di Niccolò Ernesto Maddalon
“Il suo nome era Rambo, e sembrava proprio un ragazzo da niente (…), nessuno avrebbe mai immaginato che il martedì, il giorno seguente, quasi tutta la polizia della contea di Basalt gli avrebbe dato la caccia…”
(da Rambo – Primo Sangue di David Morrell, Nicola Pesce Editore, 2015, traduzione di Nicola Formola)
1972: l’America deve far fronte alla propria disfatta in Vietnam e ad un’altra seconda guerra interna ai confini della propria Nazione, ovvero quella degli innumerevoli reduci colpiti dalla Sindrome da Stress Post-Traumatico o Trauma del Ritorno dal Fronte. In quegli ormai lontani giorni, infatti, non erano rari gli episodi di veterani della Guerra del Vietnam che, incapaci di riadattarsi ad una vita da civili e colti da scompensi psicotici, si macchiavano di crimini particolarmente violenti (spesso addirittura rasenti veri e propri episodi di guerriglia urbana, data anche la tristemente facile reperibilità di armi automatiche d’assalto contemplata negli Stati Uniti come diritto-dovere nel Secondo Emendamento).
Lo scrittore canadese David Morrell, allora ventinovenne e futuro insegnante di Letteratura all’Università dell’Iowa, fu particolarmente colpito da tale argomento, al punto da volergli dedicare un romanzo. Nonostante qualche vago iniziale abbozzo, Morrell non riusciva a trovare un nome per il protagonista della sua storia; pare che proprio allora, curiosamente, l’intuizione arrivò quando la Sig.ra Morrell tornò a casa con la borsa della spesa. L’autore chiese alla moglie che frutta avesse comprato per il pranzo di quel giorno. E la risposta della consorte fu: “Ho comprato delle mele… varietà Rambo”. Ispirato dal curioso nome della tipologia dei frutti e dal cognome del poeta autore di Una stagione all’inferno Rimbaud, particolarmente amato dallo scrittore, nacquero così le prime pagine del romanzo First Blood – Primo Sangue (termine derivato del gergo tecnico degli ambienti militari per indicare chi in un’azione di guerra, aprendo il fuoco per primo, versa appunto il “Primo Sangue”), edito in Italia come Rambo – Primo Sangue.
Breve storia della nascita di una leggenda della cultura popolare moderna
La storia narrata nel romanzo di David Morrell per molti versi differisce dal film omonimo del 1982 interpretato e co-sceneggiato da Sylvester Stallone, mentre per altri è riportata sullo schermo con una certa fedeltà.
In realtà, il messaggio dell’opera di Morrell è in buona parte ripreso dal film (la difficoltà di reinserimento nella società dei veterani di guerra traumatizzati), ma il vero messaggio alla base della storia su carta stampata verte attorno alla critica della coercizione e omologazione del singolo individuo in una società oppressiva, del diritto all’autodeterminazione e della libertà di essere sé stessi senza doverne rendere conto a nessuno. Se nei film il protagonista viene chiamato col nome di John, nel libro rimane solamente Rambo o “il ragazzo”. Laddove il Rambo filmico ci appare come un outsider (ovvero il classico solitario antieroe emarginato, che lotta per stare a galla, nonostante le continue avversità cui lo sottopone la società da cui preferisce stare ai margini) qui il protagonista del libro, che durante la guerra del Vietnam ne ha viste di tutti i colori e, ormai esasperato dalle angherie perpetrate dall’odioso sceriffo locale nei suoi confronti, rivelerà un’indole totalmente antisociale e psicopatica: mentre si apprestano a sbarbarlo, alla vista d’un rasoio da barbiere, Rambo si appropria con una mossa fulminea dell’utensile e se ne serve per assassinare un ufficiale di polizia.
Dopo la rocambolesca fuga dal commissariato di quello che in apparenza era solo un giovane autostoppista dalla folta zazzera, lo sceriffo Wilfred Teasle ne arriva a fare una faccenda personale: non solo perché Rambo ha ammazzato un suo collega e amico d’infanzia, ma anche perché il fu vicesceriffo Galt e Teasle avevano militato assieme nei marines durante la Guerra di Corea (la famigerata “Forgotten War”, la Guerra Dimenticata, come fu ribattezzata dagli storici dato che, contrariamente ad altre guerre del XX Secolo quali ad esempio la Seconda Guerra Mondiale o la Guerra del Vietnam, ebbe un minore impatto da un punto di vista mediatico).
