Niccolò E. Maddalon
«Ho conosciuto molti Dèi. Colui che li nega è cieco come colui che se ne fida troppo. Io non cerco oltre la morte. Può esserci la tenebra, come affermano gli scettici nemediani, o il reame di Crom, fatto di ghiaccio e nubi, o le pianure innevate e le sale a cupola del Valhalla dei nordici. Non lo so, e non me ne importa. Io voglio vivere appieno finché vivo: mi basta conoscere il ricco sapore della carne rossa e del vino che mi punge il palato, il caldo abbraccio di braccia bianche, la folle esultanza della battaglia (…) e io sono contento. (…) Se la vita è illusione, allora anch’io sono illusione, ed essendolo, l’illusione per me è reale»
da La regina della costa nera, in Robert E. Howard, Tutti i cicli fantastici, Newton & Compton, Roma 1995, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco
Molti al sentire nominare il genere fantasy, oggi, pensano subito a J.R.R. Tolkien ed al celeberrimo Il Signore degli Anelli, ai maghetti protagonisti delle avventure della saga di Harry Potter di J.K. Rowling, oppure a George R.R. Martin e al suo Trono di Spade (perlopiù grazie alla recente e fortunatissima serie televisiva).
Ma pochi, nel panorama dell’attuale narrativa popolare (a eccezione forse di Andzrej Sapkowski con la sua saga The Witcher) riescono a concepire un fantasy meno, per così dire, “moralistico”, dove certi dati concetti quali Bene e Male sono decisamente più labili e relativi, all’insegna della forza fisica più erculea e spesso brutale, contrapposta oppure unita ad una oscura e subdola magia. Combinate il tutto con un’atmosfera barbarica, cupa e dal vago sentore “superomistico” e fieramente antimoderno, ed otterrete il genere heroic fantasy (detto anche sword & sorcery fantasy, secondo la definizione di L. Sprague de Camp, noto critico ed esperto del Fantastico). Il “fantasy di spada & sortilegio”, infatti, attinge tanto dal genere letterario di “cappa & spada” così come, naturalmente, da tutta la tradizione dell’epica antica e cavalleresca per quel che riguarda le dettagliate e crude descrizioni dei duelli all’arma bianca o di brutali combattimenti corpo a corpo, aventi per protagonisti non integerrimi paladini quali regi spadaccini o eroi del popolo mascherati (pensiamo ai Tre Moschettieri e al Tulipano Nero di Dumas, fino al personaggio di Zorro), bensì solitari e rudi avventurieri vissuti in epoche antidiluviane opposti ad una civiltà di potenti reami e prosperi imperi. Eroi quindi dalla condotta di vita all’insegna della mera sopravvivenza ma anche fieri di un proprio senso dell’onore, impegnati a confrontarsi con mostruose creature sopravvissute agli abissi del tempo, sanguinari culti religiosi riservati a divinità terribili e irose, e minacce soprannaturali come la magia e la stregoneria (elemento onnipresente e arma forse più temibile dell’acciaio degli eserciti armati di spade che affollano le pagine di questo genere).
Tutto ciò è stato ampiamente codificato, da ormai un secolo, grazie a personaggi come Kull di Valusia, Red Sonja, Bran Mak Morn e il celebre Conan il Cimmero o Conan il Barbaro, ovvero i protagonisti dei numerosissimi racconti e romanzi scaturiti dalla macchina da scrivere del texano Robert E. Howard, nome di culto presso gli appassionati di narrativa e cinema fantasy.
Robert Ervin Howard nacque il 22 gennaio 1906 in Texas a Peaster, una cittadina ai margini del deserto, per poi trasferirsi pochi anni dopo nella vicina Cross Plains (città di pionieri che conta appena 1500 anime). Spesso trascurato dal padre Mordecai Howard, di professione medico itinerante, furono la madre Hester e una governante di origine ispanoamericana a prendersi cura del giovane R.E.H.
Dalla genitrice, che vantava origini irlandesi e scozzesi, il futuro inventore di Conan trasse ispirazione dalle tante storie popolari di folletti, spettri, cavalieri e mostriciattoli narrategli dalla madre e cominciò a fantasticare ed a scrivere di mondi fiabeschi popolati da barbari “buoni” anteposti a re, maghi e fate “malvagi”, i quali saranno solo dei vaghi ed embrionali abbozzi di quelle che in seguito diverranno parte delle sue note saghe ambientate per lo più in un’epoca preistorica e barbarica nota come l’Era Hyboriana (che l’autore colloca dopo lo sprofondamento di Atlantide e millenni prima delle più antiche civiltà conosciute, quindi, presumibilmente, alla fine dell’ultima Era Glaciale di circa dodicimila anni fa).
