24 Giugno 2024
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Ma davvero veniamo dall’Africa? – Fabio Calabrese

Vorrei dirvi qualcosa di questo libro, Ma davvero veniamo dall’Africa?, ora in uscita presso le edizioni Aurora Boreale, ma dal momento che io ne sono l’autore, voi capite che non sarà una recensione nel senso classico della parola, piuttosto cercherò di spiegarvene la genesi e il significato.

Preciso subito che si tratta del mio secondo libro di argomento politico-storico-archeologico, cioè di interpretazione del nostro passato secondo l’angolo visuale di una visione del mondo, Weltanschauung correlata all’impegno politico, che fa seguito a Alla ricerca delle origini pubblicato dalle edizioni Ritter (non si tratta, a dire il vero, del mio secondo libro in assoluto, perché ho alle spalle anche la produzione di una trentina di testi di narrativa, ma questo è un discorso che ora lascerei fuori).

Tra questi due testi esiste un preciso rapporto nel senso che Ma davvero veniamo dall’Africa?, (se non vi soffermate alla copertina e aprite la prima pagina, vedete che è accompagnato dal sottotitolo e altri saggi) è una raccolta di scritti che completano e approfondiscono il discorso intrapreso con Alla ricerca delle origini (e per una visione completa, sarebbe meglio avere sottomano entrambi i testi, anche se naturalmente Ma davvero veniamo dall’Africa?, può essere letto in modo del tutto indipendente).

Per chiarire le cose, partirei appunto da lì. In estrema sintesi, in Alla ricerca delle origini spiegavo che quella che ci è imposta attraverso il sistema “educativo” e mediatico, è una visione falsata delle nostre origini, l’origine africana della nostra specie e quella mediorientale della civiltà, entrambe le falsificazioni hanno lo scopo di dare all’uomo europeo un’immagine riduttiva di sé stesso e del suo ruolo nella storia del mondo, allo scopo di favorire la sostituzione etnica e in definitiva la scomparsa dell’uomo europeo. Si tratta cioè di mistificazioni che hanno uno scopo politico, e un preciso valore politico lo ha smascherarle per quello che sono. Si tratta, se volete, di un guanto di sfida lanciato alla democrazia e al “politicamente corretto”.

Gli scritti che compongono il presente testo si muovono ovviamente sulla stessa falsariga, approfondendone diversi aspetti.

Prima di andare a esaminare uno per uno gli scritti che compongono questo libro, vorrei dire qualcosa anche della bellissima Presentazione che ne ha fatto Eugenio Barraco, che potrebbe benissimo essere vista come un saggio a sé stante. Barraco cita con ampiezza Julius Evola. Si tratta di un accostamento che mi onora, ma se venisse interpretato in termini di confronto fra l’ineguagliato Maestro della tradizione e il sottoscritto, ne uscirei inevitabilmente con le ossa rotte.

Che quelle contenute in questo libro non siano delle mere divagazioni erudite, che sia invece quello che io definirei un libro da combattimento, lo chiarisco subito fin dall’incipit, che qui vi riporto:

Volete la libertà e la democrazia? Dovete scegliere, non potete averle entrambe”.

C’è prima di tutto un diffuso e radicato luogo comune del quale occorre disfarsi, che la democrazia sia il regno della libertà, non è così, e la riprova più evidente è costituita dal moltiplicarsi dei reati di opinione nelle democrazie occidentali, dove si tende progressivamente a proibire in modo sempre più stringente tutto ciò che non rientri nei canoni di un pensiero standard o, come è stato giustamente definito, pensiero unico. Non fare qualcosa, ma semplicemente essere “fascisti”, “razzisti”, “omofobi”, “antisemiti”, “no vax”, “filo-russi” (tutte cose sulle quali si potrebbe discutere a lungo e il cui significato può essere stiracchiato come gomma pane) sono oggi altrettanti reati penalmente perseguibili, ma questo è solo l’aspetto più appariscente. Quel che conta di più è l’appiattimento del pensiero, l’impoverimento delle idee prodotto dal sistema “educativo” e mediatico.

