17 Luglio 2024
Fantascienza

Narrativa fantastica, una rilettura politica, ventottesima parte – Fabio Calabrese

Proseguiamo nella nostra analisi del fantastico di lingua latina. L’intento di questa parte di Narrativa fantastica, una rilettura politica è quello di dimostrare che la preminenza assunta oggi nel fantastico dagli autori di lingua inglese non dipende affatto da una maggiore attitudine di questi ultimi verso questo genere di narrativa, ma esclusivamente da motivi politici, e che altre letterature avrebbero avuto potenzialità non inferiori. Ho esaminato il mondo germanico (di lingua tedesca, perché sulla carta sarebbero germanici anche gli anglofoni, afroamericani compresi), e sono poi passato a esaminare quello latino, l’Italia e la Francia (o meglio ancora, come ho fatto per il tedesco, l’area delle rispettive lingue, perché ad esempio Jean Ray era belga), ma esse non esauriscono il mondo latino, rimane il mondo iberico, Spagna e Portogallo a cui va aggiunta l’enorme estensione sia in termini di spazio geografico, sia di masse umane, dell’America latina.

Ebbene, cominciamo subito con una sgradita sorpresa: di questo enorme spazio, sia geografico sia antropologico, il testo che vi ho citato più volte, Maestri della letteratura fantastica della EDIPEM, di cui peraltro vi ho segnalato l’incompletezza anche riguardo al fantastico di lingua italiana, fa solo sei nomi a fronte di una marea di autori anglosassoni e francofoni (alcuni dei quali, più che minori, minimi): gli spagnoli Diego Torres y Villaroel, Gustavo Adolfo Bérquier e Torrente Ballester, gli argentini Jorge Luis Borges (e ci mancherebbe altro che avesse omesso uno dei maggiori scrittori a livello mondiale del XX secolo) e Julio Cortazar, il colombiano Gabriel Garcia Marquez.

Le cose stanno proprio così? Se ne può dubitare, parliamo ad esempio di quell’epoca cruciale del fantastico pre-moderno che è stato l’epoca cinque-seicentesca, quando le strutture concettuali medioevali sono in disfacimento e quelle moderne non sono ancora nate, è l’epoca di Ludovico Ariosto in Italia e di François Rabelais in Francia. Miguel de Cervantes (1547-1616) non ha titolo per essere considerato della partita?

Certamente il Don Chisciotte della Mancia non è un romanzo fantastico, nel senso che vi debba accadere qualcosa di non spiegabile in base alle leggi della realtà quotidiana, ma è certamente fantastico nel raccontarci la storia di un uomo che, perduto il senso della realtà, vive totalmente nel mondo di fantasia dei romanzi cavallereschi, al punto da scambiare, come avviene in un episodio famoso del romanzo, dei mulini a vento per dei giganti. Il fatto che non sia nemmeno menzionato in Maestri della letteratura fantastica, mi pare un’omissione gravissima.

Una considerazione non troppo dissimile si potrebbe fare anche per il portoghese Luis de Camoes (1524-1580), che nel poema I Lusiadi ha cantato il viaggio alle Indie di Vasco de Gama sul modello dell’Odissea e dell’Eneide con abbondanti riferimenti alla mitologia classica.

Ci sarebbe tutto sommato abbastanza titolo per considerare un’opera fantastica anche il dramma La vita è sogno di Pedro Calderon de la Barca (1600-1681), drammaturgo che è considerato l’ultima grande voce del siglo de oro spagnolo, dramma che narra la storia di un giovane tenuto per tutta la vita prigioniero in una torre e che, liberato per un breve periodo, si convince che la sua esperienza nel mondo là fuori, non è stata appunto altro che un sogno.

