Finalmente, lasciatoci alle spalle un 2022 che nell’ultima parte dell’anno si è rivelato straordinariamente ricco di notizie e scoperte al punto da essere “interminabile”, ci addentriamo nel 2023. Al momento in cui comincio a stendere queste note, siamo nella prima decade di gennaio, ma il mio scadenzario, implacabile, mi dice che non potranno comparire sulle pagine di “Ereticamente” prima di maggio.
Certo, sarebbe preferibile potervi raccontare le cose, se non in tempo reale, a poca distanza dai fatti, ma è meglio non lamentarsi: abbiamo già visto che si può con grande facilità passare da un rincorrersi frenetico di eventi a momenti “di secca”.
Cominciamo con una notizia che viene da “La Repubblica” del 7 gennaio, riportata in un articolo di Carlo Alberto Bucci. In realtà sarebbe ben lungi dall’essere una cosa nuova, risalendo a venti anni fa, ma è stata recentemente raccontata come aneddoto in un’intervista rilasciata dall’archeologo Riccardo Frontoni: nel 2003, scavando nella Villa dei Quintili sull’Appia Antica, gli archeologi hanno trovato un deposito di calce, e la cosa eccezionale è che, sotto un strato indurito di una decina di centimetri, la calce era ancora fresca dopo duemila anni, al punto che, dopo averla ricoperta con uno strato di plastica, dieci anni dopo, nel 2013, furono in grado di impiegarla per il restauro di un pavimento.
Un fatto che ci rimanda alle eccezionali abilità costruttive dei Romani, basti pensare alla lunga serie di monumenti da loro edificati giunti intatti fino a noi, superando incolumi terremoti e catastrofi di ogni genere (il Pantheon, ad esempio, e se il più celebre monumento dell’antichità romana, il Colosseo, ci è giunto incompleto, questo è avvenuto perché in età medioevale e moderna è stato “smontato” dagli stessi romani, usato come cava per costruire altri edifici).
Questa eccezionale resistenza deve molto al calcestruzzo romano, il famoso “cocciopesto” che oggi non siamo in grado di replicare e che, usato ad esempio per impermeabilizzare acquedotti, è al suo posto ancora oggi.
Non so se le due cose siano collegate o se si tratti di una coincidenza, ma il fatto è che il 6 gennaio abbiamo su “Ancient Origins” un articolo di Nathan Falde che si occupa proprio dell’eccezionale resistenza del calcestruzzo romano, riportando uno studio apparso su “Science Advances” dei ricercatori del Massachussetts Institute of Technology e dell’Università di Harvard che hanno studiato un altro importante monumento romano, la tomba di Cecilia Metella.
Io non so se il dio delle coincidenze ha fatto gl straordinari, ma ora vi devo segnalare un altro parallelismo fra gli articoli che compaiono nel prestigioso sito irlandese e una pubblicazione italiana. RadioDruido annuncia la pubblicazione di “ABC dei Celti”, una serie di video didattici dedicati al mondo celtico, il primo, già disponibile al 7 gennaio è una presentazione che prevedibilmente s’intitola Chi erano i Celti?
In curioso parallelo, “Ancient Origins” ripresenta (non si tratta in realtà di un articolo nuovo, ma uno di quelli che la pubblicazione “ripesca” a rotazione, in realtà risalente al 2019) un articolo di Sarah P. Young, Otto cose sorprendenti che dovresti sapere sui Celti. In realtà la maggior parte di queste cose sorprendenti, che erano ottimi cavallerizzi, eccellenti artigiani, abili nel forgiare armi, che avevano un grande senso della famiglia, del clan, tanto sorprendenti non lo sono, ma ci sono due sulle quali mi soffermerei: la prima, che tra di essi c’erano anche amazzoni, donne guerriere, e la cosa non ci stupisce se pensiamo alla famosa regina guerriera Budicca, e la seconda, che, contrariamente a quanto molti pensano, le loro sedi originarie non vanno cercate in Gallia o nelle Isole Britanniche, in Scozia o in Irlanda, ma in Europa centrale, che la più antica cultura celtica conosciuta è quella austriaca di Hallstatt. Guarda caso, poche Eredità degli antenati fa, vi avevo spiegato lo stesso concetto.
Andiamo avanti a vedere cosa ci offre in questo periodo “Ancient Origins”.
Il 2 gennaio Ashley Cowie ci racconta di un singolare ritrovamento avvenuto in Siberia, a Kranoyark sul fiume Yenisei, qui, lo scorso autunno lo scavo di una collinetta ha messo in luce che si tratta in realtà di un tumulo funerario contenente una cinquantina di sepolture risalenti a 2.000 anni fa. Insieme alle ossa dei defunti, sono stati rinvenuti numerosi oggetti e manufatti in bronzo. Al momento non è certo a quale cultura la sepoltura appartenesse, ma sembra “di tipo scitico”.
