8 Ottobre 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 19 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

8.5 – La fase “ario-uralica” e la nascita del Solutreano

 

Nei quattro paragrafi precedenti abbiamo avanzato alcune ipotesi sui luoghi e sulle tempistiche nelle quali dovette verificarsi la primissima etnogenesi indoeuropea: le riassumiamo ora brevemente per introdurre alcune riflessioni che ci serviranno quale trait d’union con la prossima sezione.

Dal punto di vista geografico, tale evento si sarebbe concretizzato nell’ambito di un più vasto contesto “indo-uralico”, probabilmente nel quadrante compreso tra le penisole di Kola e di Jamal che si affaccia sui mari di Barents e di Kara e, come già accennato, corrisponde grossomodo all’attuale Distretto Autonomo di Nenezia della Federazione Russa ed al bacino idrico del fiume Pechora. Un’area formativa, tra l’altro, proposta anche da alcuni ricercatori russi e che avrebbe avuto come confine meridionale i bassi rilievi degli Uvali settentrionali (828): localizzazione anche piuttosto coerente con l’idea di Aleksandr Dughin (similare a quella di Gaston Georgel) sull’arcaica enucleazione, in zona norduralica, di un Polo sacrale e culturale degli “Arii più puri” che più

tardi si sarebbero frazionati originando gli Indoeuropei propriamente detti (829). In buon accordo con tale ipotesi ci sembra anche la nota di Jean Haudry (830) sul fatto che le radici lessicali protoindoeuropee probabilmente di maggior interesse per la determinazione della nostra Urheimat, potrebbero essere quelle indicanti il mare, che nell’accezione originaria sembrerebbero connesse non a bacini aperti e profondi ma ai laghi salmastri ed alle paludi costiere (831), e la neve, che non rimanderebbero a quella montana, farinosa e compatta, ma piuttosto a quella umida tipica delle regioni pianeggianti: sono due indicazioni che sembrerebbero abbastanza compatibili con una culla primordiale collocata nella Nenezia costiera, o forse anche nel Doggerland (che però, come vedremo più avanti, potrebbe essere stata una più tarda area di sosta ed irradiazione secondaria).

Invece dal punto di vista storico, abbiamo visto come i primissimi processi formativi del Protoindoeuropeo andrebbero cercati già in età paleolitica e condividiamo senz’altro l’idea che gli sconvolgimenti climatici di circa 20.000 anni fa, collegati all’Ultimo Massimo Glaciale (LGM), abbiano costituito la causa principale della dispersione a vasto raggio della nostra famiglia etnica (832). Senonchè, abbiamo anche sottolineato come la profondità temporale di questo quadro e soprattutto le analisi effettuate da Hans Krahe, suggeriscano che assai rilevanti debbano essere stati i mutamenti linguistici verificatisi tra la prima formazione protoindoeuropea e la stabilizzazione delle successive lingue storiche, che almeno nelle loro caratteristiche peculiari ebbero a delinearsi in tempi molto posteriori. Tale prospettiva, quindi, si distanzia non poco da quella “continuista” più radicale sostenuta da Mario Alinei, che prevede una profondità storica ancora maggiore e non solo per l’unitario Protoindoeuropeo iniziale, ma anche per la differenziazione delle singole lingue indoeuropee: per fare un paio di esempi, nell’ambito della Teoria della Continuità la prima manifestazione di un gruppo italico viene collocata già nell’Epigravettiano di 16-17.000 anni or sono (833) e addirittura più di 35.000 anni fa si ipotizza essersi dispiegata, tra il fiume Garonna ed i Pirenei, una stratificazione definibile già come proto-aquitana (834) per la quale si nega ogni connessione con le lingue basche, sostenuta invece dalla linguistica più tradizionale (835). Anche il popolamento celtico nell’occidente europeo viene da Alinei proposto in una prospettiva estremamente remota, ovvero all’incirca 25.000 anni or sono (836); e ciò, rileviamo di passata in chiave mitico-tradizionale, potrebbe in teoria sostenere una sorprendente inversione dei rapporti fra la tradizione celtica e quella atlantidea, con quest’ultima che diverrebbe più recente della prima e, come qualcuno osserva (837), potrebbe addirittura esserne derivata.