Se si tiene conto della biografia di Robert Howard, appare evidente come le sue storie, così ricche di descrizioni immaginifche, imprese eroiche e sanguinose battaglie, siano una sorta di contraltare ideale alla sua esistenza difficile e profondamente “statica”: oltre a non essersi praticamente mai allontanato da Cross Plains, nel corso delle scuole primarie si ritrovò a far fronte a continui atti di bullismo di alcuni compagni di scuola. La cosa, oltre a sviluppare ulteriormente la potente fantasia del ragazzo, lo portò in breve a praticare culturismo, pugilato, scherma ed equitazione, temprando il suo corpo inizialmente esile e dinoccolato.
E sarà proprio il suo nuovo spirito guerriero sui generis, evidentemente sempre retaggio della passione per le leggende celtiche e norrene con cui il ragazzo aveva familiarità fin da piccolo, e l’acquisito fisico degno di un lottatore professionista a portarlo ad immedesimarsi con un personale alter ego che lo perseguiterà nei sogni. È infatti verso l’inizio degli anni Trenta che Howard crea il personaggio più celebre e caratteristico della sua poetica. Questi è un colosso umano dai muscoli ipertrofici e lunghi capelli neri, che vaga per le terre selvagge dell’Era Hyboriana vestito con pelli animali e monili metallici, al solo scopo di combattere per sopravvivere e dimostrare la sua forza: Conan.
Da quello che è stato ricostruito e che viene raccontato nei contenuti speciali del DVD del film Conan The Barbarian di John Milius (il primo e libero adattamento cinematografico dei racconti di Howard), per un lungo periodo Howard soffrì di incubi a tema “barbarico”, uno stato di cose che lo portò a riversare sulla carta le gesta di “Colui che partì giovane da uno sperduto villaggio della Cimmeria per conoscere e calpestare sotto i propri piedi il mondo, ebbe molte avventure come schiavo, gladiatore, negriero, pirata, avventuriero, mercenario, condottiero ed infine sovrano del Regno di Aquilonia…”.
Da iniziali semplici racconti brevi, in buona parte mutuati dagli incubi notturni di R.E.H., nasceranno in seguito grandiosi romanzi di heroic fantasy basati sulle avventure di Conan, quali The People of the Black Circle (I Veggenti Neri, 1934), e i postumi The Hour of the Dragon (L’Ora del Dragone) e Red Nails (Chiodi Rossi) pubblicati nel 1936 dopo la morte dell’autore. In questo celebre e appassionante ciclo narrativo, Conan il Cimmero (appartenente quindi a un popolo celtico, dal quale Howard rivendicava più o meno coscientemente una discendenza) compie un lungo percorso di formazione, da barbaro delle steppe fino a meritarsi la corona di re della terra di Aquilonia. Una saga narrativa irrinunciabile per chiunque voglia comprendere il fantasy del Ventesimo secolo, nella quale si avverte tutta la maestria dell’autore nel ricreare oscuri paesaggi preistorici e nel riproporre a modo suo i grandi archetipi letterari dell’epica (la guerra, l’eroe dall’«ira funesta», la magia, l’assedio, il vagare alla ventura tra terre e mari, addirittura l’amore virile tra il guerriero e la sua bella…).
Oltre a Conan, nelle vaste e perennemente avventurose terre dell’Era Hyboriana, si può incappare anche in molti altri barbarici guerrieri e bellissime quanto micidiali amazzoni. Kull di Valusia, l’ultimo nobile discendente degli abitanti di Atlantide, o eroi storicamente successivi come il gaelico Cormac MacArt e il bretone Bran Mak Morn, nemico giurato delle legioni romane colonizzatrici dell’antica Britannia (in grado di viaggiare attraverso lo spazio-tempo e le dimensioni durante il sonno grazie al favore degli dei e alla possessione del suo corpo ad opera del fantasma dello stesso, defunto Kull), e Red Sonja: una solitaria e spietata virago dalla fulva chioma.
Non fu certo un caso che la produzione narrativa di Howard vide ufficialmente la luce quando l’autore, appena diciannovenne, pubblica il racconto Spear and Fang nel luglio 1925 sulle pagine di Weird Tales, la celebre rivista di narrativa popolare che tra gli anni Venti e i Cinquanta del XX secolo pubblicò opere di colossi dell’horror e della fantascienza come Fritz Leiber, Seabury Quinn, Ray Bradbury, Theodore Sturgeon, Robert Bloch, Henry Kuttner, August Derleth, Clark Ashton Smith e naturalmente, colui che già all’epoca si dimostrava il “padre putativo” di pressoché tutti gli autori citati e dello stesso Robert E. Howard, ovvero … un altro grande Howard. Parliamo di Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), che, colpito dalla potenza narrativa del giovanissimo autore texano, ne fece una grande promozione presso gli appassionati di letteratura fantastica e addetti ai lavori.