Dopo aver ignorato tutti gli autori sopra menzionati, Maestri della letteratura fantastica ci parla di un personaggio certamente poco conosciuto fuori dall’ambiente iberico e cronologicamente più settecentesco che seicentesco (ma non dimentichiamo che la Spagna ormai attardata rispetto al resto della cultura europea, vive ormai solo degli ultimi barbagli della sua epoca d’oro), lo spagnolo Diego de Torres y Villaroel (1693-1753), pesonaggio stravagante, torero, matematico (insegnò matematica all’università di Salamanca), e soprattutto astrologo. Non sono citate sue opere letterarie a parte gli almanacchi, ma gli si attribuisce una singolare profezia: avrebbe previsto la rovina della monarchia francese per il 1790, si tratterebbe dunque di una sorta di Nostradamus spagnolo.

Per quanto riguarda l’ottocento, Maestri della letteratura fantastica fa il nome del sivigliano Gustavo Adolfo Bécquer (1836-1870). Esponente di punta del romanticismo spagnolo, ebbe una vita breve e tormentata, morendo molto romanticamente di tisi a soli 34 anni, e pare una sorta di Jacopo Ortis o di giovane Werther tradotto nella realtà.

Tra le sue opere possiamo citare la raccolta poetica Rimas, poi le Cartas literarias a una mujer, e cosa che gli dà un maggiore diritto a essere incluso tra i maestri della letteratura fantastica, le Leyendas, che è appunto una raccolta di leggende popolari nello stile dei fratelli Grimm, solo che, a differenza del meticoloso lavoro filologico di questi ultimi, non si sa quale parte di esse siano effettivamente leggende popolari, e quanto invece prodotto della fantasia dello stesso Bécquer.

Per quanto riguarda la letteratura fantastica spagnola del XX secolo, stupisce che Maestri della letteratura fantastica faccia un solo nome, quello di Gonzalo Torrente Ballester, nato a El Ferrol nel 1910. (Il testo della EDIPEM, compilato quando l’autore era in vita, non lo riporta, ma sappiamo che Ballester è deceduto nel 1999).

E’ degno di interesse il fatto che, come molti altri, in un campo quale la letteratura fantastica raramente remunerativo e in cui molti autori fanno altri lavori per vivere, Ballester sia stato un insegnante, cosa che capita spesso anche ad autori fantastici italiani, Fabio Calabrese, per esempio.

Di Ballester, che era galiziano, Maestri della letteratura fantasica, sottolinea la radice celtica, che convive non senza contrasto con quella mediterranea, e riporta:

Il suo spirito sarà sempre diviso tra due tendenze teoricamente inconciliabili: le radici celtiche della Galizia e il Mediterraneo, l’irrazionale e il razionale, il fantastico e il reale (…). Un’anima profondamente impregnata dalla spiritualità e dalla magia della sua terra natale, ma il suo intelletto sarà disciplinato da una forma rigorosa autoimposta”.

Tra le sue opere si ricordano El viaje del joven Tobias (1938), El casamiento enganoso (1941), Lope de Aguirre (1941), Javier Marino (1942), Siete ensayos y una farsa (1942), El retorno de Ulises (1945), Ifigenia (1950), El senor Llega (1957), Donde de una vuelta el aire (1960), La pascua triste (1962), Don Juan (1963).

Con tutto ciò, Ballester rimaneva uno scrittore “di nicchia”, fino all’improvviso e insperato successo del suo capolavoro, La saga/fuga di J. B. J. B. sono le iniziali di tutti e sette i protagonisti di questo romanzo corale ambientato nella immaginaria città galiziana di Castroforte del Baralla, una città la cui esistenza è negata da un errore della burocrazia, e che alla fine scompare sollevandosi nel cielo, verso un luogo dove le città non hanno bisogno di autorizzazioni burocratiche per esistere.

Come vi ho detto, Maestri della letteratura fantastica cita solo sei autori di lingua iberica, tre spagnoli e tre latino-americani (Portogallo – di cui valeva la pena di menzionare almeno Camoes – e Brasile sembrano non esistere), e che l’immenso bacino umano dell’America latina abbia lasciato così poche tracce, è una cosa che non manca di stupire, e mi riprometto, in un prossimo articolo, di porre rimedio alle lacune fin troppo vistose del testo della EDIPEM.

