8 Ottobre 2024
Cultura

Averlo visto prima – Lorenzo Merlo

 

[Queste righe estendono quanto recentemente scritto in Passaggio di proprietà]


Un passo alla volta ci siamo allontanati dal centro, dove le vie hanno un cuore. Procediamo ignari di noi stessi, pusillanimi, girando alla larga dall’eros della vita, mortificati nello spirito, esaltati dai consumi, convinti si tratti di progresso. Ora scambiamo l’edulcorata desolazione per realtà.

Se il tempo analogico dettava un mondo a misura d’uomo, quello digitale spezza il legame con la terra.

Nel primo, il senso della trascendenza da sé e dalla storia accompagnava le vite, dando loro conforto e speranza; nel secondo, ogni tradizione è stata sacrificata lasciando l’uomo più che nella solitudine, nella perdizione.

Il legame con Dio, il senso di sé come sua espressione, è stato sostituito da quello con il mercato. Prima si era, ora si ha. Prima ci si elevava, ora ci si abbassa.

La preghiera, la meditazione, la contemplazione, tutti espedienti di conoscenza, sono state spazzate via per favorire l’acquisizione dei dati necessari a svolgere il proprio compito sociale.

Al raduno comunitario spirituale, si preferisce ora esaltare l’individuo, sebbene al fine di renderlo ubbidiente. La creatività ha lasciato il posto alla ripetitività. La libera espressione dei propri sentimenti, all’esecuzione e replicazione di norme.

Se nella presenza in noi di qualche forma di trascendenza possiamo cogliere il senso dell’Uno, cioè di Dio, significa che abbiamo a che fare con le doti che permettono di ridurre l’arroganza che riempie la storia di conflitto e sofferenza. E di non mortificarci nell’esaurimento, in uno qualunque dei ruoli della commedia umana, cioè di ridimensionare l’io e le sue babeliche velleità. La presenza del senso del trascendente è il modo per andare oltre la storia del mondo e la nostra.

Si potrebbe riconoscere che, come i cinque sensi possono trattare il finito, la realtà materiale e generano l’altro, il sesto senso, il terzo occhio, la conoscenza attraverso la meditazione e la contemplazione, nonché quella empatica, maneggiano l’infinito ovvero ciò che sta dentro e dietro la materia.

Quelle modalità sottili di relazionarsi al mondo permettono di riconoscere la realtà come un solo corpo di cui tutti siamo espressione storica e in cui tutti siamo, come foglie di un albero, identici e necessari alla realizzazione della vita, le cui differenze riguardano soltanto la verità che le circostanze di nascita e crescita hanno la loro influenza sull’eternità.

Svuotato di natura, riempito di incantesimi, mosso da vanità, abbandonato dall’eros, l’uomo consuma l’esistenza snocciolando il maledetto rosario della nuova chiesa composta dalla satanica trilogia tecnologica, digitale, mercantile. “Lo vuole il mercato!” “Lo conferma l’algoritmo!” “L’ha detto la scienza!” sono le tristi pappe dentro i biberon che i nuovi arrivati succhiano tanto avidamente quanto inconsapevolmente di ciò che sono programmati a divenire.

La pubblicità di sempre meno padroni, anticipa la medicina da acquistare in farmacia, la notizia che cerchi sulla stampa, l’informazione che trovi nella rete, il paesaggio del tuo spostamento, la posta che ricevi, la pagina che apri, le facciate del quartiere. Nella cultura della materia, dell’effimero e dello spettacolo, in nome del mercato, dello scientismo e della salvifica tecnologia, non resta nulla della profondità del dono come modo, della bellezza come guida e del bene come meta. Averlo saputo prima, potrà dire chi si sveglia dopo.

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