17 Luglio 2024
Cinema fantastico

Nell’ombra del Conte. Cenni sui retroscena occulti del Nosferatu di Murnau

di Jari Padoan


Molto si sta scrivendo sul centenario del mitico capolavoro della cinematografia girato da Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922, ovvero il Nosferatu alquanto liberamente ispirato al celeberrimo romanzo di Bram Stoker dedicato alle gesta di un certo Conte amante della vita notturna.

Dracula uscì infatti nel 1897, proprio negli anni degli albori del cinema: dopo i primi esperimenti dei fratelli Lumière, ci pensò Georges Méliès a dare forma compiuta a delle storie narrate tramite proiettore e grande schermo, ed è indicativo che le sue opere più importanti (ovvero i primi film della Storia) come il celebre Voyage dans la Lune del 1902 e Le Manoir du Diable del 1896, peraltro tecnicamente considerato il primo film in cui appare un vampiro, affrontino tematiche fantastiche.

Ci si accorse presto delle grandi potenzialità filmiche del romanzo di Stoker (ma si potrebbe avanzare un’intrigante ipotesi, ovvero se lo scrittore irlandese sia mai andato al cinema a guardare il citato Le Manoir du Diable di Méliès, uscito proprio l’anno prima della pubblicazione del romanzo…), e ad esso è legata una delle più affascinanti avventure della storia del cinema: quella del film di Murnau e di certi “retroscena” della sua realizzazione, senza considerare il singolare destino subito dalla pellicola, ovvero quello di venire sequestrata all’indomani della sua uscita per poi venire fortunosamente riscoperta decenni dopo. In tutto ciò, come è ben noto, Nosferatu – Eine symphonie des grauens (conosciuto in Italia come Nosferatu il vampiro) è riuscito a segnare il corso dell’arte cinematografica e a influenzare profondamente l’immaginario popolare del Ventesimo secolo.

Partiamo dalla considerazione che, come è stato fatto ironicamente notare,[i] Nosferatu, caposaldo dell’horror novecentesco e archetipo del Vampiro sul grande schermo prima ancora dei famosi Dracula successivi impersonati da Bela Lugosi e Christopher Lee … è esso stesso un film-vampiro. Infatti, dopo che il film venne proiettato a Berlino nel marzo 1922, F.W. Murnau (nato in Germania nel 1888 e di professione maestro del cinema), andò incontro alla nota battaglia legale intrapresa da Florence Balcombe Stoker, la vedova dell’autore di Dracula, che querelò il cineasta per violazione di copyright. Murnau perse la causa, la sua casa di produzione Prana Film andò in rovina e quasi tutte le copie dell’opera vennero ritirate e distrutte. Tranne una, o meglio, proprio il negativo originale del film[ii] che, quasi fosse un non-morto rimasto sepolto in qualche cripta per decenni, “risorse” venendo recuperato e restaurato per la gioia degli horrorofili di tutto il mondo e grazie al quale (o meglio, anche grazie a una serie di restauri visivi realizzati tra gli anni Ottanta e i Duemila) ancora oggi possiamo guardare questa preziosa opera del XX secolo.

Come notò all’epoca la signora Stoker (che però, a quanto pare, ignorava l’esistenza di ben altre tre riduzioni cinematografiche non autorizzate di Dracula, girate tra il 1912 e il 1921 in Russia e in Ungheria[iii]), Nosferatu appare infatti come una trasposizione non ufficiale del romanzo, un film che segue, peraltro in modo abbastanza approssimativo e con un finale diverso, gli elementi e i personaggi centrali della storia, nonostante i cambi di nome nemmeno troppo forzati: il giovane agente immobiliare Jonathan Harker diventa Waldemar Hutter, la cui moglie Ellen (o Nina, in un’altra versione) corrisponde alla Mina del romanzo, e il Conte Orlok sarebbe, naturalmente, Dracula medesimo.

