8 Ottobre 2024
Narrativa

Narrativa fantastica, una rilettura politica, trentesima parte – Fabio Calabrese

Come avrete notato, gli articoli che formano questa serie si possono dividere in due gruppi: dall’inizio alla diciannovesima parte, mi sono dedicato a un’analisi del fantastico per generi. Con la ventesima, ho cambiato tono e finalità e mi sono dedicato al fantastico non anglosassone, esplorando a questo riguardo prima il mondo germanico poi quello latino, a motivo del fatto che volevo darvi ampia dimostrazione di un fatto di cui sono persuaso: che lo schiacciante predominio che gli autori anglosassoni possiedono oggi in questo campo non dipende da una loro maggiore attitudine al riguardo, ma unicamente dal fatto che, per disgrazia dell’umanità, una potenza di lingua inglese, gli Stati Uniti d’America, è diventata la potenza dominante di questo pianeta.

Certo, mi sono sentito e mi sento come quegli olandesi (siano mai davvero esistiti) che cercavano di tappare con le dita le falle delle dighe nel tentativo di contrastare un’alluvione.

Onestamente, sono stato indeciso piuttosto a lungo se estendere la mia analisi al mondo slavo e russo, perché al riguardo non credo di poter vantare la stessa competenza che ho per il fantastico germanico e latino, ma chi ha mai detto che solo le imprese facili vadano tentate? Oggi poi assistiamo a un tentativo di cancellare dall’Europa qualsiasi legame con la cultura russa, di separare a ogni modo la Russia dall’Europa talmente massiccio e sicuramente pianificato, che la guerra in Ucraina (per il momento non indaghiamo sulle vere responsabilità di questo conflitto), da rendere urgente che invece della Russia si parli, si rifiuti questo tentativo di cancellazione.

Come avete visto, nelle parti precedenti di questa trattazione, mi sono avvalso di un testo vecchiotto ma utile, Maestri della letteratura fantastica (EDIPEM 1981), segnalandone però nel contempo le lacune. In particolare, la ventiseiesima e la ventinovesima parte sono state dedicate a esaminare precisamente ciò che questo testo ha omesso riguardo al fantastico italiano e a quello iberico-latino americano. Ora temo che per quanto riguarda la Russia non mi sarà possibile se non in parte compiere un lavoro dello stesso genere.

C’è poi un altro ostacolo. Io vi ho già riferito la scoperta, che ho trovato scandalosa del fatto che per lungo tempo, fantascienza a parte, le altre forme di fantastico, oltre la Cortina di Ferro, sono state letteralmente messe al bando. Giusto la volta scorsa vi ho citato il giudizio preconcetto e malevolo, la scomunica verso l’heroic fantasy pronunciata dal “critico” (in realtà corifeo di regime) tedesco-orientale Hans Joachim Alpers. Ma veramente il comunismo è riuscito a soffocare ad esempio la vena fantastica dell’anima russa, profondamente impregnata di un atavico misticismo? Anche se quella di soffocare e immiserire ogni aspetto della vita sembra proprio essere la specialità del comunismo.

Cominciamo col dare un’occhiata al fantastico slavo non russo, e qui ci imbattiamo subito in un problema: Si può parlare del fantastico ceco senza nominare Franz Kafka? Ma Kafka ha scritto in tedesco, e ne ho parlato in riferimento al fantastico di lingua germanica. È una curiosa anomalia storica, ma Praga, a lungo capitale della Cecoslovacchia e oggi della Repubblica Ceca, era fino al 1918 una città di lingua tedesca, e in tedesco si sono espressi praghesi di importanza non trascurabile, come Max Wertheimer fondatore della psicologia della Gestalt e naturalmente Franz Kafka, per non parlare del “moravo” Sigmund Freud.

