l’Italia non è stata governata dal centrosinistra, doveva averli fatti rodere, e parecchio.

Tutto ciò ci rimanda a due ordini di problemi: prima di tutto, quello gravissimo e che ancora adesso le forze di centrodestra e gli anticomunisti, a mio parere sottovalutano largamente, della posizione di pressoché monopolio che “i compagni” a partire dal 1968 sono riusciti ad assumere nella scuola italiana, ed è un problema gravissimo, se pensiamo che per la scuola passa la formazione, che diventa deformazione dei nostri giovani. Gli insegnanti che non condividono le fallimentari idee marxiste sono costretti al silenzio sugli argomenti “tabù” o si espongono alle peggiori ritorsioni, cosa che io stesso ho più volte sperimentato sulla mia pelle.

Potrei ricordare quanto avvenne a me nel 1991. All’epoca era appena avvenuta l’uscita della Slovenia e della Croazia dalla Jugoslavia. Il presidente della repubblica italiana Francesco Cossiga, forse l’unica persona degna che è salita a tale carica, cosa che, come vedremo, non si può certo dire per Sergio Mattarella, contravvenendo all’accordo segreto intervenuto tra il governo jugoslavo e quello italiano, rivelò che era stato concordato che l’esercito federale jugoslavo, ritirandosi dalla Slovenia si sarebbe dovuto imbarcare a Trieste per raggiungere i territori ancora jugoslavi via mare.

La cosa provocò nei triestini un comprensibile moto di orrore, trent’anni fa era viva ancora molta gente che ricordava l’orrore e le atrocità scatenate dell’immediato dopoguerra dagli jugoslavi nella nostra città. Questo nonostante un comunicato del PD locale (allora si chiamava DS, mi pare, ma non è che l’ambarabaciccicocò delle sigle abbia cambiato qualcosa) che ci invitava ad accogliere gli jugoslavi fraternamente a braccia aperte (avevano smesso ufficialmente di chiamarsi comunisti, ma il servilismo verso la stella rossa rimaneva inalterato).

Io all’epoca lavoravo al liceo “G. Galilei”, l’altro liceo scientifico cittadino, e avevamo un preside non solo comunista, ma un vecchio stalinista di quelli duri, compagno e amico del preside dell’altro liceo scientifico di cui vi ho detto.

Quel giorno arrivai a scuola e trovai le classi in subbuglio. I ragazzi avevano richiesto al preside un’assemblea d’istituto, e costui, sempre pronto a concederla per qualsiasi fesseria purché utile a fare propaganda di sinistra, gliela aveva rifiutata in un momento così delicato della vita della nostra città.

Dissi ai miei allievi: “Andiamo in classe, e ne parliamo”. Così facemmo, la mia lezione fu un’assemblea di classe ufficiosa, nella quale parlammo della situazione e della dolorosa storia pregressa della nostra città. Giovannone (così era soprannominato il preside, ma non aveva di certo sotto la scorza comunista, l’umanità del Peppone guareschiano), venne a saperlo, e da quel momento cercò in ogni modo di rendermi la vita impossibile con un durissimo mobbing, mi fece passare due anni d’inferno, finché non ottenni un trasferimento.

Ora badate bene, io non mi voglio affatto paragonare a quanti hanno pagato un prezzo ben più pesante, talvolta anche la vita, e i nomi li conosciamo tutti, per difendere le nostre idee, ma quanto meno quell’esperienza m’insegnò quale fosse il concetto di democrazia dei “compagni”, parafrasando Voltaire, “Non sono d’accordo con le tue idee, ma batterò fino alla morte (la tua) per tapparti la bocca”.

Non vi è quasi nessuna idea che non possa essere contestata, tranne l’aritmetica. Che undici meno quattro faccia sette, non può essere messo in dubbio da nessuno.  Tra il 2004, data del famoso rogo nel cortile del liceo Oberdan al 2011, passano sette anni, non 70, troppo pochi per un cambio generazionale, per un cambio credibile di mentalità. Nel 2011 i sedicenti democratici, in occasione del centocinquantenario dell’unità italiana, si sono scoperti all’improvviso grandi patrioti, sembrava la materializzazione della famosa caricatura di Guareschi, “Contrordine, compagni”, gente a cui poco prima davano fastidio perfino i tricolori negli stadi, girava ora con la coccardina tricolore all’occhiello.

Tuttavia bastava prestare un po’ di attenzione per rendersi conto di come stessero effettivamente le cose: questa improvvisa ventata di patriottismo era un alibi per “venderci” l’idea degli immigrati come “nuovi italiani” e lo ius soli. Altra regola basilare che ebbi modo se non di imparare, di ripassare in quella circostanza: di tutto ciò che viene da sinistra, bisogna presupporre fino a lampante evidenza contraria, la malafede.