Per ora, però, vediamo cosa ci racconta questo libro sulla letteratura fantastica latino-americana.

Sarebbe stata una cosa troppo plateale se si fosse ignorato il grandissimo Jorge Luis Borges, probabilmente il più grande autore fantastico non di lingua inglese del XX secolo.

A Borges, lo ricordate, ho già dedicato un articolo di questa serie al quale ora vi rimando per evitare ripetizioni, senza contare che sempre sullo scrittore argentino, sempre su “Ereticamente”, trovate anche un eccellente articolo di Roberto Pecchioli, infatti ricorderete che, esaminando i vari sottogeneri in cui può essere suddivisa la letteratura fantastica, vi ho espresso il concetto che, a mio parere Borges può essere compreso in un genere tutto suo, un fantastico interamente razionale, basato su specchi e labirinti, biblioteche di Babele e libri di sabbia, gli abissi della ragione, ho sintetizzato.

Nello stesso articolo, sulla scorta di Jean François Revel (La conoscenza inutile), abbiamo visto anche i motivi squisitamente politici e in profonda malafede per cui a Borges non è stato assegnato quel nobel per la letteratura di cui invece in altri tempi sono stati ritenuti degni Winston Churchill, Dario Fo e Bob Dylan, il fatto in sostanza che il prestigioso premio creato dall’inventore della dinamite, è oggi nelle mani di una lobby di sinistra le cui farneticazioni ideologiche Borges ha avuto il torto di non condividere.

Nello stesso tempo abbiamo visto che Borges, questo autore “inimitabile”, ha dato vita in una certa misura a una scuola, nella quale rientrano il suo discepolo Adolfo Bioy Casares, e la moglie di quest’ultimo, Silvina Ocampo. Bioy Casares, l’abbiamo visto, è anche autore del bel romanzo L’ invenzione di Morel. Maestri della letteratura fantastica non ne fa alcuna menzione, e anche questa è un’omissione grave. Bioy Casares non vale forse una dozzina di capitani Danrit e tutta la pletora di minori e minimi francofoni su cui il testo della EDIPEM si diffonde?

Qualcosa su cui nel precedente articolo “borgesiano” non mi sono soffermato (a volte la carne al fuoco è davvero troppa), è la prefazione che Borges ha messo al romanzo del suo allievo, che può essere considerata un vero e proprio manifesto della letteratura fantastica.

Essa, in sostanza, ci spiega, nasce dal bisogno di ritrovare il piacere della lettura, laddove leggere i testi della letteratura realistica “somiglia sempre di più a una punizione” come conseguenza della mancanza di quel minimo di rigore intellettuale di cui un lettore ha bisogno. “I russi ci hanno spiegato che nessun uomo è impossibile, suicidi per felicità, persone che si amano al punto da lasciarsi per sempre. Questa totale libertà equivale infine al totale disordine”.

L’altro autore argentino nominato in Maestri della letteratura fantastica, è Julio Cortazàr, certamente meno noto del grande Borges e anche di Gabriel Garcia Marquez. Nato nel 1914 a Bruxelles (era figlio di un diplomatico), e deceduto nel 1984, era un autore che ha cercato “l’insolito nel quotidiano”. Maestri della letteratura fantastica riporta questa sua frase:

“Morirò senza aver perso la speranza che un mattino il sole sorga a occidente”.

Come attività professionale è stato un insegnante (come molti altri, compreso il sottoscritto) e traduttore per l’UNESCO. Le sue prime pubblicazioni risalgono al 1941. Nel 1949 ha pubblicato un’opera teatrale, Los reyes, nel 1963 il romanzo Rayuela (in italiano Il gioco del mondo), che è stata l’opera che ha maggiormente attirato l’attenzione su di lui, tuttavia era prevalentemente un autore di racconti. Fra le raccolte di racconti da lui pubblicate, c’è da segnalare in particolare Bestiario del 1951, storie scritte in uno stile peculiare e raffinato che a volte ricordano un po’ Borges. Da una sua novella, Le bambole del diavolo, Michelangelo Antonioni ha tratto la sceneggiatura del film Blow Up.

