L’assalto ai cortei funebri non fu un evento eccezionale della violenza bolscevica in Italia: cento anni fa, il vergognoso attacco contro la salma dell’Eroe
Roma, 24 Maggio 1922: settimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia. Per la prima volta la data venne solennizzata, una solennità imposta dallo squadrismo che, in solo un anno, aveva cambiato il volto dell’Italia: un tempo in preda agli spasmi rivoluzionari di stampo bolscevico, ora immersa in una guerra civile (a bassa intensità) che vedeva le organizzazioni sovversive in balia degli eventi e il tricolore tornare a sventolare in tutte le contrade d’Italia.
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È questo il clima nel quale fu possibile inscenare la grandiosa manifestazione patriottica della tumulazione del Milite ignoto al Vittoriano in Roma (4 Novembre 1921), fu questo il clima in cui si concretizzò un’altra grande cerimonia di amor di Patria: la traslazione al Cimitero Verano dell’Urbe della salma dell’Eroe nazionale Enrico Toti.
Romano, classe 1882, vita avventurosa, Fuochista ferroviere, Mutilato del Lavoro (Colleferro, 27 Marzo 1908), allo scoppio della Grande Guerra – dopo tante peripezie – riuscì a farsi arruolare come “Volontario irregolare” (per via della mutilazione) nel 3° Reggimento Bersaglieri Ciclisti, distinguendosi in numerose azioni in prima linea. Cadde a Monfalcone il 6 Agosto 1916, in un leggendario assalto contro le trincee austriache, verso le quali gettò anche la sua gruccia. Fu decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare. Durante il Regime venne elevato a simbolo dell’amor di Patria e del volontarismo di guerra. A lui ci si ispirò quando nel 1926 venne istituto, all’interno del Regio Esercito, il “ruolo d’onore” per i soldati d’Italia mutilati od invalidi, come ricordò nel suo intervento alla Camera di Deputati il Gen. Ugo Cavallero, all’epoca Sottosegretario di Stato per la Guerra:
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Una disposizione unica che, ancor oggi, tutto il mondo ci invidia…
La salma di Enrico Toti, inizialmente deposta nel cimitero militare di Monfalcone (Gorizia), fu oggetto di culto e, passato il torbido Biennio Rosso, si lavorò per riportarla a Roma. In prima linea, ovviamente, i fascisti, ormai assurti al ruolo di difensori dei valori nazionali, contro tutto e contro tutti. In posizione non meno defilata i “repubblicani trasteverini più arrabbiati” che lo consideravano un loro idolo.
Le Autorità comunali – la Capitale era amministrata da una Giunta liberale con appoggio dei nazionalisti e dei fascisti – si mobilitarono per le celebrazioni all’Eroe. Anche il Regio Esercito non fu da meno: la salma, dopo aver toccato le stazioni di Trieste, Venezia, Bologna, Firenze – ricalcando la solenne “processione” del Milite ignoto -, giunse a Roma il 22 Maggio e venne subito ospitata presso la Caserma “La Marmora” di San Francesco a Ripa, dove fu allestita una camera ardente, meta immediata di migliaia di romani. Pronunceranno solenni discorsi i Generali Armando Diaz, Gaetano Giardino e Francesco Saverio Grazioli.
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Nel pomeriggio del 24 Maggio, settimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, il corteo funebre, maestoso, preceduto dalla bara issata su un affusto di cannone, si snodò per le vie della Capitale: sette chilometri, prima di giungere al Verano… Viale del Re, Via Arenula, Corso Vittorio, Piazza Venezia…
Quattro camicie nere, alternate al picchetto dei Bersaglieri, accompagnano il feretro, seguono le rappresentanze dei Mutilati di Guerra, il Sindaco, la Giunta comunale e le Autorità politiche e militari. Quindi le squadre [fasciste] schierate per tre, in formazione di marcia con i labari in testa.
I leader fascisti della Capitale [Gino Calza Bini e Giuseppe Bottai] sono molto attenti nell’appropriarsi, anche coreograficamente, dell’evento, ma raccomandano alle squadre di non reagire alle provocazioni, assumendosi anche il rischio di privarle di efficaci mezzi di difesa in caso di aggressione[1].
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Giunte a Piazza Venezia, verso le 18:15 di quel 24 Maggio, le camicie nere furono assalite dai fischi e dalle ingiurie di un centinaio di sovversivi, appositamente convenuti per provocare e disturbare quella che consideravano solo una manifestazione militarista e nazionalista. Ma gli ordini erano ordini. Il corteo procedette avanti per la sua meta, gli squadristi rimasero inquadrati nei ranghi.