Vi cito una curiosità. Nel 2018 ho avuto l’occasione di visitare Praga. Sulla scorta delle letture di Kafka e del Golem di Gustav Meyrink, mi ero fatto l’idea di un luogo un tantino cupo, misterioso e inquietante. Ho visto invece che si tratta di una città solare, allegra, e purtroppo oggi molto turistica. Tuttavia, sono riuscito a ritrovare l’atmosfera della Praga letteraria almeno in due luoghi: nella casa, oggi museo, di Franz Kafka, e nel vecchio cimitero ebraico con le sue lapidi addossate.

Indiscutibilmente ceco fu in ogni caso il giornalista, scrittore e drammaturgo Karel Capek (1890-1938). Penso che non ci sia nessuno di voi che non abbia sentito nominare la parola robot, nel significato di automa, macchina di aspetto più o meno antropomorfo e spesso in grado (almeno a livello di narrativa) di esibire un comportamento simile a quello umano. Questa parola deriva dal ceco, dove significa semplicemente lavoratore. Se è stata assunta a livello internazionale nel significato di automa, questo lo si deve a Capek e precisamente alla sua commedia R.U.R. (Robot Universali di Rossum) del 1920, dove appunto si immaginano gli automi pronti a rimpiazzare i lavoratori umani, una prospettiva che oggi appare molto meno fantasiosa e molto più plausibile rispetto a un secolo fa.

In mezzo a una produzione di argomenti svariati, a cui la morte precoce a 48 anni non ha permesso di essere molto ricca, spiccano altre due opere di carattere fantastico, due romanzi, La fabbrica dell’assoluto del 1922 e La guerra delle salamandre del 1936. Il primo parla di una macchina che casualmente emette “particelle di Dio”, no, non si tratta in questo caso di bosoni di Higgs, ma di vere e proprie particelle divine che provocano miracoli. Nella Guerra delle salamandre si immagina che una varietà gigante di questi anfibi (sul tipo della salamandra gigante giapponese) che hanno ricevuto un’improvvisa spinta evolutiva e sviluppato un forte senso della comunità, si trovino impegnati in una feroce guerra con l’umanità. Il libro è stato scritto per essere una caricatura del nazionalismo e del militarismo, ma, situazione esplorata parecchie volte dalla fantascienza, viene da riflettere che se due specie senzienti completamente diverse si trovassero davvero a convivere nello stesso mondo, le possibilità di una convivenza pacifica sarebbero alquanto scarse.

Se estendiamo la nostra analisi oltre la narrativa scritta, per esempio al cinema, è doveroso segnalare che ceco è stato anche uno dei maggiori maestri del cinema di animazione, Karel Zeman (1910-1989). Nella sua produzione tra lungo e cortometraggi, sono molte le pellicole di carattere fantastico, dai Viaggi di Sindbad al Barone di Munchausen, ma la più famosa e importante è, con ogni probabilità La diabolica invenzione, adattamento di una novella di Jules Verne, ed è significativo che, come si evince fin dal titolo, della vasta produzione verniana, Zeman abbia scelto una delle opere più pessimistiche, che esprime la convinzione che il progresso scientifico non porterà l’uomo alla felicità, ma alla catastrofe.

La “nostra” RAI, sempre ossessionata dal “politicamente corretto”, presentando anni fa una rassegna di Zeman, tradusse “regista ceco” come “regista non vedente”, sebbene non mi risulti avesse particolari problemi di vista.

Gli autori non anglofoni che dalla metà del XX secolo sono riusciti per davvero a sfondare “il muro” del monopolio internazionale degli anglosassoni in questo campo, si contano sulle dita di una mano: il tedesco Michael Ende, l’argentino Jorge Luis Borges, in parte il francese Pierre Boulle (non nel senso che lui stesso o il suo romanzo Il pianeta delle scimmie abbiano acquisito una particolare notorietà, ma da esso sono state tratte un gran numero di trasposizioni cinematografiche, serie televisive e via dicendo). Di questa ristrettissima élite fa parte anche un autore polacco, Stanislaw Lem.