Parlare di Gabriel Garcia Marquez è quasi imbarazzante, infatti non si può negare che l’autore colombiano rappresenti il fenomeno più vistoso dei decenni più recenti nel campo del fantastico latino-americano, ma una considerazione obiettiva impone di dire che i suoi meriti letterari sono stati ampiamente sopravvalutati, e sopravvalutati precisamente per lo stesso motivo politico per cui si sono negati a Borges riconoscimenti che gli sarebbero spettati, a cominciare da quel nobel per la letteratura che, ripetutamente rifiutato a Borges, gli è stato invece assegnato nel 1982: il fatto cioè che Marquez fosse non solo un militante di sinistra, ma un comunista e attivo fiancheggiatore e propagandista del regime cubano, in favore del quale si è spesso e volentieri speso a giustificazione di imprese discutibili come l’intervento militare in Angola.

Marquez (1927-2014) è stato autore di diversi romanzi: Cento anni di solitudine (1967) che è considerato il suo capolavoro, L’autunno del patriarca (1975), L’amore ai tempi del colera (1985), Il generale nel suo labirinto (1989) e svariati racconti, di cui è particolarmente noto Cronache di una morte annunciata (1981).

Leggendo Marquez senza paraocchi, senza farsi condizionare dall’esaltazione che ne fanno “gli intellettuali” di sinistra, perspicaci come capre e originali come fotocopie, almeno questa è l’impressione che io ne ho ricavato dalla lettura dei due romanzi Cento anni di solitudine e L’autunno del patriarca, si vede che si, l’autore scrive bene, ma c’è qualcosa che non convince. Marquez dipinge un mondo, l’universo che ruota intorno al suo immaginario Macondo, dove il quotidiano e il soprannaturale si intersecano di continuo senza destare alcuna meraviglia, dove l’unico fatto capace di stupire è l’esistenza del ghiaccio.

La letteratura fantastica è una creazione della cultura occidentale, impregnata di razionalità filosofica e pensiero scientifico, come violazione, a certe condizioni, delle aspettative del lettore. Leggendo Marquez ci si accorge che è un uomo colto, appartenente a questa cultura, ma che finge un primitivismo da indio, un autore in maschera. La critica paludata di sinistra ha parlato di “realismo magico”, io direi piuttosto violazione di quella sincerità che lo scrittore, anche fantastico, deve avere, e disonestà verso il lettore.

Per il momento ci fermiamo qui. Abbiamo visto due fatti politicamente importanti: innanzi tutto l’ennesima conferma del fatto che l’attuale predominio mondiale nel campo fantastico degli autori di lingua inglese non dipende da una particolare propensione di costoro per questo genere di narrativa, ma esclusivamente dal predominio politico degli Stati Uniti, e che altre letterature, come quella germanica e latina avrebbero avuto analoghe potenzialità, e poi, in particolare i due casi simmetrici e contrapposti di Borges e di Marquez ci dimostrano il peso distorcente delle lobby di sinistra in questo campo come altrove.

Maestri della letteratura fantastica che ho preso come testo di riferimento, si è dimostrata utile, ma fino a un certo punto, se infatti si diffonde su una pletora di autori anglosassoni (che è stato bello ignorare) e francofoni, per quanto riguarda gli autori italiani, iberici, latino-americani, siamo al minimo sindacale.

Per questo, sarà necessaria un’integrazione come ho già fatto per gli autori italiani (ventieiesima parte), compito che stavolta sarà più difficile, perché non ho un’ulteriore traccia come quella rappresentata dall’introduzione di Inisero Cremaschi a Universo e dintorni.

Ma chi ha detto che solo le imprese facili vadano tentate?

 

NOTA: Nell’illustrazione, un panorama fantascientifico.

 

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