Si arrivò così, intorno alle 20:15, a Piazzale Tiburtino, dove ad attendere la salma vi erano ben altri visi rispetto a quelli dei popolani che a Trastevere avevano ricoperto di fiori il feretro: centinaia di donne che lanciavano ingiurie contro tutti e tutto, volò anche qualche sasso contro le Autorità. Comunisti ed anarchici del quartiere San Lorenzo cominciarono a gridare: «Abbasso gli sfruttatori!», «Abbasso lo Stato!», esibendosi “in frasi sconce e sorrisi ironici”[2].
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Lo stato di tensione si era aggravato dalla caduta accidentale da cavallo di un Ufficiale e dallo scoppio di una lampadina elettrica, scambiata per un petardo. Ma questo fu nulla. Appena la salma, percorrendo Via Tiburtina, raggiunse Via dei Sardi, dalle abitazioni partirono contro il corteo funebre alcuni colpi di fucileria.
Cinque centri di fuoco spezzarono in due il corteo, caddero feriti il Capo Centuria Mario Candelori e il Tenente delle Guardie Regie Guido Giammeri.
Gli squadristi, a questo punto, reagirono e guidati da Angelo Scambelluri caricarono i sovversivi puntando decisamente su Via dei Sardi, dove al numero 23 vi era la sede del circolo socialista “August Bebel”, ritrovo anche degli Arditi del Popolo. A loro si unirono anche i nazionalisti, con a capo Italo Foschi.
I sovversivi sembrarono sbandare, si ritirarono dentro il quartiere, inseguiti dagli squadristi che, però, caddero in una trappola: vennero bersagliati dai tetti con tegole, sassi, pezzi di travertino, ecc. preparati in precedenza. Furono presi d’infilata da un nutrito fuoco di fucileria. Non restò altro da fare che indietreggiare: caddero feriti lo stesso Italo Foschi, Umberto Guglielmotti e gravemente anche Angelo Scambelluri, centrato da una lastra di travertino lanciata da un palazzo.
Intervennero in soccorso dei feriti anche le ragazze del Fascio romano, con a capo Piera Fondelli, che con sprezzo del pericolo, bersagliate dai sovversivi, nel bel mezzo della controcarica degli Arditi del Popolo lungo Via dei Sardi, riuscirono a portare in salvo non poche camicie nere sanguinanti.
Si verificarono scene eroiche: l’ex-Legionario fiumano Michele Falcone, sebbene ferito nell’impresa da un colpo di proiettile, riuscì a porre in salvo l’insegna della squadra d’azione di Scambelluri, sottraendola agli antifascisti. La Fanfara dei Bersaglieri che accompagnava il corteo funebre attraversò la zona battuta dal piombo comunista suonando gli inni della Patria…
Le Forze dell’Ordine, rispondendo al fuoco, fermarono l’avanzata dei sovversivi e permisero al corteo funebre di riprendere la marcia verso il Verano, dove vi sarà l’inumazione. Ma al termine della cerimonia, dal quartiere San Lorenzo, si sentì ancora sparare. Gli squadristi mordevano il freno, avrebbero voluto armarsi e compiere una risolutiva spedizione punitiva contro gli Arditi del Popolo. A fatica i capi del Fascio romano convinsero le camicie nere a tornare a casa, lasciando il compito del “repulisti” alle Autorità di PS. Queste, infatti, procedettero violentemente ad un attacco contro la massa dei sovversivi che fu messa in rotta, anche con l’intervento di alcune autoblindo. Vennero perquisite decine di abitazioni, anche sfondando le porte, furono sequestrate numerose armi. Centoottantadue sovversivi, alla fine, vennero arrestati.
Mentre tutto ciò avveniva, in Via dei Maruccini, la via opposta a Via dei Sardi sulla Via Tiburtina, gli squadristi furono attaccati a colpi di fucile. In questo caso dovette intervenire la Cavalleria per mettere a tacere i sovversivi.
Tre saranno i morti della giornata secondo le varie cronache: il falegname Guglielmo Marabilia di 27 anni (appartenente ad un circolo cattolico), il negoziante Giuseppe Proietti (deceduto il 25 Maggio) e il muratore Filippo Franchi di 28 anni (deceduto il 27 Maggio) che, alieni da militanze politiche, avevano voluto solo dare il loro tributo personale all’Eroe. I funerali si svolsero in gran segreto il 29 Maggio.
Quarantanove, invece, furono i feriti, quasi tutti fascisti, tra cui cinque colpiti dai proiettili.
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L’Alleanza del Lavoro e il Comitato di Difesa Proletaria, nel primissime ore del 25 Maggio, proclamarono lo sciopero generale di protesta contro gli arresti e le “violenze”… dello Stato!