Tuttavia la prospettiva che qui preferiamo seguire è piuttosto diversa, perché non contempla già 20-25.000 anni fa un tale livello di differenziazione/cristallizzazione linguistica in seno alla nostra famiglia etnica, ma al tempo una situazione ancora fluida e dinamica: ovvero, un gruppo indiviso indo-uralico che appena allora iniziava a disgregarsi sotto i primi rigori dell’LGM fino all’enucleazione di due Urheimat vicine ma separate (una indoeuropea ed una uralica), e comunque già sottoposto anche ad alcune precoci “diramazioni centrifughe” verso l’esterno implicanti qualche fenomeno di contatto/ibridazione linguistica con le più meridionali popolazioni dene-caucasiche, che potrebbe essersi verificato sia a partire dall’ancora indivisa Urheimat indo-uralica, sia separatamente dalle due successive.

Il prosieguo, per vari millenni, della stretta climatica avrebbe poi incalzato duramente – costringendola ad allontanarsi seguendo vie e tempistiche anche molto diverse – larga parte di questa vasta e magmatica congerie di popolazioni nordorientali, come se fossero tutte uscite da un vero e proprio “serbatoio di nord-est” (838). Significativa ad esempio la nota di John Rhys segnalata da Tilak, secondo la quale è probabile che gli “Ariani” (riferendosi probabilmente agli Indoeuropei in senso stretto) non siano stati i soli popoli ad aver avuto un’origine nordica (839); un’affermazione che potrebbe essere interpretata non solo in chiave più largamente monogenetica – cioè in relazione all’intera specie umana secondo le già accennate linee di Warren, Guénon e Georgel ed attinenti le fasi iniziali del nostro Manvantara – ma anche più limitatamente in rapporto ai movimenti scaturiti, direttamente o come “reazione a catena” generatisi più a valle, a partire dall’Airyana Vaējah nordorientale quando questa venne colpita dall’LGM circa 20-22.000 anni or sono.

Ad esempio, in questo contesto nulla vieterebbe di ipotizzare una lontana radice settentrionale anche di alcune lingue caucasiche (840), ora però non nell’orizzonte, più ampio ed antico, dell’origine beringiana/siberiana-nordorientale – alla quale, come segnalato in precedenza, si potrebbe riferire la vasta famiglia dene-caucasica – ma più precisamente in relazione a quegli idiomi che sembrano presentare alcuni specifici punti di contatto con il Protoindoeuropeo, come rilevato da Alfons Nehring (841); un esempio potrebbe essere rappresentato dalla famiglia cartvelica, parlata principalmente in Georgia, ma le cui relazioni con l’Indoeuropeo, più che di tipo “adstratico” e di contatto (da cui la già accennata ipotesi di una Urheimat sudcaucasica formulata da Gamkrelidze e Ivanov – 842) sembrano piuttosto essere di carattere tipologico e grammaticale (843) suggerendo quindi la possibilità di un lontanissimo rapporto di carattere filogenetico (le “diramazioni centrifughe” richiamate sopra). E forse questa potrebbe essere una flebile traccia, rimasta oggi sul piano linguistico, dello stesso evento migratorio responsabile durante l’LGM dell’enucleazione nell’enclave caucasica di una particolare componente autosomica molecolare – la “CHG” (i cacciatori-raccoglitori caucasici) – che è portatrice di una variante omozigote del gene SLC24A5, associato ad una pigmentazione cutanea particolarmente chiara (844). Infatti, ormai nemmeno per la ricerca accademica e per la divulgazione scientifica più “convenzionale” è fuori luogo parlare di popolazioni dall’aspetto particolarmente depigmentato che vennero spinte verso sud dalla recrudescenza climatica connessa all’Ultimo Massimo Glaciale (845), ma anche, e tanto più, autori come Julius Evola rimandano alla stessa fase preistorica per descrivere la massiccia migrazione dei gruppi “bianchi” dispiegatasi verso terre quali l’Europa, l’America e l’Atlantide (846) alle quali, come vedremo nella prossima sezione, riteniamo andrebbe aggiunta anche un “Africa ed oltre”.

In ogni caso, teniamo sempre presente che tale indicazione evoliana va letta considerando questo movimento dall’Artico certamente non come il primo in assoluto (ricordiamo infatti gli accenni di Herman Wirth sulle prime influenze nordiche manifestatesi già durante l’Aurignaziano, dal quale siamo ormai molto distanti), non partito dalle stesse aree geografiche delle fasi precedenti (l’attuale Uttarakuru/Airyana Vaējah nordeuropea – cioè quello che ci piace definire “il nostro Nord” – non corrisponde né all’Occidente boreale della Groenlandia “prenordica”, nè all’Oriente boreale della Beringia, né all’ancor più antico Polo della Thule Iperborea / Shvetadvipa di inizio Manvantara), e collegato ad una stirpe non più esattamente assimilabile a quella di 30.000 anni prima (soprattutto a causa di fenomeni di “idiovariazione” razziale e di frammentazione / eterogeneizzazione linguistica che nel frattempo avevano modificato la popolazione originaria).