Nell’introduzione ho poi raccontato la mia storia come italiano di Trieste e come insegnante, entrambe circostanza storico-biografiche che hanno influito non poco sulle mie scelte politiche: Trieste è una città di frontiera dove l’italianità, dalla seconda guerra mondiale a oggi, è stata costantemente minacciata. Bene, si può dire che nella difesa della nostra identità di italiani di Trieste, noi non abbiamo ricevuto dalla repubblica “democratica e antifascista” alcun sostegno, ma solo pugnalate alle spalle. Analogamente, la mia esperienza professionale di docente mi ha permesso di constatare il progressivo degrado che l’istruzione ha subito a partire dal 1968.

Siamo ancora lontani dal tema “africano”? Un po’ di pazienza, che ci arriviamo.

Il saggio Scienza e democrazia è il più ampio fra quanti compongono il libro. Qui ho cercato di evidenziare un concetto che è, a mio parere, fondamentale. Nei nostri ambienti è diffuso un atteggiamento antiscientifico che appare ovvio alla luce del fatto che i concetti della “scienza” democratica sono altrettante armi puntate contro di noi e la nostra visione del mondo: dal marxismo alla psicanalisi, alla negazione dell’esistenza delle razze, all’antropologia culturale, alle elucubrazioni della scuola di Francoforte, eccetera, eccetera.

Tuttavia, quello che intendo dimostrare, è che “la scienza” democratica non è affatto scienza, se per essa intendiamo il metodo rigoroso di elaborazione e verifica di teorie a partire dall’accertamento dei fatti inaugurato da Galileo Galilei, ma una serie quasi infinita di manipolazioni, ciarlatanerie, falsificazioni.

Questi concetti, importanti per capirelo sfondo concettuale in cui si situa la bufala out-of-africana, li ho ulteriormente sviluppati nello scritto successivo: La mistificazione della storia come arma da guerra. Guerra di chi contro chi? Del NWO, del Nuovo Ordine Mondiale che si vuole creare all’insegna della democrazia, contro di noi uomini bianchi ed europei, è un piano che esiste da diversi decenni, a cui prima l’affermarsi dei regimi fascisti, poi, dopo la seconda guerra mondiale, la Guerra Fredda, hanno imposto una lunga interruzione, ma che oggi ha ripreso vigore ed è in corso di realizzazione, si chiama piano Kalergi.

A rivelarcelo, con sorprendente candore, è uno scrittore “americano”, Noel Ignatiev, che scrive:

L’obiettivo di abolire la razza bianca è così desiderabile che è difficile credere che possa trovare un’opposizione diversa da quella dei suprematisti bianchi”.

E’ quasi inutile che ve lo dica, avete indovinato: Ignatiev appartiene al “popolo eletto”.

Arriviamo dunque a quello che è l’interrogativo principale di questo libro e gli dà il titolo: Ma davvero veniamo dall’Africa?

La scienza, il metodo scientifico vero e non la parvenza di scienza damocratica, richiede che le teorie si adattino ai fatti, non che i fatti siano adattati alle teorie, se si adotta questa seconda prassi, non si fa scienza, ma ciarlataneria, bene, precisamente questo è il caso dell’Out of Africa, come viene chiamata con il solito insopportabile gergo anglosassone la pretesa di una nostra presunta origine nel Continente Nero, essa infatti è stata creata negli anni ’90 del XX secolo allo scopo, politico e non scientifico, di “battere il razzismo”, di “rimuovere il concetto di razza”. Ce lo spiega lo storico australiano Greg Jefferys:,

Tutto il mito dell’Out of Africa ha le sue radici nella campagna accademica ufficiale negli anni ’90 intesa a rimuovere il concetto di razza. (…). ma (costoro) sono stati totalmente smentiti dalla genetica, (anche se) Le pubblicazioni) a larga diffusione la mantengono ancora”.