I vertici del fascismo romano lavorarono perché non si registrassero rappresaglie, soprattutto ora che, per la prima volta, stavano incamerando la simpatia dell’opinione pubblica, disgustata dal comportamento dei sovversivi che, dopo aver vilmente attaccato un sacro corteo funebre, si permettevano addirittura di proclamare un insensato e incomprensibile sciopero.
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Quel 25 Maggio, un imponente corteo di oltre cinquecento camicie nere si snodò per l’Urbe, perfettamente inquadrato, proprio per rispondere all’Alleanza del Lavoro e al Comitato di Difesa Proletaria. Alcuni incidenti si ebbero tra le Guardie Regie e gli squadristi che straripavano in Piazza Montecitorio. Dovette intervenire la Cavalleria per disperdere i fascisti lungo Corso Vittorio.
Lo sciopero antifascista dimostrò tutti i suoi limiti, essendo riuscito solo in parte, con molti servizi pubblici resi disponibili da volontari fascisti e nazionalisti. Solo nel comparto della stampa, con l’astensione massiccia dei tipografi, vi fu un netto successo.
Le redazioni dei giornali “Avanti!”, “Paese” e “Mondo” vennero presidiate dalla Forza Pubblica per impedire ogni rappresaglia fascista. La Cavalleria caricò per impedire agli squadristi di marciare contro la redazione e la tipografia del giornale nittiano “Paese” in Piazza Poli, scatenando incidenti per le vie di Roma per alcune ore.
L’unico episodio doloroso si verificò il 26 Maggio 1922, quando, durante una colluttazione, lo squadrista Giovanni Cristadoro – già ferito seriamente negli scontri di Via dei Sardi – uccise il comunista Attilio Cianfrocca[3].
Scrisse Mussolini quel 26 Maggio su “Il Popolo d’Italia”, in un articolo di denuncia antiborghese:
La Capitale della Nazione ci offre ancora una volta uno spettacolo degradante di vergogna e d’infamia. Un corteo funebre che accompagnava al Verano uno dei più fulgidi eroi popolari della guerra – Enrico Toti – è stato assalito a tradimento sulla via del ritorno e ci sono dei morti e dei feriti.
Lo sciopero generale – impudente schernitrice ironia dopo la tragedia – completa il quadro e dà motivo ai trentamila stranieri di tutti i Paesi del mondo, che in questo momento sono ospiti della Roma cattolica, di telegrafare agli altri e di convincere se stesi che la Roma laica è in completa balia della teppaglia cosiddetta sovversiva.
[…] Per noi c’è una responsabilità che ricade sul Governo e sullo Stato. […] Lo Stato liberale è destinato a perire, vittima della sua viltà. Accanto alla responsabilità dello Stato, c’è quella della stampa. Roma è la città che conta il maggior numero di giornali anti-fascisti. Come non bastassero i quattro sovversivi ce ne sono tre borghesi – poiché a Roma, bisogna ricordarlo, c’è il covo infetto della più predace e parassitaria borghesia, quella che, svergognata e insaziabile, succhia tutte le energie della Nazione – la borghesia cagoiarda che bisognerà – un giorno o l’altro – colpire a morte. Si sono legnati a sangue tanti poveri diavoli, più ignoranti che malvagi, e non si troveranno dei fascisti capaci di fracassare senza pietà costole e corna ai finanziatori della sporca stampa quotidiana anti-fascista? I giornali comunisti che nei primi tempi agitavano delle idee, oggi non sono che il ricettacolo della più volgare diffamazione contro il fascismo; certo segno di decadimento. Basta riprodurre – e lo faremo – le ultime vignette del “Comunista”, per vedere che il compito di quella stampa si riassume nella semplice istigazione a delinquere.
È evidente che si delinea di un tentativo di controffensiva di tutta la criminalità che è alla base del sovversivismo italiano. Ma noi, lungi dal temere l’assalto, lo aspettiamo […][4].
Tematiche antiborghesi – da sempre sottaciute da una certa vulgata – sulle quali Mussolini tornò anche il giorno successivo, in un articolo in cui parlò chiaramente di “delitto di lesa-Nazione” compiuto dai sovversivi romani. Un pezzo che vale leggere, anche perché riposiziona in autonomia il fascismo nel quadro politico italiano, ben lontano dagli atteggiamenti della destra conservatrice con cui troppo spesso si confonde il PNF.
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L’“Avanti!” – che aveva appositamente ignorato le celebrazioni in onore di Enrico Toti – cercò di accusare il PNF di aver strumentalizzato la figura del caduto, ricordando che anche i fascisti avevano, il 25 Maggio a La Spezia, assaltato un corteo funebre di un operaio per impadronirsi delle bandiere dei sindacati[5]. […]
Il 26 Maggio, intanto, cominciava a delinearsi la fine dello sciopero generale nella Capitale (ufficialmente sospeso allo scoccare della mezzanotte). Risultati ottenuti: nessuno, se non una valanga di critiche contro un atteggiamento sovversivo incomprensibile ai più. Sullo sfondo, la polemica del PCdI contro i “social-democratici” del PSI, che mal celava l’insoddisfazione per la conclusione dell’agitazione decretata da “elementi riformisti che sono a capo degli organismi proletari di Roma”[6].