Comunque, almeno per il nostro continente, in un primo periodo il movimento migratorio scaturito dalla Uttarakuru/Airyana Vaējah nordeuropea verso sud-ovest – quello che in precedenza avevamo ipotizzato essere oggi geneticamente visibile nella “seconda componente principale” individuata da Cavalli Sforza – dovette seguire un percorso soprattutto est-baltico. Ricollegandoci a quanto si era detto sugli “Ariani” – o “Bianchi”, o anche “Giapeti” se preferiamo – questo ne rappresentò la prima ondata (alla quale, in Europa, riteniamo seguirono altre due che vedremo in seguito) per una fase che potrebbe essere denominata “ario-uralica” (847), sia per la provenienza geografica di questo flusso, sia per i legami, non ancora del tutto spezzati, con quella famiglia linguistica in relazione all’iniziale persistenza di uno stadio preflessivo dell’Indoeuropeo.

Solo come nota a margine – e senza volerci addentrare nell’estremamente specialistico ambito dell’etruscologia – una possibile teoria che potrebbe essere inserita in questo contesto riguarderebbe gli stessi Etruschi, per i quali, in virtù del probabile carattere agglutinante della loro lingua (848), agli inizi del XX secolo studiosi quali Bernard Carra de Vaux e Joseph-Jules Martha ne proposero un sorprendente accostamento con la famiglia uralica (849) che, tra l’altro, si potrebbe leggere in parallelo all’interessante dato della non trascurabile presenza del biondismo tra di essi (850); o, secondo una proposta più recente formulata da Mario Alinei, il nesso Etrusco-Uralico potrebbe essere stabilito in modo più indiretto per il tramite di un idioma arcaico-ungherese, però in un quadro “continuista” e di antichità enormemente più elevata di quella, medievale, tradizionalmente attribuita all’insediamento magiaro nella pianura pannonica (851). E nel contesto di tale remota unità ario-uralica, si potrebbe quindi azzardare l’interpretazione di quegli antichissimi indoeuropeismi presenti nella lingua etrusca per i quali, infatti, Giacomo Devoto nega decisamente la possibilità di una loro provenienza da contatti adstratici con i coevi latino ed osco-umbro (852), improbabili perchè al tempo già nettamente specializzati. Ma ovviamente si tratta di congetture ben lontane dall’essere dimostrate, che comunque ci sembrava interessante menzionare in questo punto della trattazione.

In ogni caso, il collegamento di tale migrazione continentale nordest => sudovest con la primissima espansione proto-indoeuropea, però recante idiomi ancora sensibilmente lontani da quelle che sarebbero state le molto più tarde lingue indoeuropee “storiche”, potrebbe forse trovare una certa conferma in alcuni arcaismi riscontrati proprio nel sottogruppo baltico – Lituano e Lettone – che indubbiamente presentano il maggiore grado di conservatività all’interno della nostra famiglia etnica (853). Si tratta di arcaismi evidenziati anche dal mantenimento, rispetto alle altre lingue indoeuropee, delle maggiori tracce del procedimento di agglutinazione e quindi di somiglianza con le parlate ugrofinniche (854), elemento che quindi confermerebbe anche in termini strutturali, oltre che geografici, la prossimità delle lingue baltiche all’area che dovette ospitare l’originaria Urheimat indoeuropea (855): tanto che secondo Wolfgang P. Schmid, discepolo di Krahe, la patria primordiale andrebbe cercata proprio in tale zona (856), analogamente alle vecchie teorie formulate nel XIX secolo da Latham e Poesche (857). Il raggiungimento molto precoce delle loro sedi di definitivo stanziamento ed il fatto di essere rimasti relativamente preservati da migrazioni successive, farebbe dei Baltici un gruppo particolarmente interessante nell’ambito indoeuropeo, anche per il mantenimento di una divinità femminile che, come rilevato dall’etnologa lituana Pranė Dundulienė, sembra derivare direttamente da tempi paleo-mesolitici (858).

