Il 18 settembre si conclude improrogabilmente (per la costituzion che nol consente) il mandato novennale di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale, di cui è stato vice presidente e successivamente presidente, per la consuetudine di investire della massima carica il giudice più anziano nella funzione, garantendogli, di passaggio, ulteriori privilegi e prebende. Un’elezione avvenuta in singolare coincidenza con la rielezione al Quirinale di Sergio Mattarella, a sua volta politico ed ex giudice costituzionale. Personaggi entrambi dall’indiscutibile connotazione di parte, in contraddizione con il ruolo di garanzia che la Carta assegna ai membri della Consulta.
All’alba dei suoi 84 anni, il dottor Sottile – così Eugenio Scalfari chiamò Amato per la figura minuta unita alla fine arguzia delle argomentazioni giuridiche e politiche – lascia l’ultima delle tante poltrone che ha occupato in quarant’anni di carriera ai vertici delle istituzioni italiane ed europee. Dichiara altresì di considerare esaurita la sua carriera di uomo di potere. Tiriamo un sospiro di sollievo, certi tuttavia che saranno molte le entità finanziarie, giuridiche, politiche transnazionali che si avvarranno ancora della sua perizia di eterno navigatore nel mare dell’oligarchia.
Egli stesso, nel discorso di commiato dinanzi ai colleghi giudici costituzionali, si è definito un timoniere. Un vezzo, forse un peccatuccio di vanità per una carriera vissuta tra università, politica, governo, istituzioni europee ed internazionali, stanze e corridoi di vertice, prima da consigliere del principe e poi responsabile diretto, non più nostromo, ma capitano della nave.
Check and balance, recita la teoria liberale. “Con questa espressione inglese (controllo e bilanciamento reciproco) si indica quell’insieme di meccanismi politico-istituzionali finalizzati a mantenere l’equilibrio tra i vari poteri all’interno di uno Stato. Il c. and b. deriva dal principio della divisione dei poteri, realizzato in Inghilterra a partire dal XVII secolo e teorizzato da Montesquieu nello Spirito delle leggi (1748), il cui scopo è evitare l’assolutismo e salvaguardare la libertà dei cittadini.” La definizione proviene dall’Enciclopedia Treccani, il cui Istituto è stato presieduto dal 2009 al 2013 dal gracile, inossidabile Giuliano, una sinecura prestigiosa e ben retribuita. Peraltro, anni fa Amato uscì quasi indenne dall’accusa di essere un super pensionato dal reddito altissimo, in grado di sfamare decine di famiglie.
Controllo e bilanciamento o piuttosto porte girevoli al piano nobile di ogni centro di potere praticato nei ruoli apicali più diversi, talora opposti. Arbitro e giocatore, giudice e parte in causa, sempre ai vertici. La longevità politica di Amato è paragonabile a quella di Andreotti, ma il divo Giulio fu sempre e soltanto un dirigente politico, non di volta in volta cardinale Richelieu, arbitro delle contese, poi responsabile politico, gran consigliere, legislatore europeo, infine garante della costituzione italiana che tuttavia ha traghettato nella gerarchia delle fonti dietro le sacre norme europee e transnazionali.
Amato ha frequentato e diretto con innegabile successo e con la levità della figura smilza e del linguaggio felpato, istituzioni politiche nazionali ed internazionali, consulenze di altissimo profilo nell’ambito finanziario e dirette responsabilità governative e giuridiche. E’ stato costituente europeo, membro del sinedrio di “saggi” incaricato di redigere quella che fu chiamata costituzione europea, la base dei successivi trattati di funzionamento dell’Unione, ossia l’architetto dei vincoli, dei lacci che hanno fatto dell’UE il leviatano burocratico e antidemocratico che è e hanno svuotato come termiti le sovranità nazionali, i governi e la volontà popolare.
Il volto da topolino furbo e l’esprit de finesse non gli mancano: anche il suo commiato dalla Consulta è stato tutt’altro che banale. Purtroppo, giacché la funzione di garanzia presupporrebbe il massimo di riserbo e di indipendenza, il suo è stato un discorso partigiano e politico. Ha ammonito l’Italia ad allontanare la “tentazione” di affermare “il primato del diritto nazionale su quello dell’Unione”, negando implicitamente l’articolo 1 della costituzione su cui ha vegliato (?) per nove lunghi anni.
