Siamo alla metà di marzo 2023 nel momento in cui ricomincio a stendere queste note, anche se voi le leggerete molto più avanti. E’ un fatto abbastanza sorprendente, ma la maggior parte delle nuove informazioni sulla nostra eredità ancestrale, in questo periodo sembrano venire dai media generalisti.
Come si deve interpretare ciò? Coincidenze, oppure qualcosa si sta risvegliando?
Ricominciamo da sabato 11. In questa data, un articolo di Maria Serena Patriarca su “Il messaggero” ci porta a scoprire un piccolo gioiello poco noto dell’antichità pervenutoci praticamente intatto, il tempio di Demetra a Vetralla nella Tuscia viterbese.
“Il complesso”, ci racconta la giornalista “è costituito da una serie di ambienti rupestri e dal tempietto vero e proprio, all’interno del quale ancora oggi gli escursionisti lasciano foglie, frutti o bacche in segno del proprio passaggio: si tratta di una piccola struttura costruita in blocchi di peperino, cella della divinità femminile che qui veniva adorata, nella quale è stata rinvenuta la statua di Demetra, con gli arredi di culto”.
L’ articolo è intitolato “Come Indiana Jones”. Sarà proprio così? L’archeologia e lo studio del nostro passato (quello vero, non quello reinventato da Stephen Spielberg) possono diventare un interesse popolare?
Domenica 12 “Corriere TV” presenta un video girato dai carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale che mostra i resti di un edificio di età romana augustea emerso da scavi effettuati a Fano (Pesaro-Urbino).
Non tutte le informazioni che possiamo dare riguardo alle testimonianze del nostro passato, sono piacevoli. Lunedì 13, una notizia che ha fatto scalpore e di cui si è parlato a Tgcom24: Uno studente italiano in gita a Malta, un ragazzo della provincia di Varese di cui non sono state diffuse le generalità, è stato sorpreso a incidere le proprie iniziali, B + L su un monolito del tempio neolitico di Grgantia nell’isola di Gozo. Colto sul fatto, è stato processato per direttissima e condannato a 2 anni di reclusione con la condizionale e 15.000 euro di multa.
Quasi nello stesso momento, abbiamo avuto la notizia che in Nepal un giovane docente bresciano sarebbe stato sorpreso nel tentativo di sottrarre una statua da un tempio.
Tuttavia, non dobbiamo pensare che questo genere di vandalismo sia una specialità italiana. In Irlanda, qualcuno ha sfregiato la Lia Fail, la pietra del destino di Tara, nel 2020 un circolo neolitico inglese è stato devastato da giovinastri che l’hanno usato come pista per gare motociclistiche, e vi ricordate degli hooligans olandesi che hanno sfregiato e danneggiato la barcaccia di piazza Navona?
Nel complesso, direi che noi italiani siamo di gran lunga più vittime che responsabili di danneggiamenti e furti ai danni del nostro patrimonio artistico, culturale e storico.
Tanto per restare in argomento, ricordiamo anche che proprio negli stessi giorni il gruppo ambientalista Ultima Generazione ha imbrattato di vernice (fortunatamente lavabile) i muri di Palazzo Vecchio a Firenze, provocando la reazione indignata del sindaco Nardella. La difesa dell’ambiente è importante, ma non deve essere il patrimonio artistico e storico a farne le spese.
Torniamo ora sulla scoperta di Fano: secondo un servizio di RAI news, quelli ivi rinvenuti potrebbero essere proprio i resti della basilica (ricordiamo che in età romana questo termine non indicava un edificio religioso ma civile) di cui parla Vitruvio nel suo trattato De architectura. Di certo, è quanto meno emerso un pavimento in marmo pregiato.