La stessa cosa bisogna pensare oggi quando vediamo il 10 febbraio le delegazioni del PD alla commemorazione davanti alla foiba di Basovizza. Tanto per cominciare, sarà bene ricordare che quando fu proposta l’istituzione della Giornata del Ricordo, a votare contro di essa non furono solo gli stalinisti “duri e puri” di Rifondazione Comunista, ma anche, ad esempio Nichi Vendola, leader di Sinistra, Ecologia e Libertà ed ex presidente della regione Puglia, ma soprattutto, i continui danneggiamenti ed imbrattamenti un po’ in tutta Italia dei monumenti e delle lapidi che ricordano la tragedia delle foibe e dell’esodo, ci dimostrano chiaramente quale sia ancora oggi il vero animo dei “compagni”.

E come dimenticare il fatto che per sessant’anni, la memoria di quella tragedia è stata accuratamente repressa e nascosta? Solo ricordare quei morti, quelle vittime della violenza comunista, significava essere “fascisti”.

Ricordiamo anche il fatto che qualche tempo prima dell’istituzione della Giornata del Ricordo, una procura avanzò alla “nostra” magistratura, dove per disgrazia abbondano le toghe rosse, una richiesta di indagare sugli eccidi delle foibe, richiesta che fu respinta adducendo il pretesto che questi fatti sono avvenuti in territori che non rientrano più sotto la giurisdizione italiana, il che è falso, perché quanto meno la foiba di Basovizza si trova in territorio restituito all’Italia, a due passi da Trieste. La consegna era chiara: il pozzo senza fondo degli orrori del comunismo non andava scoperchiato.

Noi dobbiamo pensare che a differenza del militante “rosso” medio, i vertici del PD non siano composti da individui totalmente decerebrati, e d’altro canto non dimentichiamo che in questo partito sono confluiti pure i rottami della DC, che avrebbero ben potuto dare ai “compagni” lezioni di ipocrisia, ammesso che questi ne avessero bisogno. Evidentemente costoro si sono resi conto che una volta scoperchiata la pentola, non si poteva richiudere come se niente fosse.

Non è la prima volta che costoro, per illudersi, e per far credere di essere “nel senso della storia” hanno dovuto fingere che la storia vada nel loro senso. Ricordo ad esempio che quando nel 1989 le TV trasmisero in diretta l’abbattimento del muro di Berlino, seguii la cosa su RAI3, la più rossa delle reti della TV di stato. Non era solo la fine di un incubo che aveva gravato sull’Europa per sessant’anni, era una gioia supplementare ascoltare i telecronisti “rossi” fingere di essere lieti dell’evento quando le loro espressioni e i loro toni di voce dicevano tutto il contrario. Cosa volete? A volte un po’ di cattiveria fa bene all’anima!

Tuttavia, credo che “i compagni” che hanno una coda di paglia chilometrica, sopravvalutino la capacità della gente di capire e ricordare. Nel 2007, quando la foiba di Basovizza fu inaugurata come monumento nazionale, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza tenne un discorso talmente vago e generico, che alcuni giornalisti presenti provarono a chiedere ai giovani presenti, ovviamente sprovvisti di cultura storica come “l’educazione democratica” comanda, se avessero capito chi fossero stati gli autori della strage. Molti ammisero di non averlo compreso, altri risposero “I nazisti”. E’ da notare che i nostri giovani hanno purtroppo interiorizzato la mentalità da film hollywoodiano, per la quale “i buoni” vincono sempre, e  di conseguenza i vincitori sono automaticamente collocati tra “i buoni”, attribuendo ai vinti le loro atrocità.

Roberto Dipiazza non è un uomo di sinistra, è un esponente del centrodestra, ma, come tutti, aveva interiorizzato sessant’anni di reticenza a denunciare le atrocità del comunismo.

I “democratici” del PD dicono di aver abiurato le mostruosità del comunismo (di cui gli eccidi delle foibe e il dramma dell’esodo non sono le più ampie, basta pensare che nei gulag staliniani sono sparite qualcosa dai 60 ai 100 milioni di persone, ma sono quelle che come italiani ci toccano più da vicino), ma i loro comportamenti reali non fanno che smentirli.

Ricordiamo ad esempio che l’attore Leo Gullotta fu aggredito a un convegno di giovani del PD, perché colpevole di aver recitato una parte nel film Il cuore nel pozzo in cui si parla della tragedia delle foibe, (e parliamo di giovani del PD, non dei Centri Sociali, di Sardine o simili) o i continui ostacoli che sono stati posti alla rappresentazione teatrale di Magazzino 18 di Simone Cristicchi che rievoca il dramma dell’esodo. Non ci possono essere dubbi su questo: per il PD la gente non deve sapere, non deve conoscere la verità che il comunismo è stato il vero male assoluto, una spaventosa macchina di morte che ha disseminato il XX secolo di cadaveri e terrore.