In realtà la questione è più complessa. La storia del Conte vampiro sarebbe stata poco più di un pretesto per Murnau, che non intendeva mettere in scena una trasposizione di Dracula, bensì realizzare una complessa allegoria di più sottili tensioni esistenziali e metafisiche[iv], del resto presenti in tutta la filmografia del regista (si pensi ad esempio ai quasi contemporanei Schloss Vogelöd e Phantom, fino al Faust del 1926 che porta sullo schermo il capolavoro di Goethe).

Il cinema delle origini aveva scoperto presto l’horror[v], poiché, nel medesimo procedimento che caratterizza la pittura e la scultura, l’immagine spaventosa o inquietante è dotata di una propria totale autonomia ed eloquenza che prescinde dalla parola. E un dato non trascurabile è che molti dei più importanti film fantastici girati (e ad oggi pervenuti) nei primi decenni del Novecento rivelano, nelle trame come nelle immagini messe in scena, simbologie esoteriche spesso di difficile interpretazione.

Nosferatu rientra in pieno in questo ambito, come è evidente già dal fatto che Murnau collaborò con autori versati in questo tipo di studi e vicini agli ambienti magici ed occultistici in vivo fermento nell’Europa (e negli Stati Uniti) dell’epoca. Lo sceneggiatore del film, Henrik Galeen (1882-1949) era un conoscente di Hanns Heinz Ewers e cultore delle discipline da esso studiate e divulgate[vi]. Ewers, oltre ad essere lui stesso scrittore di narrativa fantastica celebre soprattutto per romanzi come La Mandragora (Alraune, 1911, poi adattato per lo schermo nel 1927 proprio da Galeen) e Il Vampiro (Vampir – Ein verwilderter Roman in Fetzen und Farben scritto nel 1921, che forse influenzò la sceneggiatura di Nosferatu), fu autore di un importante saggio su Edgar Allan Poe, studioso di folklore tedesco ed era a sua volta in contatto con personaggi come Aleister Crowley e Gustav Meyrink. Non certo casualmente, il film Der Golem diretto e interpretato da Paul Wegener nel 1915 e tratto appunto dal celebre romanzo di Meyrink, vide l’apporto di Galeen alla sceneggiatura e all’aiuto regia.

Per quanto riguarda lo stile visivo ed estetico di Nosferatu, Murnau collaborò con lo scenografo Albin Grau (1884-1971), artista e architetto che in seguito diverrà membro della Fraternitas Saturni, una delle più importanti società magiche formate in Germania negli anni Venti. Proprio Grau delineò l’aspetto orrifico del personaggio di Orlok, ispirato da una sua esperienza personale risalente alla Prima Guerra Mondiale (nel 1916 conobbe un contadino serbo che sosteneva di discendere da una stirpe di vampiri[vii]). Si aggiunga che la parte del mostro venne affidata al misterioso Max Schreck (1879-1936), un attore teatrale molto amato nella Germania dell’epoca ma sul quale le informazioni storiche sono abbastanza scarse, e il cui vero volto venne comunque quasi dimenticato proprio perché occultato dalla maschera del Conte, la stessa interpretazione che, paradossalmente, lo consegnerà alla storia del cinema.

A quanto pare, questo stato di cose (compresa una eccessiva riservatezza ed eccentricità sul set da parte di Schreck, il cui cognome, peraltro, significa letteralmente «terrore» o «spavento») permise già all’epoca il circolare di sinistre dicerie sulla lavorazione del film, come del resto si verificherà in molti altri casi nella storia del cinema dell’orrore. Di Schreck si disse, naturalmente, che fosse un vero vampiro scovato da Murnau tra i boschi dei Carpazi (leggenda a sua volta portata sullo schermo ne L’ombra del vampiro di Elias E. Merhige), oppure che l’attore, addirittura, non fosse in realtà mai esistito e che Orlok venne interpretato dallo stesso Murnau reso irriconoscibile dal trucco vampiresco (congettura ardita nonché poco rispettosa nei confronti di Schreck, del quale sono comunque pervenute rare fotografie promozionali e di scena; per una panoramica sulla vita e sulla carriera dell’attore tedesco, è uscito molto di recente un saggio di Eleonora della Gatta, Max Schreck, l’attore vampiro, Scheletri Ebook, 2022).