Riparliamo del più famoso monumento preistorico d’Europa, il triplice cerchio megalitico di Stonehenge (piana di Salisbury, Inghilterra). Per domenica 26 marzo “Focus” (canale 35) promette un doppio documentario su Stonehenge: alle 21.15 Stonehenge rivelata, alle 22.15 Stonehenge, le verità nascoste. In sostanza, un aggiornamento sulle ultime scoperte. In sostanza, la storia del monumento megalitico è più antica e più complessa di quanto finora si era pensato. Essa inizia nel mesolitico ed era in origine una struttura molto diversa da quella attuale, costituita da un anello di pietre megalitiche e di pozzi, oggi noti come Durrington Shafts, che costituiscono la più ampia struttura artificiale preistorica nota. In seguito, la struttura ha subito vari rimaneggiamenti, fino ad assumere nel trapasso tra neolitico ed Età del Rame, la fisionomia attuale.
Nella storia inglese c’è un grosso “buco”, cioè un periodo storico su cui abbiamo informazioni molto scarse o quasi inesistenti. Si tratta del periodo fra il momento del ritiro delle legioni romane dalla Britannia, e quello in cui l’Isola viene definitivamente sottomessa dagli invasori sassoni. Guarda caso, si tratta proprio del periodo in cui si situano le leggende del ciclo arturiano, che possono anche essere belle e affascinanti, ma sono poco credibili come fonti storiche. Bene, ora forse è arrivato il momento in cui ne sapremo qualcosa di più.
Un articolo di Mariagiovanna Capone pubblicato su “Il Mattino” martedì 14 ci informa del ritrovamento nella località di Garforth vicino a Leeds nel West Yorkshire, di un cimitero risalente a 1600 anni fa, cioè proprio all’epoca del “buco nero” fra l’età romana e quella sassone. Sono state ritrovate una sessantina di inumazioni, fra cui quella dei resti di una donna sepolta in una bara di piombo. Non conosciamo la sua identità, ma sappiamo che tale forma di inumazione in epoca romana veniva riservata ai personaggi di alto rango.
Si spera, da questo ritrovamento, di riuscire a colmare le lacune storiche riguardo alla transizione fra l’età romana e quella sassone, e in particolare su regno di Elmet che all’epoca esisteva nella zona. Riusciremo anche a comprendere quale sia l’effettiva base storica delle leggende arturiane? Questo, al momento, non è dato di sapere.
E’ una prassi abbastanza usuale che un ricercatore utilizzi il materiale dei suoi studi per scrivere un romanzo, dandone appunto una versione romanzata dove si usa la fantasia per tappare i buchi delle conoscenze effettive. Meno usuale è il fatto che attorno a un lavoro del genere si faccia un gran clamore per motivi tutt’altro che limpidi.
Sempre martedì 14, un servizio di RAI News 24 è stato dedicato al romanzo di Carlo Vecce, studioso leonardesco, Il sorriso di Caterina, la madre di Leonardo. Leonardo Da Vinci, è noto, nacque fuori dal matrimonio da ser Pietro Da Vinci, notaio fiorentino, e una Caterina non meglio identificata. Secondo quanto Vecce racconta nel suo romanzo, Caterina sarebbe stata una principessa circassa rapita dai Tartari e venduta come schiava in Italia. L’appiglio storico è costituito da un documento, l’atto di affrancamento di Caterina sottoscritto proprio, nella sua qualità di notaio, proprio da ser Pietro, ma non c’è alcuna certezza che si sia trattato della madre di Leonardo, potendo anche essere una omonima.
E’ più che legittimo che Vecce presenti la sua ipotesi (non nuova peraltro, pare che sia in circolazione già da qualche anno) tanto più in forma romanzata, e dobbiamo prendere atto che Leonardo potrebbe aver avuto un’origine solo in parte italiana, anche se questo cambierebbe poco, perché la sua genialità e la sua opera difficilmente si potrebbero spiegare prescindendo dal clima culturale della Firenze rinascimentale.