Oltre a commettere una vera e propria carneficina di poliziotti, di miliziani della Guardia Nazionale del Kentucky e di alcuni civili dal grilletto facile smaniosi di poter partecipare anche loro alla “caccia all’uomo”, il Rambo del romanzo di Morrell è tutto meno che indistruttibile: difatti, nel corso della sua guerra personale contro l’intera contea di Madison, fra un raid e l’altro, lo sbandato ex berretto verde rischierà più e più volte di rompersi l’osso del collo.
E nemmeno i messaggi radiotrasmessi dal suo mentore, il capitano Trautman (che nel film sarà invece “promosso” a colonnello), serviranno a placare la furia distruttrice di Rambo. Per tutto il corso del romanzo, Morrell utilizza lo stile polifonico tanto caro a vari autori contemporanei che hanno fatto propria la lezione di Dostoevskij: la prospettiva ed i punti di vista cambiano di capitolo in capitolo, dando così modo al lettore di non poter mai capire chi sia in vantaggio fra l’inseguito e l’inseguitore, fra chi sia veramente il “buono” e chi il “cattivo”.
Fino ad un sorprendente finale, decisamente diverso da quello del film con Stallone…
Rambo VS. Hollywood: dal romanzo ai film
Già nel 1972, la Columbia Pictures acquisì per 75.000 dollari i diritti di First Blood – Primo Sangue, affidandone l’adattamento (mai del tutto completato) al regista Richard Brooks. L’idea di Brooks era quella di farne un film di forte critica circa le prevaricazioni e gli abusi di potere di certi tutori dell’ordine nella grezza America di provincia, accentuando in questo modo la crudeltà e la cattiveria dello sceriffo Teasle nei confronti del problematico protagonista e rendendo quindi Rambo meno brutale, oltre che più “simpatico” e “umano”. La prima sceneggiatura prevedeva inoltre un duello degno della migliore tradizione western fra lo sceriffo Teasle e Rambo… nel quale il giovane reduce del Vietnam incontrava la sua fine crivellato di proiettili dal suo antagonista, seguendo pedissequamente il finale originale del libro.
A lungo Richard Brooks si domandò su chi potesse essere interessato a vestire i panni dello sceriffo “carogna”: suggerì i nomi di Gene Hackman e di Robert Duvall, che rifiutarono subito la parte proposta.
Tuttavia Brooks non era abbastanza soddisfatto della prima stesura di sceneggiatura e chiese tempo per effettuare delle ulteriori modifiche. Dopo oltre un anno in cui il film era ancora solo su carta, la Columbia licenziò Richard Brooks e rivendette i diritti dell’opera di Morrell alla Warner Bros., che li acquistò per 125.000 dollari: la regia fu questa volta affidata a Martin Ritt, mentre furono inizialmente contattati nomi altisonanti quali Robert De Niro, Paul Newman e Clint Eastwood per il ruolo del protagonista, ma purtroppo il film non andò in porto nemmeno al secondo tentativo.
I diritti del soggetto passarono di mano più e più volte con diversi registi chiamati a condurne la produzione e la realizzazione: da John Badham a Ray Stark, passando per George Miller e Mike Nichols, Martin Bregman, John Frankenheimer e tanti altri ancora.
Una volta avviato finalmente il progetto, furono vagliate per il ruolo del protagonista star hollywoodiane del calibro di Al Pacino, John Travolta, Michael Douglas, Kris Kristofferson, Nick Nolte, Chuck Norris, Dustin Hoffmann (che, inizialmente entusiasta di recitare il ruolo di un veterano allo sbando, declinò l’offerta in quanto, a suo dire il film avrebbe dovuto essere più incentrato sul tormento psicologico ed interiore dell’ex berretto verde rifiutato dalla sua patria, invece che sull’esibizione di scene di guerriglia contro la polizia)…
Venne scritturato, incredibilmente, addirittura il nostro Mario Girotti, in arte Terence Hill (che rifiutò subito la parte, reputando il film come “troppo violento” e quindi temendo che avrebbe potuto contrastare la sua carriera nell’action da bollino verde in cui si era da poco lanciato col suo comprimario Bud Spencer); tuttavia nessuno dei molteplici potenziali registi e attori considerati per il progetto sembravano veramente motivati ed intenzionati a prendere parte alla effettiva realizzazione del film.