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Se a sinistra si cantò vittoria, esaltando l’aggressività degli Arditi del Popolo che finalmente erano passati all’azione, in realtà, l’attacco al corteo funebre di Enrico Toti contribuì a cementare ancor più l’ostilità al sovversivismo di gran parte dell’opinione pubblica italiana e a far uscire dall’isolamento il fascismo romano, che di lì a qualche settimana diventerà un protagonista della vita politica dell’Urbe. Un protagonista con il quale si sarebbe da adesso dovuto fare i conti.
Il 29 Maggio, il Questore di Roma Valenti fu costretto alle dimissioni.
I Comitati di Difesa Proletaria di cui si cominciava a parlare con insistenza, che avrebbero dovuto rispondere risolutamente all’offensiva squadrista, non saranno che semplici dichiarazioni di intenti che crollarono sotto i colpi delle camicie nere. La “battaglia di Via dei Sardi” – che per altro era stata la Caporetto degli Arditi del Popolo romani, facilmente sgominati dalle Forze dell’Ordine – non sarà mai più replicata. Altro che inizio della reazione proletaria…
Alcuni degli arrestati per gli incidenti del 24 Maggio vennero processati e condannati. L’8 Dicembre 1922, la II Sezione del Tribunale di Roma condannò Francesca Bianducci, “che insieme al suo figlio è stata sorpresa – secondo l’Accusa – con le armi alla mano”, a tre anni e sei mesi di reclusione; Orlando Romanelli, “che fu visto sparare contro la Forza Pubblica”, a due anni e sei mesi; Riccardo Roselli ad un anno e nove mesi; Luigi ed Angelo Rossetti ad un anno e otto mesi. “Gli altri sedici imputati a piede libero, sono stati assolti per insufficienza di prove”[7].
Di questa “battaglia” si perse poi memoria. Rimase solo l’ultimo caduto: Angelo Scambelluri. Il giovanissimo irredentista, futurista, valoroso ed indomito Legionario fiumano – “il più Ardito fra gli Arditi” come lo definì d’Annunzio -, decorato di Stella d’Oro dallo stesso Poeta-eroe, primo Comandante delle squadre d’azione di Roma, come abbiamo detto, rimase gravemente ferito negli scontri in Via dei Sardi. Partecipò alla Marcia su Roma e fu nella Segreteria particolare di Mussolini giunto alla Presidenza del Consiglio. Pochi mesi dopo, però, tornarono a farsi sentire le conseguenze della ferita subita quel 24 Maggio 1922. Scambelluri, minato nel fisico, si spense a Barletta (Bari) il 18 Maggio 1924. L’ultimo caduto di quel giorno di scontri nel nome sacro di Enrico Toti.
Pietro Cappellari
(Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma. Il Centenario della Rivoluzione fascista,
Passaggio al Bosco, Firenze 2023, vol. IV)
NOTE
[1] A. Augello, Arditi contro. I primi anni di piombo a Roma 1919-1923, Mursia, Milano 2017, pagg. 210-211.
[2] La malavita social-comunista romana aggredisce a colpi di fucile, bombe e rivoltelle il corteo che accompagnava la salma di Enrico Toti, “Il Popolo d’Italia”, a. IX, n. 124, 25 Maggio 1922.
[3] Cfr. P. Cappellari, Il fascismo ad Anzio e Nettuno 1919-1939. Una storia italiana, Herald Editore, Roma 2014, pagg. 32-35.
[4] B. Mussolini, I fatti di Roma, “Il Popolo d’Italia”, a. IX, n. 125, 26 Maggio 1922. Cit. anche in G.A. Chiurco, Storia della Rivoluzione fascista 1922 (parte I), Vallecchi Editore, Firenze 1929-VII, vol. IV, pag. 135.
[5] Cfr. Selvaggio assalto fascista ai funerali di un ferroviere vittima del dovere, “Avanti!”, a. XXVI, n. 125, 28 Maggio 1922 (edizione romana).
[6] L’Alleanza del Lavoro costretta a ritornare sulla deliberazione di cessazione dello sciopero, “L’Ordine Nuovo”, a. II, n. 146, 27 Maggio 1922.
[7] La sentenza per i fatti di S. Lorenzo a Roma, “Avanti!”, a. XXVI, n. 280, 9 Dicembre 1922.