L’acquis e il diritto comunitario sono superiori alla nostra legislazione e Amato lo ha rammentato con eleganza. Sovranità è una parola vuota e un programma irrealizzabile. La democrazia, le elezioni, servono a indicare (con il permesso dei superiori) chi potrà pigiare il bottone del pilota automatico e svolgere i compiti assegnati dall’alto. Hai parlato chiaro, Giuliano (non tanto) Amato, ed è colpa nostra se non prendiamo atto delle tue parole.
Il dottor Sottile è andato oltre, rivendicando una prassi non sancita dalla costituzione, la tendenza della Corte di farsi legislatrice di complemento, una specie di terza camera, impartendo “consigli” su nuove leggi o assegnando un termine al parlamento affinché deliberi su certe questioni. In barba alla divisione e all’autonomia dei poteri di cui sarebbe il custode. Arbitro, giocatore e tifoso di una delle squadre in campo: mille ruoli per un uomo solo, un perfetto grand commis che ha attraversato tutte le oligarchie e molte stagioni storiche.
Scusa se ti diamo del tu, ma dopo decenni ci sembri uno di famiglia, lo zio potente che non smette di dare lezioni a noi umili mortali: non ci mancherai. Ricordiamo assai bene il tuo ruolo nel fatidico 1992, la manovra governativa “lacrime e sangue” da oltre novantamila miliardi di lire, il prelievo forzoso retroattivo del sei per mille sui conti correnti, il tuo ruolo in quel periodo drammatico della storia nazionale spacciato come epopea di liberazione politica (e privatizzazione tramite svendita del patrimonio pubblico). Era il tempo dell’attacco alla lira organizzato da George Soros per conto degli stessi che a bordo del panfilo Britannia si divisero le spoglie delle banche e dell’industria pubblica a prezzi di saldo. La lira era stata fatta a pezzi, l’improvvida difesa della valuta costò decine di migliaia di miliardi.
Il suo protagonista, l’allora governatore di Bankitalia Ciampi, assurse alle più alte cariche istituzionali sino alla presidenza della repubblica. Un altro simbolo del commissariamento dell’Italia da parte di poteri esterni (e ostili…) che dura da trent’anni e che tu hai accompagnato con i consigli e l’azione nelle varie cariche ricoperte. Non ci mancherà il timoniere di una Corte passata dal ruolo di garanzia a un improprio spirito “legislativo” ideologicamente orientato. Non ci mancherai, infine, perché non crediamo che ti ritirerai come un Cincinnato qualsiasi a terminare i tuoi giorni – che ti auguriamo lunghi e felici nella vita privata – frequentando un centro anziani o osservando i lavori dei cantieri stradali.
Continuerai ad esercitare con la solita discrezione il ruolo di gran suggeritore, astuto camerlengo dei poteri forti, magari a partire dall’European Council of Foreign Relations di cui facevi parte, organizzato da un vecchione più ricco e potente di te, il solito Soros.
Fosti l’unico esponente del Partito Socialista a superare indenne la bufera dell’inchiesta Mani Pulite che dal 1992 azzerò un’intera classe politica e burocratica, un Talleyrand in perenne equilibrio tra Ancien Régime, rivoluzione e restaurazione. Un motore immobile del potere, frequentato e poi esercitato con il piglio del brillante giurista. Sei stato per anni l’ombra di Bettino Craxi, ma non ti accorgesti mai – questa sarebbe la “verità giudiziaria” di quegli anni tumultuosi che ancora proiettano la loro ombra sul presente – che il PSI era un’associazione di delinquenti, una banda di corrotti negli anni della “Milano da bere” e del riflusso dopo gli anni di piombo. Strana ingenuità per un uomo di vivissima intelligenza divenuto il filo della continuità tra la Prima e la Seconda Repubblica, cerniera tra il mondo politico e i poteri forti.