La ricetta che il PD segue scrupolosamente, l’ha esposta Jean François Revel nel libro La conoscenza inutile: non menzionare mai un’atrocità comunista senza nel contempo denunciare con maggiore veemenza un “crimine fascista” e, all’occorrenza, inventarlo.

Protagonista dell’ennesima rappresentazione di questo squallido copione è stato Sergio Mattarella, per disgrazia rieletto recentemente alla presidenza della repubblica, ma che non è stato, non è, non sarà mai il presidente di tutti gli Italiani, e questa storia è un esempio da manuale di come si costruisce un “delitto fascista” inesistente.

La cerimonia del 2020 è stata una cosa parecchio strana, a cominciare dalla partecipazione di Mattarella, ma capiamo, ricorreva il centenario dell’incendio dell’hotel Balkan. Un presidente della repubblica antifascista non si scomoda per ricordare decine di migliaia di italiani trucidati dai comunisti, ma per un presunto crimine fascista, si.

È stata una cosa surreale a cui ha partecipato il presidente sloveno Bodrut Pahor (e ci sono delle foto esilaranti dove si vedono i due presidenti tenersi per manina come due vecchi gay). Dopo un “salutino” alla foiba di Basovizza (dove, ci ha segnalato l’onorevole Renzo De Vidovich, non è stato consentito all’Unione degli Istriani di esporre il proprio labaro) e al vicino poligono di tiro dove furono fucilati quattro terroristi sloveni colpevoli di reati di sangue (e noi capiamo bene che equiparare decine di migliaia di italiani trucidati per la sola colpa di essere italiani a quattro assassini fucilati dopo un regolare processo, è un’offesa gravissima ai nostri morti, un esempio ripugnante di doppiopesismo, di come le colpe dei vincitori sono minimizzate e quelle dei vinti ingigantite o inventate di sana pianta), la cerimonia si è spostata nel centro triestino, in via Filzi, dove sorge (o dovremmo dire sorgeva) la Scuola Interpreti dell’Università di Trieste, che è stata regalata alla Slovenia. Nel contesto della cerimonia, proprio per non farsi mancare nulla, Mattarella ha conferito il cavalierato di gran croce (la massima onorificenza italiana) allo scrittore sloveno Boris Pahor (quasi omonimo del presidente sloveno), scrittore negazionista delle foibe.

Il fatto è che la (o l’ex) Scuola Interpreti è ubicata là dove un secolo fa sorgeva l’hotel Balkan “incendiato dai fascisti”, ma sappiamo bene come andarono effettivamente le cose, e che la versione ufficiale in realtà è una fola.

Siamo nel periodo immediatamente successivo al primo conflitto mondiale, e gli Sloveni cercano di contrastare con la violenza terroristica l’annessione della Venezia Giulia all’Italia.

L’hotel Balkan ospitava la sede della Edinost (organizzazione politica slovena), dell’omonimo giornale, e di altre associazioni slovene, era praticamente il centro nevralgico di tutte le attività anti-italiane.

Il 12 luglio 1920 a Spalato (quindi dove gli Italiani si trovavano a convivere non con gli Sloveni, ma con i Croati, ma al riguardo fa poca differenza) furono uccisi Tommaso Gulli comandante della nave “Puglia” e il motorista Aldo Rossi.

In risposta a un evento di una simile gravità, vi fu il giorno successivo a Trieste una grande manifestazione italiana, a margine della quale vi furono disordini provocati dagli sloveni, e un giovane, Giovanni Nini, fu ucciso a coltellate. A questo punto la manifestazione, dove c’erano certamente i fascisti, ma anche molti italiani di qualsiasi colore politico, si diresse verso l’hotel Balkan per protestare contro la violenza slovena.

Proprio in previsione di possibili disordini, le autorità italiane avevano predisposto un cordone di sicurezza composto da soldati, carabinieri e finanzieri, Dalle finestre del Balkan si cominciò a sparare sulla folla, e una fucilata uccise il tenente Luigi Casciana che faceva parte del cordone disposto a difendere l’edificio. A questo punto, la folla irruppe all’interno del Balkan e scoppiò l’incendio.

Le testimonianze dell’epoca sono molto chiare: l’incendio partì dai piani alti, dove gli italiani non erano ancora arrivati, furono gli sloveni stessi ad appiccarlo: probabilmente, volevano bruciare documenti sui quali le autorità italiane non dovevano mettere mano, e il fuoco gli “prese la mano”.

Inventando la storia del Balkan “bruciato dai fascisti”, una volta di più, la storiografia antifascista ha invertito i ruoli di vittime e responsabili.