Ed è allora che, nel 1981, Mario Kassar e Andrew G. Vajna, proprietari della casa di produzione Carolco, decisero di intraprendere l’avventurosa impresa come produttori esecutivi, comprandone i diritti per ben 400.000 dollari.
La direzione delle riprese fu affidata al regista Ted Kotcheff, già avvicinato in passato dalla Warner per una potenziale e mai avvenuta regia del film.
L’idea dei produttori fu quella di alleggerire e smorzare il duro e crudo messaggio di denuncia sociale contenuto nel libro per lanciare piuttosto il tema allora tanto caro all’America di Ronald Reagan del giovane emarginato che, a dispetto delle innumerevoli avversità e privazioni cui viene sottoposto, non demorde mai e alla fine (a modo suo) trionfa.
L’astuta scelta e cavallo vincente su cui puntarono Vajna e Kassar cadde subito su Sylvester “Sly” Stallone, da poco reduce del successo ai botteghini dei suoi Rocky 1 e 2, nonché prossimo a realizzare un terzo capitolo della saga sul leggendario giovane pugile di Philadelphia.
Da tempo Stallone desiderava recitare i panni di un personaggio diverso dai soliti ruoli che aveva ricoperto: dopo le sue “microscopiche” particine d’esordio in Il dittatore dello Stato libero di Bananas diretto e interpretato da Woody Allen e ne Il prigioniero della Seconda Strada con Jack Lemmon, ci aveva già provato in pellicole quali F.I.S.T. e Taverna Paradiso, rivelatesi degli immani flop nelle sale, mentre nel caso di film quali Fuga per la Vittoria e Nighthawks – I Falchi della Notte si era visto rubare la scena sul set da attori decisamente più carismatici. Inoltre, il di lì a poco super-divo del cinema d’azione ancora rimpiangeva di aver rifiutato nel 1978 il ruolo principale del film Coming Home, incentrato sulla storia di un giovane problematico ex veterano del Vietnam, una tematica a cui Stallone era particolarmente sensibile.
Dopo aver letto il copione, l’attore accettò la parte, ma solo a condizione di poter apportare pesanti modifiche alla sceneggiatura: basandosi su alcune sue personali intuizioni, nel nuovo script imposto da Sly, il personaggio di Rambo appare (almeno fino ad un certo punto) più umano, meno aggressivo e sociopatico, evidenziando anzi il suo profondo disagio di essere umano abbandonato dallo stesso Paese per cui ha combattuto, portando in questo modo lo spettatore del film a considerare giustificate quasi tutte le sue (re)azioni belliche provocate dall’ottusità dell’autorità cittadina. Sempre a Stallone si deve il licenziamento di Kirk Douglas, il quale era stato messo a contratto per il ruolo di Trautman praticamente a suon di suppliche e dilapidando buona parte del budget destinato alla produzione.
Il super-pagato colosso di Hollywood, celebre anche per una certa taccagneria proporzionale al suo ego, fece subito armi e bagagli trattenendosi a stento dal mandare al diavolo Stallone. Dopodiché fu Richard Crenna, un attempato attore d’origini italoamericane (celebre per aver recitato in Francia nei film noir di Jean-Pierre Melville) ed ex veterano pluridecorato della Seconda Guerra Mondiale, ad essere reclutato nel ruolo di Trautman sul filo del rasoio, a pochissime ore dal primo ciak.
Deluso dal finale autoconclusivo previsto da una sceneggiatura frutto di oltre dieci anni di gestazione e di ben 26 modifiche (!), a meno di tre giorni dall’inizio delle riprese, Stallone si impose prepotentemente con una sua personale e del tutto revisionata stesura definitiva, la quale quasi costò la bancarotta ai produttori del film e fece uscire dai gangheri buona parte dei membri del cast tecnico e artistico, esasperati dai puerili atteggiamenti umorali di Stallone: de facto, Sly decise di riscrivere il finale, che prevedeva l’uccisione reciproca fra Rambo e Teasle in uno scontro a fuoco, preferendogli quello con il protagonista in lacrime che depone le armi dinanzi al suo ex comandante e si costituisce… generando così dal classico Vietnam Movie il sottogenere action detto Namsploitation.