Nelle parole dello stesso Lovecraft, «Robert E. Howard fu l’insuperato maestro nella descrizione di colossali città megalitiche della più remota antichità: nei loro cupi torrioni e nei meandri dei loro sotterranei aleggia una genuina atmosfera di negromanzie e di terrori preumani che nessun altro scrittore seppe mai eguagliare».
E se a sostenerlo è il grande scrittore de Il Richiamo di Cthulhu, è tutto dire …
L’influenza di Lovecraft, così come quella di Edgar Allan Poe, di Arthur Conan Doyle e perfino dei drammi di Shakespeare più macabri e oscuri, appare evidente soprattutto nelle storie dell’orrore scritte da Howard, tra le quali una grande celebrità, seconda solo a quella del ciclo di Conan, è stata raggiunta da quelle incentrate sul personaggio di Solomon Kane, scritte a partire dal 1929.
I racconti di Kane, ambientati nel XVII secolo, vedono come protagonista questo spadaccino al servizio della Corona inglese in cui Howard reinventa la figura del “detective dell’occulto” (tra i cui esempi più celebri si possono ricordare il dottor Van Helsing, il medico-esoterista-vampirologo che agisce nel Dracula di Bram Stoker, fino al John Silence ideato da Algernon Blackwood e, naturalmente, gli italianissimi eroi a fumetti Martin Mystère e Dylan Dog). Con la consueta intensità narrativa, Howard ci narra in racconti come La luna dei teschi, I figli di Asshur o Il vampiro della brughiera le imprese di questo difensore della fede cristiana, votato a combattere con forza incrollabile e con inestinguibile impulso all’avventura (e, a dire il vero, anche un notevole fanatismo…) ogni manifestazione del Male soprannaturale, scontrandosi lungo il suo cammino con vampiri, lupi mannari e demoni assortiti.
Ma se per il cavalleresco senso dell’onore di Solomon Kane la donna è perlopiù “soltanto” un essere gentile e indifeso da mettere costantemente in salvo dalle forze del Male, e se per Conan non basterebbero cento harem a contenere tutte le sue innumerevoli amanti, per Robert E. Howard, a quanto pare, i rapporti con l’universo femminile furono allo stesso tempo più semplici e più difficili.
Infatti, la sola e unica donna ideale per il ragazzo possente e solitario che narrava le saghe dell’Era Hyboriana fu l’esatta antitesi delle dame-guerriere che ritroviamo spesso ai piedi dei suoi eroi barbarici: la giovane insegnante e aspirante poetessa Novalyne Price Ellis, trasferitasi nella contea di Cross Plains per motivi lavorativi.
Con la Price, evidentemente una personalità molto lontana dalla grezza e materialista società della provincia texana in cui entrambi si ritrovarono a vivere, Howard intreccerà una breve relazione (forse, perlopiù, di natura platonica ed intellettuale), una liaison destinata a concludersi con ogni probabilità per le difficoltà caratteriali di Howard e per essere stata contrastata dall’apprensiva madre dello scrittore.
Purtroppo, la promettente e anzi già fortunata carriera di Howard si concluse tragicamente nel giugno del 1936… con un colpo di pistola. Caduto in una profonda depressione a seguito della morte della madre a cui era fortemente legato, Robert E. Howard pose fine ai suoi giorni nella sua Cross Plains (che lo scrittore, come si è accennato, non lasciò mai se si esclude un breve viaggio in Messico).
Coerente fino alla fine con la sua vena epica, Howard lasciò soltanto, sulla macchina da scrivere poco prima dell’ultimo gesto, due brevi e struggenti versi tratti da The House of Caesar della poetessa inglese Viola Garvin:
«All is gone, all is over, so bring me on the pyre;
The feast is over, the light expires»
(Tutto è andato, tutto è finito; ponetemi sulla pira:
la festa è finita, e il lume ora spira).
Proprio la sua triste fine, oltre alla sostanziale immobilità “geografica” che l’autore condusse per tutto il corso della sua assai breve esistenza, assieme naturalmente all’incredibile potenza immaginifica delle sue opere nelle quali vibrano profonde corde orrorifiche, R.E. Howard è da sempre idealmente accomunato al suo mentore e amico di penna H.P. Lovecraft, e, per certi versi, ancor di più al nostro Emilio Salgari (vista anche la grande produzione howardiana di storie avventurose a tema piratesco e marinaresco).