E’ sempre Ashley Cowie a spostare il 5 gennaio la nostra attenzione sulla Scandinavia, informandoci che i ricercatori dell’Università di Stoccolma in collaborazione con il deCODE Genetics di Rejkjavik (Islanda) hanno mappato il DNA degli Scandinavi lungo un arco di duemila anni dall’Età del Ferro a oggi, e hanno fatto una scoperta singolare: Il DNA ricavato dai resti di sepolture dell’età vichinga (750 – 1.050 d. C.) presenta una percentuale di genoma non nativo maggiore di quello degli Scandinavi attuali, soprattutto quello ricavato da sepolture di bassa condizione. Un dato che mi pare si possa spiegare in un unico modo: la traccia genetica lasciata da schiavi razziati al di fuori della Scandinavia, che dovevano essere una presenza consistente nella società vichinga.
Il 6 gennaio parliamo invece di paleolitico, perché c’è un doppio articolo, di Bernie Taylor a cui si aggiunge una risposta o commento di Ashley Cowie. Tutti noi, o almeno i meno disinformati, credo, abbiamo sentito parlare delle pitture rupestri paleolitiche delle grotte della Dordogna, Altamira e Lascaux. Forse però è meno noto il fatto che, accanto alle splendide raffigurazioni di animali, si trovano spesso segni astratti, punti e linee. Secondo alcuni, potrebbe trattarsi di un antichissimo alfabeto o di una specie di codice numerico risalente a 21.500 anni fa. Tutte le ipotesi sono possibili ma, ammettono concordemente i due autori, ne sappiamo troppo poco.
Tutti noi abbiamo conservato delle abitudini augurali molto antiche, come quella di gettare monetine o altre offerte nelle fontane e nei pozzi, sebbene il più delle volte la loro origine ci sfugga. Probabilmente, l’acqua è sempre stata vista come una divinità benevola cui affidare i nostri desideri, e la famosa osservazione che “dove c’è acqua c’è vita” deve essere molto più antica di Talete. Ricordiamo il recente ritrovamento di preziosi bronzetti di età romana nel fango sul fondo della piscina votiva di San Casciano dei Bagni (Siena).
Un classico in questo senso sono i pozzi dei desideri, pozzi “magici” che promettono la realizzazione di un nostro desiderio in cambio di un soldino.
Bene, un altro articolo di Ashley Cowie, del 9 gennaio ci parla di un pozzo dei desideri che è stato scavato nella località bavarese di Germering. In esso, a dimostrazione del fatto che abbiamo a che fare con un’abitudine molto antica, sono stati ritrovati manufatti (monili e spilli) risalenti all’Età del Bronzo, 3.000 anni fa.
Come abbiamo visto con ampiezza le volte scorse, nella seconda metà del 2022 “Ancient Origins” ha fatto un gran lavoro sulla mitologia greca, e ha inserito una cartella (credo si dica directory in gergo informatico) con un logo facilmente riconoscibile che contiene i link che rimandano agli articoli sull’argomento (Non è mancato, per la verità qualche errore marchiano, come quello di includervi il mito di Romolo e Remo, che non solo non è greco, ma italico, ma è proprio il mito fondante della romanità, ma ora prescindiamo).
Bene, avete visto anche che un lavoro quasi della stessa ampiezza è stato fatto per la mitologia norrena. Ora, anche riguardo a quest’ultima i link ai relativi articoli sono stati raccolti in una directory contrassegnata da un logo facilmente riconoscibile, non solo, ma ben disegnato a livello estetico (anche se qui entriamo in un campo molto soggettivo), e ho idea che lo troverete come parte dell’illustrazione che, come al solito, correderà questo articolo.
Vediamo adesso cosa ci presentano altri siti che si occupano abitualmente di tematiche archeologiche. “The Archaeology News Network” sembra essere entrato in crisi, è diverso tempo che non vi compaiono nuovi articoli. “The Archaeology Magazine” presenta due articoli sulle stesse tematiche che abbiamo visto su “Ancient Origins”, sui segni astratti delle pitture paleolitiche e sulla storia genetica della Scandinavia, e ora non mi sembra il caso di ripetermi. Tuttavia, un altro articolo parallelo a quello su “Ancient Origins” offre il destro a qualche considerazione in più: si tratta dello studio che i ricercatori dell’Università di Harvard hanno condotto sulla tomba romana di Cecilia Metella. Il segreto della durevolezza dei monumenti romani consisterebbe proprio nel calcestruzzo cui veniva aggiunta calce viva che, generando calore avrebbe permesso all’impasto così ottenuto di dilatarsi e riempire eventuali fessurazioni.
Lo stesso argomento lo ritroviamo poi su “Stylemania” del 10 gennaio e da MSN.com dell’11 gennaio, che ci forniscono ancora un dato in più: la ricerca sulle caratteristiche del materiale è stata affidata a Admir Masic, professore associato di ingegneria civile e ambientale al Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Io, da profano riguardo alla scienza dei materiali, mi sentirei di aggiungere un paio di considerazioni: la prima, che quando una notizia di questo genere compare su un sito “generalista” come MSN.com, significa proprio che è una notizia di grande portata, la seconda, che ora che conosciamo il segreto di questa tecnologia, potremmo cercare di replicarla nelle costruzioni moderne, che finora, a differenza di quelle antiche, alla minima scossa sismica vanno giù come castelli di carte e – stranamente – gli edifici più vulnerabili sono proprio quelli di più recente costruzione.