Per inciso, il sottogenere Namsploitation si sarebbe diffuso negli Anni ’80 soprattutto qui da noi in Italia grazie a vari cloni e plagi girati a costi decisamente contenuti e con mezzi di fortuna alle Filippine diretti da registi quali, per fare due nomi famosi negli ambienti dei B movies tricolore, Anthony M. Dawson (Antonio Margheriti) e Vincent Dawn (Bruno Mattei) con titoli come Fuga dall’Arcipelago Maledetto, Arcobaleno Selvaggio, Robowar – Il Robot da Guerra, Cop Game – Giochi di Poliziotto, Strike Commando e Cobra Force, oltre ovviamente alla fin troppo celebre saga del Rambo stalloniano.
Tanto per rendere l’idea, se nel libro di Morrell le vittime (sia volontarie che involontarie) di Rambo sono 16, nel film di Kotcheff scendono ad una soltanto (il vicesceriffo Galt, ucciso accidentalmente dal reduce in fuga tra le montagne, in un estremo tentativo improvvisato di legittima difesa), nei quattro seguiti del film si passerà ad un Rambo totalmente diverso e non solo pressoché privo di qualsiasi legame col protagonista del romanzo, ma Stallone impersonerà una indistruttibile e poco credibile macchina da guerra antisovietica per definizione e marcatamente reaganiana. Tanto che lo stesso presidente Ronald Reagan diverrà famoso per la sua infelice freddura: “E che volete farci? La prossima volta ci manderò Rambo!”. Infatti ancora oggi è evidente lo iato stilistico e ideologico fra il primo film e tutti i seguenti: l’originario Rambo cinematografico di Kotcheff e Stallone narrava appunto il disagio sociale e il dramma abissale del reduce di ritorno dal fronte bistrattato e vessato da una società gretta e provinciale quale era quella statunitense Post-Sessantotto, mentre già nel tragicomico Rambo 2 – La Vendetta ci ritroviamo di fronte invece ad un Rambo che imbraccia di nuovo mitra, coltello, arco e frecce per ergersi a paladino dello sciovinismo americano più machista e decisionista. Dalla giungla del Vietnam all’Afghanistan invaso dalle truppe sovietiche (Rambo III di Peter MacDonald, 1988), passando per la Birmania dilaniata dalla rivoluzione (John Rambo di e con Sylvester Stallone, 2008) ed infine scatenando un’ennesima guerra privata contro i trafficanti di droga e di esseri umani operanti al confine tra Stati Uniti e Messico in tempi non sospetti in cui negli USA trumpiani lo sport nazionale del momento era proprio la “caccia al messicano”, Rambo diventa ormai una sorta di glaciale superuomo spietato in salsa gore e pressoché implacabile, o meglio implacabile parodia di sé stesso e dello stesso Stallone in Rambo – Last Blood (diretto nel 2019 da Adrian Grunberg). A seguito dell’uscita nei cinema di Rambo – Last Blood, dopo aver visionato a che punto era stata snaturata la sua opera letteraria, David Morrell ha dichiarato in un’intervista (consultabile sul web): “Il film è un disastro, sono imbarazzato ad avere il mio nome associato ad esso. Il film manca di anima. Mi sono sentito meno umano dopo averlo visto, e oggi è un messaggio sbagliato da dare. Nessuno ha voluto discutere con me di questo film, vorrei che lo avessero fatto”. A dispetto del progressivo ed inesorabile declino di contenuti e di spessore a cui è andato incontro il personaggio di Rambo nelle sue avventure su celluloide (grazie all’egemonia culturale stalloniana), Rambo – Primo Sangue resta a modo suo un romanzo di formazione notevole ed originale, prima che un cupo thriller psicologico dal ritmo serrato che coniuga dramma, denuncia, desiderio di rivalsa sociale, lotta per la sopravvivenza ed un duro spaccato dell’America più campagnola e reazionaria, chiusa in sé stessa ed incapace di accettare quegli ultimi e quei reietti che ha in parte contribuito a creare.
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