In passato eravamo convinti che le convulsioni del nostro tempo fossero dovute a un groviglio di sconcertanti contraddizioni. Adesso siamo certi di vivere in un mondo invertito. E’ come una bussola impazzita che segna il sud anziché il nord. Parliamo di libertà e accettiamo il più insidioso totalitarismo; rivendichiamo autonomia e abbiamo ceduto la proprietà del corpo e della mente. Il primo a comprendere la portata dell’attacco fu Pier Paolo Pasolini, cogliendo i segnali dell’inversione. Lasciò scritto un discorso mai pronunciato a causa della sua morte violenta, in cui profetizzava “l’epoca in cui le parole di libertà saranno utilizzate per creare un nuovo potere omologato, creare nuove ingiustizie e un nuovo conformismo. E i suoi chierici saranno chierici di sinistra. “
Il dominio del tecno capitalismo globale sta costruendo una post umanità tecnicamente modificata. L’intelligenza della creatura uomo cede, diventa minuscola, anacronistica dinanzi alla forza impersonale dei meccanismi tecnici da egli stesso suscitati con la scoperta di molte leggi della natura. Un ambito nel quale risulta particolarmente scioccante il capovolgimento di principi e priorità è quello relativo all’ambiente. Si può affermare che l’ambiente ha sostituito la natura. L’uomo-Dio odia la natura: è nata prima di lui e gli sopravvivrà, le sue leggi sono immutabili mentre egli vuole fortissimamente modificarle sino a invertirle.
Crede nell’ambiente precisamente perché detesta la natura in quanto stato originario che precede la volontà, la libertà e il desiderio, totem dell’Homo Deus. La natura è la vittoria del principio di realtà, del limite e del destino. Per l’uomo contemporaneo non c’è espressione più sinistra di “secondo natura”. Per Marcello Veneziani, l’ambiente, il nome di ciò che circonda l’uomo dopo che gli è stato tolto ogni significato trascendente e permanente, è una sorta di inganno per l’occhio. Un trompe l’oeil simile ai dipinti sulle case che simulavano finestre, davanzali e persino persone sorridenti dietro finte tendine.
La natura è realtà, l’ambiente rappresentazione. L’onda “bio” sembra travolgere tutto, ma è solo un travestimento della macchina industriale e culturale. Animalismo, veganesimo, ecologismo: mode per ricchi alle prese con la coscienza infelice. La biologia – una scienza umana – ha detronizzato la natura: si parla di genitori “biologici” anziché “naturali” per screditare i legami di sangue, far passare le pratiche più innaturali e trasformare l’uomo in una creatura nuova, un prodotto di laboratorio. Sono al lavoro i pifferai magici che sfruttano il sentimentalismo morboso della società dei consumi per sdoganare l’utero in affitto – uno schiavismo ignobile contro donne povere – e ogni pratica legata alla produzione tecnica e artificiale di esseri umani. Negromanti della tecnica nemici della natura.
Creazione evoca un creatore, idea insopportabile per l’Homo Deus, monoteista di se stesso. Il termine Madre Natura è ancora più sospetto: la filiazione è sgradita. Meglio l’ambiente, che abbiamo il diritto di modificare a piacimento, con il pretesto di salvarlo. Inoltre la natura è destino, nemico della libertà e del limite. Ancora più sgradevole, all’ orecchio sensibile dell’uomo postmoderno, il richiamo alla legge di natura preesistente a noi e alla civiltà, elemento dell’ordine “naturale”. Perfino il precetto epicureo di vivere secondo natura ci è estraneo, giacché vogliamo liberarci da ogni vincolo per fare ciò che ci aggrada.
Natura è realtà: niente di più distante dal mondo virtuale, dal metaverso, dall’avatar, dall’ologramma, dal cyberspazio. Insomma, la natura è il male. Se c’è un creatore, ha agito malissimo e sta a noi correggere i difetti di fabbricazione. Il Grande Architetto non se la passa bene, attaccato dalla risorgente officina gnostica, l’ideologia sotterranea degli illuminati che rifanno il mondo e la natura, ribattezzata ambiente. Il termine allude a qualcosa di costruito, artefatto, modificabile. Il mio ambiente sono le mie amicizie e preferenze, ma anche un grigio centro commerciale in cui la natura è rappresentata come finzione: prati artificiali, poveri alberi rinsecchiti piantumati in un quadrato di terra di risulta limitata da mattoni o lastre di pietra, magari ad ornamento di un parcheggio sotterraneo. Illusione, virtualità, trompe l’oeil.