La lettura del curriculum vitae di Amato è una lezione di storia, il ripasso delle vicende di una stagione lunghissima che – forse – si chiude il 18 settembre 2022. Le tappe del successo, dopo la laurea e il master alla Columbia University, lo hanno portato alla cattedra universitaria e avviato alla politica, con un percorso apparentemente tortuoso. Socialista dell’ala sinistra, uscì dal PSI in polemica con la nascita del primo governo con la DC all’inizio degli anni Sessanta del secolo passato. Aderì al PSIUP (Partito Socialista di Unità Proletaria) che si sciolse nel 1968 dopo un clamoroso insuccesso elettorale. Al tempo, la perfidia politica romana chiamò il PSIUP “Partito Scomparso In Un Pomeriggio”, ma il giovane Giuliano non si perse d’animo, dimenticò il proletariato e rientrò nel PSI al seguito di Antonio Giolitti e Giorgio Ruffolo, i padri di quella era chiamata programmazione economica.
Si unì poi al riformismo di Bettino Craxi, fu eletto deputato nel 1983, divenendo sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Craxi, vice presidente del Consiglio e poi ministro del Tesoro in governi di centrosinistra. Non era certo un passante, un turista della storia, il dottor Sottile. Abbandonati Craxi e il PSI (di cui era vice segretario) al loro destino – in parte ingiusto – fu per due volte capo del governo, ministro delle riforme istituzionali e poi dell’Interno con Prodi, al tempo dell’Ulivo di cui fu tra i fondatori.
Se l’Italia politica e istituzionale è quello che è, uno degli artefici di lungo corso è il professorino nato a Torino, figlio di siciliani e cresciuto in Toscana. Diventato uomo di fiducia delle oligarchie economiche e finanziarie, fu anche presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, un ruolo in conflitto con le passate simpatie proletarie, ma lo slalom ideologico non è prerogativa del solo Amato. E’ stato anche maggiore consulente italiano della Deutsche Bank e presidente dell’International Advisory Board di Unicredit, incarico che lascerà a un altro instancabile navigatore della politica e della finanza, Romano Prodi, il 21 febbraio 2014 (fonte: Wikipedia). La data è importante giacché Amato divenne giudice costituzionale nel settembre 2013 e l’articolo 135 della Costituzione impone l’incompatibilità del ruolo di membro della Corte con “ogni carica ed ufficio indicati dalla legge”. Nessun dubbio sulla liceità delle condotte di Amato, ma sarebbe stato più elegante, al momento dell’assunzione del ruolo di giudice costituzionale, rinunciare all’incarico presso un istituto di credito partecipante di Bankitalia dai rilevantissimi interessi.
Giuliano Amato resta è una delle personalità chiave di un quarantennio di storia nazionale. Come dicevamo, se l’Italia è quella che è – e l’Unione Europea, tenuto conto del ruolo rivestito nella stesura dei trattati che la improntano – uno degli artefici è il minuto giurista con la vocina gentile. Dalle feroci privatizzazioni degli anni Novanta successive al crollo del sistema politico in cui fu suggeritore di Craxi (o controllore?), dalle vicende che hanno portato alla fine del vecchio sistema politico da cui è risorto come la fenice, alla costruzione di questa Europa e degli assetti istituzionali, economici e politici italiani, sino al ruolo nella Consulta – garante giuridico degli equilibri di potere e legislatore surrettizio – Giuliano Amato è uno dei protagonisti di molte stagioni politiche e istituzionali, sempre nei circoli che contano.
Sconcerta il numero di parti in commedia recitate con successo in un’interminabile carriera. Avrà ancora un peso e un’influenza, riassunta nell’ uscita di scena pubblica con la rivendicazione di una concezione del diritto in fieri, progressivo, a partire dall’iniziativa degli organi di controllo, di cui Marta Cartabia sembra essere la continuatrice. Più ancora con il monito, pronunciato con il tono neutro e l’eloquio da sopraffino tecnico giurista, a rinunciare alla preminenza del diritto nazionale su quello dell’Unione. Un lascito minaccioso, l’ultimo graffio di un esponente dell’oligarchia “illuminata”. No, Giuliano, non sei stato Amato.
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