Se ne avessimo avuto bisogno, Sergio Mattarella ce ne ha dato l’ennesima dimostrazione: antifascista significa sostanzialmente anti-italiano.

 

NOTA: Nell’illustrazione, la foiba di Basovizza, oggi monumento nazionale.

 

 

2 Comments

  • Michele Simola 1 Marzo 2022

    È certamente difficile, per coloro che non hanno vissuto l’atrocita di quei momenti, riuscire a capire la sofferenza e i tumultuosi pensieri che attanagliarono l’animo di chi fu costretto a lasciare la propria casa, la propria terra ed ebbe, la fortuna, di trovare riparo sul suolo patrio.
    Fortuna per avere salvato la vita, ma non per la quotidianità dell’esistenza; se ancora oggi vi sono sfollati del terremoto che colpi’ %l’Abruzzo e l’Aquila nel 2009, che vivono in condizioni disdicevoli, immagino che i campi profughi che di certo vennero allestiti per ospitare gli sfortunati connazionali, in un paese che usciva diviso da una guerra distruttiva erano una specie di anticamera dell’inferno.
    A questo si aggiungerà di sicuro un atteggiamento malevolo da parte della popolazione nei luoghi in cui vennero ospitati.
    Non ho trovato molto sull’argomento, ma in un paese in cui era cominciato un indottrinamento sinistrorso già dal 08/09/1943, i profughi, quelli veri, che furono definiti dai comunisti, reazionari fascisti, e nei cui confronti il giornale comunista l’unità, nel 1946, se non erro, espresse indicibili parole d’odio, non credo che ebbero la vita facile né tanto meno che fosse loro risparmiato dalla popolazione, ignara e ignorante, astio e incomprensione.
    Nel 1980, studente universitario, ho visitato Belgrado, che a parte la povertà tangibile ovunque, mi è piaciuta come città, in particolare la parte vecchia, dove la storia la respiravo, e la popolazione era laboriosa e accogliente, mantenendo grande dignità pur mancando di tutto. Andai anche a Ragusa (Dubrovnik), dove diversamente dalla capitale di gusto mittleuropeo, tutto parlava Italiano, anche i muri, le costruzioni in stile Veneziano, purtroppo l’anima era profondamente slava, cetnica.
    Per molti antifascisti dell’immediato dopo guerra, i profughi così come i prigionieri Italiani in URSS, erano considerati un danno proprio perché erano sopravvissuti e non avevano avuto la decenza di morire, potevano raccontare gli orrori dell’utopico paradiso socialista. Su questo abbiamo visto quel tristo individuo di Togliatti essere categorico, quando scrisse al compagno di partito Bianchi: la nostra strada è stata tracciata dal compagno Stalin.
    Non ho apprezzato il settennato dell’attuale inquilino del Quirinale, elemento grigio e scialbo, che negli ultimi due anni, ha permesso una gestione immonda di questa esperienza epidemica, non mi pare che abbia salvaguardato il popolo Italiano dagli attacchi della ue, anzi è rigidamente legato ai suoi interessi, non mi è sembrato neanche il garante della costituzione (peraltro a mio avviso dettata dai vincitori) avendo firmato tutto quanto la faceva a pezzi.
    Il suo predecessore ha più volte dimostrato di essere un comunista ortodosso.
    A parte questo direi che i nostri politici hanno sempre anelato a mostrarsi come zelanti antifascisti, e per farlo non hanno esitato ad andare contro gli interessi nazionali, e dare dell’Italia un’immagine falsa e stereotipata.
    Come Lei ha tante volte affermato la mancanza di conoscenza storica nella scuola comunista è caparbiamente voluta, impedisce ai giovani dell’attuale generazione di comprendere la memoria del nostro passato, sopratutto quello prossimo, ma impedisce loro, anche di comprendere pienamente le vicende geopolitiche attuali.
    Considero il 25 aprile una data sventurata, il giorno della vergogna, non c’è nulla da festeggiare c’è solo da vergognarsi poiché festeggiamo la nostra sconfitta, inneggiando al nemico angloamericano che ci ha sempre descritto come mangiaspaghetti. Nessuno chiese di essere liberato da qualcosa, la guerra fu interesse degli angloamericani per ridurre l’Europa che aveva fatto la storia subalterna alla potenza a stelle e strisce.
    Mi complimento con Lei per il grande lavoro che svolge su queste pagine, perché sono in tanti a non conoscere le vicende che riguardano la nostra Patria e la nostra storia.
    La scuola oggi non permette una conoscenza reale dei fatti, ma è distorta dall’animosita’ antifascista.

  • Fabio Calabrese 4 Marzo 2022

    Caro Simola:
    La ringrazio per la stima, e condivido in toto i contenuti del suo commento.

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