Abbondano le campagne per difendere l’ambiente, ma nessuna si propone di salvare la natura. La ragione è semplice: natura significa una concezione dell’uomo e della vita rispettosa di ciò che è ed è sempre stato, che prende atto della realtà e ad essa conforma principi, valori, modi di vivere. Tutto il contrario delle visioni dominanti, tecnoscientifiche, progressiste e addirittura transumaniste. Nulla a che vedere con l’impegno dell’uomo – unico tra i viventi – a rendere più accogliente per sé la natura, i luoghi. L’ambientalismo asserisce di difendere le piante, l’aria, il mondo vegetale, animale e perfino quello minerale, ma tace sull’uomo. Peggio, lo considera un intoppo, una disgrazia da eliminare.
Negli Usa, da dove ogni moda pseudoculturale tracima nelle periferie dell’impero, si diffonde l’antinatalismo radicale, che propugna la non riproduzione della specie umana, dunque la sua sparizione, alla faccia della salvaguardia della diversità biologica. Progressismo regressivo, per il quale l’assenza dell’essere umano significa riduzione del danno ambientale, mentre astenersi dal creare nuova vita – umana, ovviamente – “è il mezzo più efficace per ridurre al minimo le sofferenze per tutti gli esseri senzienti attuali e futuri “.
Viventi e senzienti indistinti, come se l’uomo, il batterio, il vegetale e l’animale fossero equivalenti, un ribaltamento completo di gerarchie e coscienza di sé. Un rovesciamento della teoria dell’antropocene, l’era della terra segnata dall’attività umana. Un odio di sé uguale e contrario all’hybris antropocentrica, alimentato dall’odio per la natura e l’uomo, oltreché dal culto malato per Gea, il nome personalizzato del pianeta caro agli ambientalisti radicali. Nessuna distinzione, peraltro, per la pressione demografica insostenibile di alcune parti del mondo e, di contro, l’inverno demografico dei paesi detti sviluppati.
Gli occidentali del XXI secolo sono così folli da negare le verità “naturali”. Non è vero che siamo uomini o donne, è falso che il potere di dare la vita sia riservato all’esemplare femmina della specie, è falso che i genitori siano due. Tutto ciò è la premessa per la negazione della natura in favore della tecnica, ossia del dominio e del profitto di alcuni uomini su tutti gli altri. L’ ideologia ambientale lotta contro le manipolazioni genetiche delle piante e dei semi, ma non obietta alcunché sulla manipolazione della persona umana, dalla procreazione sino all’ ibridazione con la macchina. La nuova frontiera è la negazione di ciò che è, a favore di ciò che si vuole essere o si desidera, con esiti che lascerebbero stupefatte le generazioni precedenti. Atleti biologicamente maschi gareggiano nelle categorie femminili, si pretende di essere considerati quel che non si è sula base del desiderio del momento. Ci si definisce per la volontà soggettiva e revocabile: sono ciò che vorrò essere, un principio del transumanesimo, il cui simbolo è l’uomo “aumentato”, racchiuso in un cerchio non chiuso.
Abbiamo istituzionalizzato il rifiuto di accettare ciò che è per natura, il carcere da cui fuggire. Nella mitologia greca il dio Proteo mutava continuamente d’aspetto, evadendo il Limite, e se la natura non fa il salto, procede lentamente e con logiche inconoscibili, arriva la Tecnica che tutto permette. I difensori dell’ambiente, a partire dalla triste Greta, hanno il programma più innaturale: raddrizzare il legno storto di cui è fatta l’umanità. Al servizio di chi violenta la natura per dominio e profitto e deve ridisegnare i propri obiettivi – incredibile che non si avvedano di essere marionette nelle mani dei padroni del mondo – gridano contro tutto in nome dell’ambiente, ma vivono nella più totale ignoranza della storia, scollegati da ogni legame comunitario.