La notorietà di Stanislaw Lem (1921-2006), legata soprattutto alla trasposizione cinematografica del suo romanzo Solaris da parte del regista russo Andrej Tarkovskij (un altro che nel suo campo è riuscito a sfondare il muro del quasi esclusivo monopolio anglosassone) del 1972, fa quasi dimenticare che, oltre a Solaris, l’autore polacco ha avuto una produzione narrativa piuttosto intensa. Si calcola che i suoi libri siano stati tradotti in almeno 41 lingue e abbiano venduto nel mondo oltre 27 milioni di copie, il che ne fa un record per un autore non anglosassone.

Le vicende esteriori della sua vita non registrano moltissimi eventi importanti. Nel 1976 la Polonia lo candidò al premio nobel per la letteratura, che non ottenne. Nello stesso anno, ironicamente, fu rimosso da membro onorario della SFWA (Science Fiction and fantasy Writers of America), carica che gli era stata conferita nel 1973 in seguito al successo di Solaris, non per motivi che lo riguardassero personalmente, ma in seguito alle vicende interne polacche, era insomma in scala minore un anticipo della vergognosa politica che vediamo oggi che in conseguenza (o con il pretesto) della guerra in Ucraina, si cerca di cancellare qualsiasi rapporto tra “l’Occidente” e tutto quanto è russo.

Oltre a Solaris, tra i romanzi di Lem possiamo ricordare Astronauti del 1951, il suo romanzo d’esordio, anche noto in Italia come Pianeta morto, che contiene tra le altre cose una interessante spiegazione del misterioso evento della meteora di Tunguska del 1908, poi Pianeta Eden, La nube di Magellano, Ritorno dall’universo, L’invincibile (il titolo di questo romanzo è anche il nome di un’astronave dedita all’esplorazione galattica, una sorta di versione euro-orientale di Star Trek), I viaggi del pilota Pirx, e molto altro, più svariati racconti, al punto da non rendere qui possibile un’elencazione completa.

Fra i romanzi minori, si potrebbe ricordare Delitto al fantacongresso, è una storia gialla, ma ambientata sullo sfondo di una convention di fantascienza. Dove collocarla allora? Mondadori ne ha collocato la versione italiana su “Urania”.

Veniamo finalmente agli autori russi. Maestri della letteratura fantastica ne nomina solo sei, a fronte di una marea di anglofoni e francofoni, così come, abbiamo visto, si è rivelato altrettanto avaro per gli autori italiani e iberici e latino-americani, non solo, ma poiché i fratelli Strugatski sono citati in coppia, a tutti gli effetti è come se gli autori citati fossero solo cinque.

Come se non bastasse, notiamo la totale disattenzione alle letterature “minori”, come abbiamo visto per il mondo latino dove non compare minimamente il Portogallo (neppure Camoes) allo stesso modo ignora del tutto le letterature slave “minori”, ceca o polacca, quindi nessuna menzione né di Capek né di Lem.

Degli autori russi citati, Ivan Efremov, Alexander Kazantzev e i fratelli Strugatski, sono autori di fantascienza, mentre gli autori fantastici sono solo due, Nikolaj Gogol e Aleksej Nikolaevic Tolstoj (da non confondere con il più famoso prozio, Lev Tolstoj), il che è certamente spiegabile almeno in parte con l’ostracismo che, come vi ho spiegato, il fantastico ha subito in Russia durante l’epoca comunista.

Tuttavia, cominciamo ora con un autore che Maestri della letteratura fantastica ignora alla grande, sebbene sia considerato il terzo dei maestri della letteratura distopica, ovvero dell’utopia negativa, dopo George Orwell e Aldous Huxley, Evgenij Zamjatin.