Ma la migrazione nordest => sudovest, oltre che sul piano linguistico, dovette comportare degli importanti effetti anche su quello archeologico, ovvero la progressiva disgregazione dell’unità gravettiana e, circa 20.000 anni fa nell’occidente europeo, la nascita del Solutreano (859): cultura che infatti vari autori interpretano non come fenomeno di genesi locale, bensì dalla natura intrusiva e riconducibile all’ingresso in area di gruppi di provenienza nordorientale (860), forse addirittura nordasiatica (861). Autori come Gioacchino Sera collegano infatti il Solutreano ai Protoindoeuropei, ma appunto non tanto come Urheimat originaria, bensì più come area culturale che ne avrebbe “attratto” le prime avanguardie (862), secondo una dinamica che potrebbe essere inquadrata come momento di “rottura” di una certa continuità stilistica che alcuni autori (863) hanno intravisto tra l’iniziale Aurignaziano ed il posteriore Magdaleniano.

In questa stessa direzione, a nostro avviso è piuttosto significativo anche un ulteriore elemento, questa volta di natura bio-antropologica: sempre nel Solutreano appaiono le prime tracce di brachicefalia, che nel nostro continente porteranno all’enucleazione della razza alpina (864) la quale, per inciso, secondo Carleton Coon sarebbe una variante brachimorfa del Cro-Magnon (865) e quindi, come già accennato in precedenza, non rappresenterebbe necessariamente una tendenza evolutiva derivante da influenze extra-europee e paleo-mongolidi. Si tratta in ogni caso di una caratteristica di origine paleolitica (866), sicuramente anteriore anche al noto reperto mesolitico di Ofnet e le cui somiglianze maggiori tra le genti attuali sono, significativamente, riscontrabili soprattutto nell’ambito della razza lappone (867). Ma l’elemento di particolare interesse è che, prima dell’arrivo delle popolazioni indoeuropee “storiche” (sulle quali ci soffermeremo più avanti) la tipologia brachicefalica, come già accennato, dev’essere stata massicciamente presente, oltre che tra i “lapponoidi” antichi, anche tra i Liguri (868). La radice settentrionale dei Liguri appare peraltro sostenuta – lo abbiamo già visto in precedenza – dall’importanza rivestita presso di essi dalla figura del Cigno in significativa analogia proprio con i Lapponi, e pure dalla chiara rilevanza attribuita ad un altro fondamentale simbolo iperboreo qual è l’ascia (869).

Può quindi avere una certa solidità l’ipotesi, fatta a suo tempo, di una certa vicinanza dell’antica lingua ligure, da un lato con il Finnico – che però, come detto, andrebbe interpretata soprattutto nel quadro di un’originaria comunità “indo-uralica” e di uno stadio “preflessivo” del Protoindoeuropeo arcaico – e dall’altro lato, secondo collegamenti che analizzeremo, con un gruppo di idiomi che ora, sorprendentemente, ci portano oltre lo stretto di Gibilterra: quelli berberi (870).

 

 

Link articolo precedente:

 

Parte 18

 

 

 

NOTE

 

828.  Marco Bulloni – Ho scoperto la vera Atlantide – Armenia – 2010 – pag. 392

 

829.  Aleksandr Dughin – Continente Russia – Edizioni all’insegna del Veltro – 1991 – pag. 38

 

830.  Jean Haudry – Gli Indoeuropei – Ar – 1999 – pagg. 149, 149

 

831.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 213

 

832.  Gabriele Costa – Le origini della lingua poetica indeuropea. Voce, coscienza, transizione neolitica – Olschki Editore – 1998 – pag. 262

 

833.  Mario Alinei – Confini dialettali, confini archeologici: verso una dialettologia interdisciplinare – in: “I confini del dialetto”. Atti del convegno Sappada/Plodn (Belluno), 5-9 luglio 2000, Unipress, 2001, pag. 2

 

834.  Xaverio Ballester – Alinei II: la sintesi emergente – in: Rivista Italiana di Dialettologia, 25, 2001, pag. 8 – http://www.academia.edu/5921369/Alinei_II_la_Sintesi_Emergente

 

835.  Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 133

 

836.  Francesco Benozzo – Etnofilologia – Continuitas.org – pag. 6 – http://www.continuitas.org/texts/benozzo_etnofilologia.pdf

 

837.  Thierry Jolif – I Druidi. Gli ultimi rappresentanti della Tradizione primordiale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2021 – pag. 134

 