In realtà ‘Out of Africa non è nemmeno una teoria, sono due che si contraddicono e, presentando ora l’una ora l’altra, fidando che il pubblico non le distingua, si fa una specie di gioco delle tre carte.

La prima versione – Out of Africa I – ci parla dell’uscita dall’Africa dei nostri progenitori attorno al mezzo milione di anni fa, mentre la seconda – Out of Africa II – suppone un’uscita dal continente africano attorno ai 50, massimo 100.000 anni fa. Non è la stessa cosa, perché la prima riguarderebbe il nostro predecessore Homo erectus, e non ci dice nulla sulle differenze razziali all’interno della nostra specie. La seconda è quella che interessa davvero ai sedicenti ricercatori democratici, perché lascia troppo poco tempo all’umanità per differenziarsi in razze, ma è contraddetta dal gran numero di fossili umani anteriori a questo orizzonte temporale che si trovano in Eurasia, e cadrebbe immediatamente nel discredito se non fosse protetta, come da una capsula, dall’omonimia con l’altra.

Anche se si evita graziosamente di informarne il grosso pubblico, la ricerca genetica l’ha ampiamente confutata. Il nostro genoma reca abbondanti tracce di ripetuti incroci con gli uomini di Neanderthal e di Denisova. Gli incroci posso dare una discendenza fertile solo nell’ambito della stessa specie. Che senso ha, dunque sostenere che Homo sapiens sia uscito dall’Africa 50-100.000 anni fa, se abitava l’Eurasia già da centinaia di migliaia di anni?

In Alla ricerca delle origini ho definito la questione delle origini una torta a quattro strati: le origini dell’umanità, quella delle popolazioni indoeuropee, le origini della civiltà, quella delle popolazioni italiche, in un’ottica che man mano si stringe e si fa più vicina a noi. Per ciascuno di questi strati c’è una “verità di stato” democratica che è una menzogna.

Per quanto riguarda la nostra origine come specie umana, la menzogna dell’Out of Africa, riguardo all’origine degli indoeuropei, la menzogna che li vede come una popolazione mediorientale espansasi nel nostro continente mediante la diffusione dell’agricoltura (teoria dell’onda di avanzamento o del nostratico), riguardo alle origini della civiltà, la storia della sua origine mediorientale in Egitto e nella cosiddetta Mezzaluna Fertile, rigurdo alle popolazioni della nostra Penisola, che esse sarebbero tenute assieme, oltre che dalla conformazione geografica dell’Italia, da un lieve collante culturale e da una cittadinanza cartacea che conta meno di nulla, ma da nessuna coerenza etnica e antropologica, che in altre parole saremmo già oggi la massa meticcia che intendono farci diventare.

Nel mio libro credo di aver adeguatamente smentito ciascuna di queste democratiche menzogne.

Solo che a questo punto mi sembra che tra questi quattro strati della torta, precisamente fra il primo e il secondo, se ne possa individuare anche un quinto, ossia quello dell’origine delle popolazioni caucasiche, “bianche”.

Bisogna infatti dire che i significati dei termini “caucasico” e “indoeuropeo” non coincidono, quello di “indoeuropeo” è un concetto definito su base linguistica (“lingue indoeuropee”), mentre quello di “caucasico” è un concetto antropologico. Beninteso, fino a tempi molto recenti, una comunità di parlanti una determinata lingua ha quasi sempre coinciso con un’identità etnica, e le società multietniche sono una mostruosità moderna, per cui identificare la nazionalità con la lingua non era finora scorretto, ma gli Indoeuropei non sono che una parte delle popolazioni caucasiche.

Per un lato, la questione dell’origine dei caucasici si confonde con quella delle origini stesse dell’umanità, poiché le caratteristiche fisico-antropologiche subsahariane e mongoliche non appaiono che molto tardi nella documentazione fossile (quella che “verremmo dai neri” è solo una barzelletta che non fa ridere) e la popolazione vivente in età storica più simile all’uomo di Cro Magnon erano gli estinti Guanci delle Canarie, innegabilmente bianchi.