Per quanto riguarda la profonda influenza culturale dell’opera howardiana, come è noto, la narrativa dell’autore texano ha ispirato, oltre che la stragrande maggioranza degli scrittori fantasy e horror successivi, anche varie trasposizioni cinematografiche come i due celebri Conan del 1982 e 1984 che diedero la notorietà ad un giovane Arnold Schwarzenegger (da dimenticare, invece, il remake/reboot del 2011), senza tralasciare che molte idee dello stile heroic fantasy howardiano sono riprese da film del filone “preistorico-barbarico” italiano come Ironmaster-La guerra del ferro di Umberto Lenzi e il truculento Conquest-La conquista del maestro dell’horror tricolore Lucio Fulci, entrambi risalenti al 1983.
Dalla stessa vicenda biografica di R.E.H. è stato tratto il film The whole wide world (Il mondo intero), girato da Dan Ireland nel 1996 che ricostruisce con delicatezza la storia di amore platonico tra Howard (interpretato da un intenso Vincent D’Onofrio, decisamente adatto al ruolo) e Novalyne Price (una Renée Zellweger alle prime armi).
Oltre a tutto ciò, sarà la relativa trasposizione del personaggio di Conan sulle pagine dei fumetti della celebre case editrice statunitense Marvel Comics (e in tempi più recenti della Dark Horse), pubblicata dal 1970 ad opera dello sceneggiatore John Verpoorten e da noti illustratori come Barry Smith e John Buscema, a ridare ossigeno e a restituire nuova linfa vitale al barbaro howardiano anche presso il pubblico dei giovanissimi.
Anche la musica rock e heavy metal (soprattutto i sottogeneri del power e dell’epic metal) ha spesso attinto a piene mani dalla narrativa sword and sorcery di Howard come ricca fonte d’ispirazione per diversi brani, canzoni e addirittura interi concept albums. Basti solo pensare al celebre gruppo statunitense dei Manowar, i quali hanno incentrato l’intera loro carriera ormai quarantennale (iniziata nel 1982 con l’album Battle Hymns) sul vistoso e ormai proverbiale look metallaro esplicitamente “alla Conan”. Peraltro, il personaggio-mascotte campeggiante sulle copertine degli album dei Manowar è ovviamente un nerboruto guerriero barbaro, dal volto in ombra e rigorosamente armato di spada e/o martello, come notiamo sulla copertina di The Triumph of Steel (non casualmente illustrata da Ken Kelly, tra i più grandi disegnatori specializzati in temi fantasy attivi nell’ultimo mezzo secolo), peraltro uno dei loro migliori album in cui lo spirito eroico e “barbarico” di impronta howardiana rivive in brani come Ride the Dragon e The power of thy sword. Casi altrettanto degni di interesse nel portare in musica i concetti dell’heroic fantasy si ritrovano in altre storiche epic metal band come i Virgin Steele, gli Hammerfall, i Cirith Ungol, i nostrani Rhapsody of Fire (per quanto in questi ultimi due gruppi sia forse più forte l’ispirazione “tolkeniana”) e altri ancora.
Oltre al suo universo heroic fantasy, Robert E. Howard ha lasciato diversi racconti polizieschi e gialli, romanzi brevi ad ambientazione storica, fantastorica e western, opere teatrali, saggi e poesie. Oggi al centro di un culto letterario più vivo che mai da parte di lettori appassionati e di ferventi analisi critiche e filologiche (in Italia portate avanti, tra gli altri, soprattutto dal grande e compianto Giuseppe Lippi), il “Bardo di Cross Plains” è in definitiva riconosciuto come un autore imprescindibile nella narrativa fantastica del Novecento.
Non solo: riteniamo che, nonostante la tragica conclusione della vita di Howard, retaggio di un animo troppo sensibile che non poté (o forse non volle) reggere il peso di una realtà insopportabile, nella sua grandiosa narrativa fantastica si trovi invece un messaggio positivo di rivalsa e di lotta con il destino. Dietro la furia di Conan il Barbaro, dietro il tormentato senso dell’onore di Bran Mak Morn che non esita a ricorrere alle arti oscure per la salvezza del suo popolo, o nella indomita e fanatica lotta di Solomon Kane contro le forze del Male, vi è sempre l’onnipresente forza di combattere fino alla fine.
E se questo è un messaggio eroico, Robert E. Howard è riuscito a tramandarlo.
Niccolò E. Maddalon