Quello che invece a mio parere non è legittimo per niente, è che si sia volta strumentalizzare questa vicenda, dato che Caterina era una “profuga”, una “migrante” (manca poco che ci abbiano detto che fosse approdata in Italia a bordo di un barcone) per farne l’ennesimo panegirico a favore dell’accoglioneria e della sostituzione etnica.
Piccolo particolare: se dovessimo accettare il punto di vista dei “compagni” per i quali la nazionalità si riduce puramente e semplicemente alla cittadinanza cartacea, allora dovremmo dire che Leonardo italiano non era affatto, ma non lo erano neppure Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Giotto, Lorenzo il Magnifico, Niccolò Machiavelli, Galileo Galilei, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Vittorio Alfieri, e via dicendo, perché sono tutti vissuti prima che uno stato italiano tornasse a esistere.
Il 15 marzo apprendiamo da un post di MSN.com ripreso da “Funweek” che per questa data (le idi di marzo) il Gruppo Storico Romano organizza nell’area archeologica di Torre Argentina la rievocazione storica dell’uccisione di Giulio Cesare. Come sappiamo, si trattò di un evento storico cruciale (o come si usa dire oggi “iconico”), che tuttavia non valse a impedire la trasformazione della repubblica romana in impero, trasformazione che fu compiuta dal nipote e figlio adottivo di Giulio Cesare, Ottaviano, poi detto Augusto.
Cosa ci offre in questo periodo “Ancient Origins?”, prescindendo da notizie che riguardano l’Egitto, l’Africa, i luoghi biblici e altre cose estranee alla nostra tradizione europea, in realtà non molto. C’è un articolo di Johanna Gillians del 14 marzo che ci parla del meccanismo di Antikythera, questo “computer dell’antichità” per determinare la posizione degli astri ai fini della navigazione, ma ve ne ho parlato io stesso più volte, ora prescindiamo.
Un discorso quasi analogo si potrebbe fare per un articolo del 16 marzo di Aleksa Vuckovic sulla strana tomba di Dwarf Stane nelle Orcadi, Ve ne ho parlato poco tempo fa. E’ un peccato che questi articoli non riescano a comparire su “Ereticamente” in tempo reale, altrimenti avrei potuto vantarmi di aver battuto sul tempo “Ancient Origins”.
Una tematica interessante ce la offre l’articolo sempre del 16 marzo di Sahir. Sappiamo che l’addomesticamento e l’allevamento bovini sono iniziati in Europa almeno nel neolitico, ma non possiamo aspettarci che la mutazione che ha conferito alle popolazioni europee la tolleranza al lattosio sia comparsa automaticamente in risposta a ciò, di fatto, pare sia divenuta dominante fra le popolazioni europee verso la tarda età del bronzo, e allora, cosa facevano i nostri remoti antenati col latte bovino per potersene alimentare? La risposta è semplice: formaggi!
Un articolo di Micki Pistorius del 17 marzo ci porta in Grecia, precisamente nell’Attica orientale, la regione che comprende Atene, ma anche stupende località come Capo Sounion fa da sfondo a tanti miti greci, ad esempio quello di Teseo, Pistorius la definisce (ed è il titolo dell’articolo) Parco giochi di dei, eroi ed eroine.
Io adesso non lo so se faccio bene a parlarvi di Strade del nord, la nuova serie di articoli di Michele Ruzzai che hanno cominciato ad apparire su “Ereticamente” a partire dal 15 marzo, un po’ perché, lo sapete, sono restio a commentare i lavori di altri collaboratori della nostra testata nel timore che qualche mia interpretazione degli stessi non condivisa dagli autori potrebbe generare inopportune frizioni (ma con Michele Ruzzai, persona dallo splendido carattere, un’eventualità del genere è estremamente improbabile), e soprattutto perché, sebbene io stia stendendo queste note poco oltre la metà di marzo, voi certamente le leggerete molto più tardi, e per allora Strade del nord sarà diventata una presenza abituale sulle nostre pagine.