Sembrano convinti che basti una marcia per il clima, uno sciopero e una bandiera arcobaleno per cambiare il mondo. Deriva puerile dell’’occidente terminale che muore di vecchiaia e torna bambino, confondendo sogno e veglia, virtuale e reale. La natura è davvero in pericolo, sotto innumerevoli punti di vista, eppure pochissimi osano mettere in discussione il sistema, quel falsissimo acronimo TINA (there is no alternative, non ci sono alternative) in nome del quale si va avanti nel globalismo, nell’espansione illimitata dei consumi, della tecnica e di tutto ciò che chiamano progresso. E’ davvero necessaria la tecnologia 5G, che permette una velocità impossibile da calcolare in termini umani alle reti di comunicazione, e ci renderà bersagli di onde elettromagnetiche di cui non conosciamo le conseguenze?
Criticano per motivi ecologici il consumismo, ma è l’altra faccia dell’ideologia in cui la volontà soggettiva prevale su tutto, di un sistema in cui vogliamo scegliere ogni cosa, prodotti, stili di vita, sesso, e morte. Per Aristotele la Natura è il fondamento della realtà e della condizione umana. L’uomo – unico essere che sa rinviare bisogni e istinti – ha sempre capito di dover fermare alcune inclinazioni naturali, cercando di governare, incanalare gli istinti e gli egoismi. La civiltà non ha negato la natura, ha piuttosto cercato di sottrarla a uno stato primordiale, di ordinarla alla vocazione di custodia del creato.
La briglia sciolta alle pulsioni, ai desideri, ai capricci abolisce il limite e nega il rispetto della natura insito nel riconoscimento millenario della condizione di creatura. Se crolla quest’argine, tutto salta e non sarà il generico – fanatico – richiamo all’ambiente da salvaguardare a restituirci umanità. Mentre il richiamo alla natura non cambia ciò che l’uomo pensa di se stesso, prendendo atto della singolarità del proprio ruolo nel mondo, l’ideologia ambientale ha un’attitudine antiumana, dunque antinaturale.
Ricorda il processo chimico della denaturazione, consistente nel cambiamento della struttura delle molecole, con conseguente perdita della funzione originaria di un prodotto o di una sostanza. Il procedimento porta alla perdita di ordine e all’aumento irreversibile dell’entropia. L’uomo denaturato non è più se stesso, e la domanda è se le paure diffuse in tempo di epidemia, la riconfigurazione dell’uomo in docile unità solitaria di un gregge ubbidiente alle sollecitazioni e agli ordini del potere, le spinte contrarie alla vita della cultura dominante (abortismo, eutanasia, pansessualità slegata dalla procreazione, disprezzo mascherato della dignità umana) siano la premessa per il superamento definitivo dell’umanità.
Turba non solo il merito – inquietante – ma anche l’incapacità dell’Homo Deus di mettere in discussione l’unico dato non naturale, il sistema tecno-capitalistico, motore degli immensi problemi dell’ambiente. E’ possibile essere ambientalisti restando ancorati al mercatismo, alla privatizzazione del mondo, alla logica del profitto e del dominio? Un ulteriore limite dell’ideologia ambientalista – l’altra faccia dell’antropocene – è il suo orizzonte minaccioso, l’angoscia latente, la paura del futuro. Segno di vecchiaia del corpo e dello spirito, oltreché di un paradigma difensivo: l’ambientalismo regressivo attecchisce in paesi, ceti, ambienti culturali benestanti, illusi di fermare il mondo con gesti privi di senso.
E’ venuta meno l’attesa dell’avvenire e le parole d’ordine ambientaliste, in gran parte veicolate dalle grandi imprese private, non sono altro che ipocrisia, raggiri per indirizzare verso consumi nuovi, in linea con le immense ristrutturazioni che l’oligarchia intende porre a nostro carico. Forse una soluzione – complessa, impegnativa e niente affatto esente da controindicazioni – è la decrescita controllata, alla Serge Latouche, con la capitale distinzione tra beni – ciò che serve alla vita e va sottratto al mercato e all’appropriazione – e merci.
La guerra alla natura ha come obiettivo finale la destituzione della realtà e l’avvento di una virtualità post e transumana imperniata sulla tecnica. L’ambientalismo tende a demonizzare l’uomo. Entrambe le ideologie sottraggono all’uomo la memoria, l’eredità, la civiltà e persino la biologia. Che cosa resterà di un uomo denaturato e di una natura surrogata dalla tecnica, se non il deserto? Guai a chi porta il deserto dentro di sé, ammoniva Nietzsche, annunciatore della fine dell’uomo, conseguenza della morte di Dio.