Per l’altro, scopriamo ad esempio le tracce di un antico popolamento caucasico dell’Asia, poi sommerso dall’espansione delle genti mongoliche, di cui gli Ainu del Giappone, i Daiachi del Borneo, i Polinesiani sono i gruppi superstiti. Tutto ciò è l’oggetto del saggio successivo, Caucasici e indoeuropei.

La mia carriera di insegnante, oggi fortunatamente conclusa con il pensionamento, di soddisfazioni me ne ha date veramente poche, per il mio non adeguarmi all’andazzo sinistrorso che domina nella scuola italiana. Una delle poche soddisfazioni che ho avuto, è stata nel 2018, quando mi è stato chiesto di partecipare come relatore a un corso Erasmus, un Erasmus davvero insolito che, rivolto a studenti italiani e dell’Europa dell’est, si proponeva di far comprendere loro il senso di quell’identità etnico-storica che i regimi comunisti avevano fatto di tutto per cancellare.

In quella circostanza ho avuto il piacere di conoscere l’altro relatore, Felice Vinci, l’autore di Omero nel Baltico, e praticamente di lavorare in team con lui, perché sebbene non l’avessimo affatto preordinato, le nostre conferenza sembravano fatte apposta per integrarsi a vicenda.

Ora qui trovate sia il resoconto di questa mia esperienza, Un insolito Erasmus, sia il testo della conferenza da me tenuta, L’Europa alle origini della civiltà. Per chi non avesse letto Alla ricerca delle origini, L’Europa alle origini della civiltà è anche una buona sintesi del suo contenuto.

A Trieste si svolge annualmente il festival celtico Triskell, e in questa sede sono solito tenere annualmente una o due conferenze. Dal 2016 al 2020 esse hanno avuto per oggetto il fenomeno del megalitismo e il mondo dei megaliti. A mio parere, questi antichi monumenti preistorici, spesso precedenti di centinaia o migliaia di anni le piramidi egizie e le ziggurat babilonesi, sono la prova più pregnante dell’antichità della civiltà europea e della sua autonomia rispetto ai presunti influssi mediorientali. Le conferenze hanno avuto per oggetto Stonehenge, poi il megalitismo delle Isole britanniche, dell’Europa continentale, infine dell’Italia e del Triveneto.

Le prime tre le ho incluse in Alla ricerca delle origini, che ho consegnato all’editore nel 2018, le ultime due, che allora non avevo ancora steso, le trovate invece qui. Penso che scoprire il megalitismo italiano, spesso sconosciuto alla maggior parte dei nostri concittadini, sarà per voi un’esperienza interessante. Ho poi dedicato una particolare attenzione al Triveneto, che è l’area nella quale vivo.

Nel mondo dei megaliti, lo scritto che precede Italia megalitica e Il Triveneto preromano celtico e megalitico, non è un riassunto delle tre conferenze precedenti, ma un aggiornamento. Dal 2016 a ora, acqua sotto il ponti ne è passata, e nuove scoperte si sono succedute.

Con Alle radici dell’italianità, andiamo a vedere l’ultimo strato della torta, quello più vicino a noi. Anche la pretesa che gli Italiani non abbiano alcuna coerenza etnico-antropologica, sinistra menzogna di stato, che l’essere italiani non consista in altro che in un discutibile collante culturale, nel riconoscersi in alcuni simboli come il tricolore, l’inno di Mameli (e Bella ciao, a quanto pare), la costituzione del 1948 e nell’avere in tasca una cittadinanza cartacea e nulla più, è chiaramente smentito dalla genetica. L’etnia italiana esiste.

Come Alla ricerca delle origini, anche Ma davvero veniamo dall’Africa?, è un momento di una ricerca e di una lotta che naturalmente continuano.

1 Comment

  • Stefano De negri 4 Luglio 2022

    Ho gia’ letto ALLA RICERCA DELLE ORIGINI (ed anche Iperborea di Drioli) aspetto con ansia quest’ultimo, già ordinato .
    P.S.
    L’ho ordinato in una libreria di sinistra

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