“Quando i blocchi di arenaria sono stati puliti, i ricercatori hanno trovato una cornice decorata con foglie sormontate da un capitello corinzio e un frammento di fregio che mostra un’immagine del dio greco del mare Tritone con barba, capelli lunghi, braccia divaricate e tentacoli che terminano con foglie di palma. Un possibile cavalluccio marino, le cui due zampe anteriori sono visibili, è stato posto accanto a lui”.
Stranamente, un articolo sul medesimo argomento compare il 10 gennaio su “Avvenire” e il giorno successivo su MSN.com, e qui apprendiamo qualche particolare in più: la località del ritrovamento, che stranamente l’articolo di “The Archaeology Magazine” non precisava, è il villaggio di Néris-les-bains in Alvernia. Trovo alquanto ironico che sia la pubblicazione dei vescovi a occuparsene, visto il daffare che si diedero i cristiani nell’antichità a distruggere monumenti pagani.
Sembra strano, ma mi era già capitato di notarlo altre volte: nei momenti in cui i siti stranieri sembrano più avari o carenti di notizie riguardo alle nostre origini europee (sempre premesso che la storia remota della Cina, del Messico, della Polinesia le lasciamo agli specialisti perché poco ci riguardano, senza che questo implichi minimamente un atteggiamento di disprezzo, e non parliamo dell’infatuazione egizia), l’italiana “ArcheoMedia” che di solito si concentra sulle scoperte di casa nostra, per una sorta di compensazione, si diffonde maggiormente su quanto accade all’estero.
Il 1 gennaio “ArcheoMedia riporta la notizia che in Olanda, a Herwen-Hemeling (comune di Zevenaar), sono venuti alla luce da una cava di argilla i resti di un enorme tempio romano con migliaia di reperti. Si dovrà aspettare per saperne di più, dato che gli scavi sono appena iniziati.
Poi troviamo in data 3 gennaio un articolo sugli Ittiti, civiltà indoeuropea sviluppatasi in Anatolia, che è in realtà una recensione del libro Handbook Hittite Empire. Power Structures pubblicato in lingua inglese da Stefano De Martino dell’Università di Torino. En passant, ricordiamo la predilezione manifestata da Adriano Romualdi per questo antico popolo, che è stato una sorta di antemurale indoeuropeo in faccia al mondo semitico.
Ancora, il 6 gennaio apprendiamo del ritrovamento in Francia, a Bordeaux di un vero tesoro di oltre 4.000 sesterzi romani, il più grosso ritrovamento numismatico mai avvenuto in Francia, scoperto setacciando la sabbia del fiume Garonna. Sembrerebbe trattarsi di un tesoro che si trovava a bordo di una nave mercantile romana naufragata a causa di un incendio.
Io non so se faccio bene a parlarne qui, ma, riprendendo in mano il discorso sugli Ittiti, ultimamente in un dibattito sull’argomento, è riemersa la tesi che i Troiani sarebbero stati in realtà non una popolazione imparentata coi Greci, ma un ramo degli Ittiti. Questa tesi si basa soprattutto sulla somiglianza (che potrebbe essere casuale) tra il nome di Ilio e quello di una città menzionata nei testi ittiti, Wilusa.
Io mi sono permesso di obiettare che, sebbene non mi senta di mettere per essa la mano sul fuoco, anche l’ipotesi baltica di Felice Vinci andrebbe presa in seria considerazione.
Poiché di fatti come quelli raccontati nei poemi omerici siamo ben lungi dall’avere una conoscenza esaustiva, è meglio essere aperti a un ventaglio di possibilità.
Forse questa volta qualcuno sarà un po’ deluso. Come vedete, l’articolo è molto “piano”, tutto basato su fonti ufficiali, ma, di volta in volta, bisogna prendere quel che passa il convento, forse un pezzo come la centonovesima parte che lo ha preceduto, sarà risultata più interessante e per me, confesso, più divertente da scrivere, quando si ha l’occasione di confutare i dogmi dell’ortodossia contemporanea, l’origine africana della nostra specie e quella mediorientale della civiltà. Il fatto che quello scorso fosse un articolo riepilogativo, favoriva da questo punto di vista, stavolta invece va così. Quello che importa davvero, tuttavia, è il fatto che si scoprono sempre nuovi tasselli che rendono sempre più chiaro il quadro delle nostre origini.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra il logo dell’ABC dei Celti presente su Radio Druido, al centro, il logo della directory di mitologia nordica su “Ancient Origins”, a destra, veduta aerea del sito di Néris-les-bains.
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