838.  Bruno d’Ausser Berrau – La Scandinavia e l’Africa – Centro Studi La Runa – 1999 – pag. 25

 

839.  Bal Gangadhar Tilak – La dimora artica nei Veda – ECIG – 1986 – pag. 293

 

840.  Felice Vinci – Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica – Fratelli Palombi Editori – 1998 – pag. 388

 

841.  Gerhard Herm – Il mistero dei Celti – Garzanti – 1988 – pag. 104

 

842.  Enrico Campanile, Bernard Comrie, Calvert Watkins – Introduzione alla lingua e alla cultura degli Indoeuropei – Il Mulino – 2005 – pag. 49

 

843.  J.P.Mallory – In Search of the Indo-Europeans. Language, Archaeology and Myth – Thames and Hudson – 1992 – pag. 151

 

844.  AA.VV. – Upper Palaeolithic genomes reveal deep roots of modern Eurasians – Nature.com – 16/11/2015 – https://www.nature.com/articles/ncomms9912?fbclid=IwAR2v4vygGBGmQVsY79Rzo50gtkc4nL_cSGr9xAZ7-lt5Q8oal8hUr68HQRI#MOESM1131

 

845.  Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006 – pag. 155

 

846.  Julius Evola – Il mistero dell’Artide preistorica: Thule – in: Julius Evola, Il mistero Iperboreo. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, Quaderni di testi evoliani n. 37, Fondazione Julius Evola, 2002, pag. 32 (articolo presente anche ne “I testi del Corriere Padano”, Edizioni di Ar, 2002)

 

847.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978  pag. 31

 

848.  Romolo Staccioli – Gli Etruschi, mito e realtà – Melita Editori – 1987 – pag. 119

 

849.  Paolo Ettore Santangelo – L’origine del linguaggio – Bompiani – 1949 – pag. 263; Romolo Staccioli – Il “mistero” della lingua etrusca – Melita Editori – 1987 – pag. 72

 

850.  Nicoletta Giove – Le razze in provetta – Il Poligrafo – 2001 – pag. 136

 

851.  Mario Alinei – Etrusco: una forma arcaica di ungherese – Il Mulino – 2003

 

852. Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 387

 

853.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 86; Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pagg. 522, 635; Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pagg. 192, 214; Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 243; Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 56; Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 270

 

854.  Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 684

 

855.  Jean Haudry – L’habitat originale degli Indoeuropei in rapporto alla linguistica – in: Vie della Tradizione, n. 178-179, Gennaio/Dicembre 2020, pag. 206

 

856.  Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pagg. 122, 123

 

857.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 29

 

858.  Anna Riboldi – Al cuore dell’Europa. Una rilettura dell’opera di Marija Gimbutas – Mimesis – 2015 – pagg. 44, 91

 

859.  Janusz K. Kozlowski – Preistoria – Jaca Book – 1993 – pagg. 70, 71

 

860.  Alberto Broglio, Janusz Kozlowski – Il Paleolitico. Uomo, ambiente e culture – Jaca Book – 1987 – pag. 289

 

861.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 4 – Pag. 311

 

862. Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pagg. 50, 51

 

863. Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pag. 120

 

864.  Frank C. Hibben – L’Uomo preistorico in Europa – Feltrinelli – 1972 – pag. 73

 

865.  Romano Olivieri – Le razze europee – Alkaest – 1980 – pagg. 49, 54, 111

 

866.  Franz Weidenreich – Scimmie, giganti e uomini – Casa Editrice Renzo Cortina – 1956 – pagg. 121, 122

 

867.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pag. 24; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 219; Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978  pag. 126

 

868.  Onorato Bucci – Gli Indoeuropei: il percorso della dottrina – in: AA.VV. (a cura di Onorato Bucci), Antichi popoli europei. Dall’unità alla diversificazione, Editrice Universitaria di Roma-La Goliardica, 1993, pag. 16; Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pagg. 529, 533, 538; Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 47; Luigi Schiaparelli – Le stirpi ibero-liguri nell’occidente e nell’Italia antica – Arnaldo Forni Editore – 1989 (ristampa anastatica dell’edizione del 1880) – pag. 83

 

869.  Julius Evola – L’ipotesi iperborea – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pag. 8; Julius Evola – Simboli della Tradizione Occidentale – Arktos Oggero Editore – 1988 – pag. 53

 

870.  Paolo Ettore Santangelo – L’origine del linguaggio – Bompiani – 1949 – pag. 62

 

 

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