Evgenij Zamjatin (1884-1937) fu uno dei tanti intellettuali russi che dopo un’iniziale adesione al comunismo, man mano che la macchina sovietica si metteva in moto, ne rimasero amaramente delusi. Autore di scritti satirici contro il regime, gli fu permesso di lasciare la Russia nel 1931, e morì in esilio a Parigi sei anni dopo. La sua fama è legata soprattutto al romanzo distopico Noi.

In Noi la caricatura del sistema sovietico è chiaramente riconoscibile. In questo romanzo del 1921 che ebbe il bizzarro onore di essere uno dei primi a essere messo fuori legge in Unione Sovietica, si espone il concetto che, secondo il regime, l’individualità è la causa dell’infelicità umana. Non vi si riconoscono né l’oppressione feroce di 1984, né le raffinate tecniche di condizionamento psicologico del Mondo nuovo di Huxley, ma piuttosto il peso schiacciante della massa anonima collettivamente organizzata, che annienta del tutto la personalità dell’individuo.

Parliamo dei due soli autori fantastici russi che hanno trovato spazio in Maestri della letteratura fantastica, Nikolaj Gogol e A. N. Tolstoj.

Nikolaj Gogol (1809-1852), mutatis mutandis, ci impone lo stesso problema che ci hanno posto Dante, Ariosto, Goethe e qualcun altro, ossia fino a che punto è possibile separare l’autore fantastico (e quindi in un certo senso, ma non sempre “minore”) dal “grande” della letteratura, perché non c’è dubbio che Gogol occupa un posto di primo piano nella storia della letteratura russa. Dostoevskij ebbe a dire: “Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol” (Il cappotto è infatti una delle novelle più famose di questo autore).

Noto soprattutto per il romanzo di denuncia sociale Le anime morte e per il romanzo storico Taras Bulba, Gogol ha anche però una forte vena fantastica, come ebbe egli stesso a evidenziare dicendo:

“In questo mondo accadono cose da cui spesso è bandita la verosimiglianza”.

E di cose da cui è bandita la verosimiglianza, nell’opera di Gogol se ne trovano parecchie, tanto per cominciare, proprio nella novella Il cappotto citata più sopra, che è quella che oggi si direbbe una ghost story, dove il fantasma di un povero impiegato continua a cercare il cappotto che gli è stato rubato in vita, oppure il surreale Il naso, dove il naso di un funzionario governativo prende vita autonoma e se ne va per i fatti suoi.

La posizione di Aleksej (1883-1945) nell’albero genealogico della famiglia Tolstoj rispetto a grande e ben più noto Lev non è molto chiara, ma il fatto che avessero entrambi lo stesso patronimico, Nikolaevic, fa supporre che fossero figli di cugini.

Fu uno scrittore di ispirazione eclettica, che va dai romanzi storici dedicati alle figure degli zar, Ivan il Terribile e Pietro il grande rimasto incompiuto, alla fantascienza, con Aelita del 1923, che racconta la storia di un volo su Marte, da cui il regista Jakob Protazanov ricavò nel 1924 un film straordinariamente avanzato per l’epoca, e L’iperboloide dell’ingegner Garin del 1926. “Nel mezzo” però ci sono svariati lavori fantastici ispirati al folclore russo e all’esoterismo (ebbe contatti con la società esoterica Golden Dawn), fra cui la trilogia “nera” Il cammino delle tempeste e la novella Vurdalak sul tema del vampirismo.

Per ora ci fermiamo qui. Rimane da esplorare la fantascienza russa, su cui vedrò di addentrarmi la prossima volta. Un compito, ritengo, di non poca importanza soprattutto alla luce del fatto che oggi, con il pretesto della guerra in Ucraina, e in nome di una falsa “libertà”, i corifei del NWO vorrebbero cancellare tutto quanto è russo dalla cultura europea.

 

NOTA: Nell’illustrazione: il quadro I tre Bogatyr dell’artista Viktor Vasnetsov. I Bogatyr sono guerrieri semidivini, figure del folclore russo che ricorrono, ad esempio nell’opera di A. N. Tolstoj.

 

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