Entrando nelle particolarità del film e del suo intreccio, l’ambientazione di Nosferatu, che i “romantici” Murnau e Galeen collocano nel 1838 ancora lontano dall’industrializzato fin de siècle, mantiene i legami con la sola Transilvania rurale dove sorge il proverbiale castello del conte Orlok alias Dracula. Qui, in linea con i primi capitoli del romanzo di Stoker, si reca il giovane Hutter (Gustav von Wangenheim) allo scopo di concludere una trattativa commerciale su ordine del suo superiore, il sinistro agente immobiliare Knock (l’istrionico Alexander Granach), che è sostanzialmente il personaggio di Renfield, in contatto epistolare e “spirituale” con il Vampiro e prossimo all’internamento in manicomio.

È interessante il dettaglio che proprio la lettera che Knock riceve dal conte Orlok, così come il documento che quest’ultimo esaminerà durante la cena al castello in compagnia del terrorizzato Hutter, presenti una enigmatica crittografia a base di glifi zodiacali e simboli ermetici. L’idea fu evidentemente di Galeen e/o di Grau, e se oggi potrebbe suscitare una certa perplessità notare che tra i suddetti segni si intravedono sia un Magen David (nel testo della lettera in mano a Knock) che una Svastica (nel foglio letto dal Vampiro), si tratta di un dettaglio indicativo del clima della sottocultura esoterica che, come accennato, fermentava particolarmente nella Germania degli anni Venti[viii], a prescindere dalle derive prese dagli eventi politici nel decennio successivo.

La trasferta occidentale e urbana del Conte non si svolge però nella Londra del romanzo bensì a Brema, città evidentemente più familiare al regista tedesco (per quanto le scene in esterni cittadini siano state girate perlopiù nei suggestivi vicoli gotici di Lubecca). Le scene al castello (la cena e i colloqui tra Orlok e Hutter, la notte da incubo, fino alla rivelazione della vera natura del Conte che giace in una bara nei sotterranei), mantengono in qualche modo il collegamento con la storia originale, divergendo però nella totale assenza delle tre spose vampire di Dracula e con l’instaurarsi del legame psichico a distanza tra Ellen Hutter (Greta Schröder) e Orlok a metà del racconto (mentre nel romanzo ciò avviene dopo che Dracula ha fisicamente assalito Mina Harker, in uno degli ultimi capitoli).

La giovane moglie dell’agente immobiliare, infatti, rivela doti telecinetiche (già accennate nei foschi presagi espressi dalla donna alla notizia del viaggio di Hutter in Transilvania) che si manifestano durante una crisi di sonnambulismo: un elemento importante che evidenzia quando grande fosse, all’epoca, l’attenzione riservata ai fenomeni metapsichici.

Il gioco espressionistico di luci e ombre realizzato da Murnau rivela anche influenze del cinema scandinavo del primo Novecento (Carl Theodor Dreyer, Victor Sjöström, Svend Gade) e della pittura romantica dell’allora ancora recente XIX secolo, così come la fotografia spettrale di Fritz Arno Wagner riesce a rendere l’atmosfera sinistra di paesaggi naturali e urbani quanto mai adatti al racconto[ix].

A differenza degli altri celebri capolavori dell’Espressionismo, come Das Kabinett des Doktor Caligari di Robert Wiene o il Metropolis di Fritz Lang, Nosferatu venne infatti girato anche in esterni che assumono particolare rilevanza nell’impatto visivo (e nella cifra simbolica) del film, in set dislocati tra la Germania e, con correttezza filologica, i Carpazi: l’esterno del castello del conte Orlok è infatti “interpretato” dal maniero di Oravski o di Orava[x], sito in Slovacchia, risalente al XIII secolo e tuttora esistente.