Tuttavia, un paio di considerazioni vorrei farle.
Per prima cosa, Michele Ruzzai non ci nasconde di certo quali siano il suo campo di interessi e il suo approccio:
“Le Origini dell’Uomo, la sua Preistoria, le sue Razze. Sono temi che cerco di esplorare seguendo coordinate non evoluzionistiche, ma ciclico-involutive, monofiletiche e boreali, traendo spunto dai pensatori del “Tradizionalismo integrale” e dal Mito, senza tuttavia dimenticare quanto può dirci la ricerca scientifica correttamente interpretata”.
Come fa intuire anche il titolo Strade del nord, è chiara l’adesione di Ruzzai alla concezione dell’origine umana nordica-boreale in contrasto con la tesi “ufficiale” (o se vogliamo, il dogma) dell’origine africana.
Una particolarità di questo lavoro è il fatto che, contrariamente a quanto di solito si usa fare per i libri, Ruzzai ha messo la bibliografia no alla fine ma all’inizio della sua esposizione, e ha fatto molto bene, perché questo ci consente di cogliere fin da subito alcune cose piuttosto interessanti.
Innanzi tutto, si tratta di una bibliografia imponente, che ci fa vedere come questo scritto sia stato preceduto da un lavoro di studio e ricerca estremamente meticoloso, di cui io, ad esempio, non sarei capace.
Questa bibliografia è divisa in 17 sezioni: Antropogenesi, mito, storia (52 riferimenti), Antropologia del sacro, mitologia (41 riferimenti), Atlantide (16 riferimenti), Cicli cosmici, storia tradizionale (25 riferimenti), Classici (6 riferimenti), Controcorrente (13 riferimenti), Etnologia, popoli, identità (35 riferimenti), Geologia, paleobiologia, ambiente (19 riferimenti), Indoeuropei (44 riferimenti), Linguistica storica (19 riferimenti), Paleogenetica (36 riferimenti), Paleoantropologia (23 riferimenti), Preistoria generale, archeologia (53 riferimenti), Razza (38 riferimenti), Simbolismo (15 riferimenti), Studi tradizionali, perennialismo (51 riferimenti), Thule, Iperborea, nord arcaico (61 riferimenti), per un totale complessivo di quasi 500 riferimenti, e tenete presente che all’incirca nella metà dei casi non si tratta di articoli, ma di libri spesso di centinaia di Pagine.
Questo ci dice molto sull’imponenza e la meticolosità del lavoro di Michele Ruzzai, ma ci dice anche un’altra cosa: in un modo o nell’altro, gli autori citati, e sono veramente tanti, sono schierati perlopiù a favore della tesi dell’origine nordica, non quella africana. Il che dimostra che quest’ultima è più recente, meno radicata, meno incontestata di quanto ci si vuol far credere, si è imposta prevalentemente col metodo: “se non ti adegui al dogma, sei fuori dalla comunità scientifica, ci rimetti la possibilità di pubblicare e la cattedra”.
In questi giorni ci è giunta la tristissima notizia della scomparsa di Ernesto Roli. Roli è stato un importante studioso di indoeuropeistica, amico e collaboratore di Adriano Romualdi e continuatore della sua opera, che in questi anni ci ha onorati della sua amicizia e del suo sostegno. Io gli ho dedicato un Ricordo che è stato pubblicato su “Ereticamente” in data 17 marzo.
Vorrei ripetere qui lo stesso concetto che espressi nel 2015 nell’articolo Il passaggio del testimone, in cui ricordavo la scomparsa, avvenuta con sorprendente contemporaneità, di Gianantonio Valli e di Sergio Gozzoli: il modo migliore di onorare queste persone, è quello di continuare la loro opera, raccogliere il loro testimone e la loro testimonianza e proseguire la marcia.
NOTA: Nell’illustrazione, il tempio di Cerere a Vetralla.
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