Dopo l’attraversamento della foresta a bordo della carrozza demoniaca (girato da Murnau accelerando la moviola e invertendo i colori della pellicola, per suggerire l’idea di entrata nelle terre dell’oscurità e della morte, anzi della non-morte, dove quindi si capovolgono i valori tradizionali[xi]), l’arrivo di Hutter al castello sembra rappresentare la discesa in un ambiente ctonio, oscuro e claustrofobico, un atanòr come suggerisce la forma dell’ingresso del maniero, dalle cui tenebre emerge lentamente Orlok e dove il giovane dovrà scoprire suo malgrado i lati oscuri dell’Essere, per poi operare una risalita da inferi che lasceranno un segno. Infatti, la bara del Vampiro che Hutter aprirà, si trova naturalmente nella cripta sotterranea, immagine della Interiore Terrae dove si celano le forze oscure.

Orlok può infatti essere visto come immagine tanto del Male metafisico quanto delle pulsioni erotiche irrazionali e/o devianti, ma perlopiù, ovviamente, di istinti di morte e degradazione (se il termine nosferatu, o meglio nefartâtu proviene dal folklore romeno e indica approssimativamente il Maligno[xii], il patronimico del Conte ricorda effettivamente il termine olandese oorlog, «guerra»[xiii]), simboleggiate anche dalla massa famelica dei ratti che accompagna l’arrivo del Vampiro nel porto di Brema dopo avere seminato la follia e la morte sulla nave Demeteer (in esatta coerenza col testo di Stoker).

Orlok stesso, con abnormi orecchie e incisivi (caso originale nel cinema “vampirico”, poiché dal Dracula con Christopher Lee, girato da Terence Fisher nel 1958, diverranno canonici i tipici canini) assomiglia ovviamente a un animale per definizione simbolo della notte, il pipistrello, ma i suoi comportamenti ricordano anche quelli di un ragno.

Oltre alle attenzioni patologiche di Knock/Renfield internato e dedito a una dieta di ragni e mosche, la metafora dell’aracnide predatore attraversa tutto il film a vari livelli, dal castello-ragnatela che accoglie Hutter alle forme reticolari che circondano i personaggi che hanno a che fare col Vampiro nel corso della storia, e modellate, in un tipico metodo espressionista, da vari elementi di scena come ombre, finestre a inferriate, piastrelle.[xiv]

Nel film compare anche il personaggio del dottor Bulwer (un probabile omaggio all’occultista inglese Edward Bulwer-Lytton, autore dei romanzi esoterici Zanoni e A Coming Race, scritto nel 1871, a cui si ispirerà la «Società del Vril»), interpretato da John Gottowt ed evidente controfigura dell’Abraham van Helsing di Dracula. Bulwer ha un ruolo minore in Nosferatu, ma la sua figura rimane quella dello studioso del mondo naturale che si ritrova a confrontarsi con il mondo dell’occulto (e non è un caso che il dottore tenga lezioni di biologia su piante carnivore e meduse, evidenti metafore del vampiro e del fantasma).

Ovvie e numerose sono state le letture psicanalitiche di cui Nosferatu, come è avvenuto di prassi per tante altre grandi opere, è stato ampiamente oggetto. D’altronde, per quanto meno espliciti che nelle successive versioni filmiche di Dracula, certi sottotesti erotici sono evidenti in Nosferatu: il raptus del Conte durante la cena, che si avventa sul dito di Hutter alla vista del suo sangue (in cui si è voluto vedere un auto-riferimento all’omosessualità del regista) e ovviamente l’ambiguo legame extra-sensoriale che si instaura tra il Conte e Ellen, un punto della storia dal quale il personaggio di Hutter verrà posto in assoluto secondo piano e che porterà la donna all’amplesso mortale della vampirizzazione. Ellen infatti si immola come vittima sacrificale (seguendo le sentenze del Libro dei Vampiri, che il marito aveva portato con sé dalla Transilvania), offrendosi all’attenzione mortale di Orlok per salvare Brema dalla pestilenza e dal caos; ma gli spasmi con cui accoglie l’entrata del Vampiro in camera da letto potrebbero essere tanto quelli di una angosciata agonia quanto dell’eccitazione sessuale.

Un finale iconico, quindi, e reso ancor più languido e disperato dalla colonna sonora pianistica di Hans Erdmann: il livido bianco e nero esalta l’ombra di Orlok, autentico archetipo delle forze malefiche e notturne, che sale furtiva le scale del palazzo fino ad estendersi sulla incantevole Greta Schröder, il cui viso esangue e la candida camicia da notte (una possibile immagine della purezza votata al sacrificio) contrasta magnificamente con le tenebre circostanti.

Il Vampiro si ritrova così intrappolato dall’alba ormai prossima, svanendo ai primi raggi del Sole che filtrano dalla finestra della stanza (idea che Murnau apportò alla sceneggiatura di Galeen). Subito dopo, il tragico cerchio della vicenda si chiude con l’entrata in scena del disperato Hutter che ritrova la sua amata morente, e del dottor Bulwer, rimasto all’esterno della camera per lanciare un enigmatico sguardo allo spettatore.

Ma l’ultima inquadratura del film ci riporta in Transilvania, mostrando la stessa alba che sorge sul castello maledetto; un’immagine che sembra conferire un ulteriore significato alla storia, e al percorso drammatico attraversato dei protagonisti.

Il Male può essere sconfitto, la Luce alla fine tornerà; ma ciò può avvenire solo affrontando le tenebre più profonde, e a costo di tremendi sacrifici.

È il messaggio archetipico ed eterno che viene dalla simbologia alchemica, dalla tragedia greca o dall’epica germanica. Murnau, attraverso il suo cinema (e, ribadiamo, solo “prendendo in prestito” l’epopea narrativa di Dracula…), ha dato un nome preciso a quel Male, rendendolo familiare e leggendario per le generazioni successive: quello del Conte Orlok, Nosferatu.

 

NOTE

[i] Maurizio Colombo, Stefano Marzorati, Cinema Vampiro, in Dylan Dog presenta: Almanacco della Paura, Sergio Bonelli Editore, Milano 1993, p.129.

[ii]Mauro Gervasini, Amore al primo morso. L’età d’oro di Dracula, in Emanuela Martini, a cura di, AA.VV., Da Caligari agli zombie. L’horror classico 1919-1969, Editrice Il Castoro, Milano 2019, p. 62.

[iii] Cfr. Jari Padoan, Trent’anni di Bram Stoker’s Dracula: considerazioni sul Dracula cinematografico definitivo, disponibile su www.axismundi.blog, 10 novembre 1922.

[iv] Pier Giorgio Tone, Friedrich Wilhelm Murnau. Il castoro cinema n.36, La nuova Italia, Firenze 1976, p.33-34.

[v]Pino Farinotti, Frankenstein, in Pino Farinotti, I cento film della nostra vita, Sugarco, Varese 1994, p.66.

[vi] Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula. Indagine sul vampirismo dall’antichità ai giorni nostri, Mondadori, Milano 1997, p.314.

[vii] Francesco Parrino, Nosferatu/Murnau, Werner Herzog e un capolavoro che visse due volte, consultabile a:

Nosferatu | Murnau, Werner Herzog e un capolavoro che visse due volte

[viii] In cui erano attive associazioni come la Thule-Gesellschaft e la Vril-Gesellschaft, a loro volta in contatto con la Golden Dawn britannica e la Società Teosofica nel cui stemma, peraltro, figuravano insieme la Svastica e il Magen David, o Sigillo di Salomone (NdA). A proposito cfr. Marco Dolcetta, Nazionalsocialismo esoterico, Cooper-Castelvecchi, Roma 2003; René Alleau, Le origini occulte del Nazismo, Mediterranee, Roma 1989; Giorgio Galli, Hitler e il nazismo magico, Rizzoli, Milano 1989.

[ix]Jörn Heterbrügge, Nosferatu il vampiro, in AA.VV., Cinema degli anni Venti e degli esordi, Taschen, Köln, 2008, p.118.

[x] Maurizio Colombo, Stefano Marzorati, cit., p. 128.

[xi]Pier Giorgio Tone, cit., p.37.

[xii]Matei Cazacu, Dracula. La vera storia di Vlad III l’Impalatore, Mondadori, Milano 2006, p.259.

[xiii]Jürgen Müller, Jörn Heterbrügge, Ombre. Osservazioni sul cinema degli esordi, in AA.VV., Cinema degli anni Venti e degli esordi, cit., p.5.

[xiv] Idem.

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