(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)
9 – Bianchi e Rossi a largo raggio
9.1 – Africa settentrionale e mondo camito-semitico
Nella sezione precedente avevamo segnalato l’interessante stima di circa 17.000 anni or sono come data di ipotetica separazione tra le parlate indoeuropee e quelle berbere (871) che, ricordiamo, appartengono ad una diversa famiglia linguistica, cioè l’Afroasiatico (o “camito-semitico” secondo la denominazione oggi non più utilizzata). Tale prospettiva potrebbe, in una certa misura, richiamare le teorie di Colin Renfrew, sulle quali non concordiamo ma che per il momento possiamo tenere come punto di partenza a vantaggio di alcune considerazioni che svolgeremo nel prosieguo.
Riassumiamo molto brevemente la visuale dell’archeologo britannico. Tra l’Indoeuropeo e l’Afroasiatico – ed anche l’Elamo-Dravidico – Renfrew ritiene che sussisterebbe un vero e proprio rapporto di parentela in quanto i relativi protolinguaggi si sarebbero enucleati in tre “lobi” territoriali piuttosto vicini, cioè rispettivamente in Anatolia, nel Levante e sui Monti Zagros (872), evento verificatosi più o meno in corrispondenza del passaggio da un’economia di caccia-raccolta ad una di tipo agricolo, e postulando la discendenza tutti da un’ancora precedente, e comune, lingua madre. Il contesto di tale glottogenesi, quindi, sarebbe stato geograficamente mediorientale, cronologicamente neolitico e filogeneticamente implicante una derivazione diretta di tutti questi idiomi dallo stesso substrato generativo, ovvero quel “Nostratico” che abbiamo già incontrato in precedenza. Come conseguenza di tali premesse, il ricercatore britannico aveva immaginato, per l’espansione indoeuropea e per quella afroasiatica, delle linee migratorie rispettivamente di direzione sudest => nordovest (dall’Anatolia all’Europa) ed est => ovest (dal Levante al Nordafrica).
Rispetto alle ipotesi di Renfrew, invece, la nostra idea di quello che potrebbe essere un nesso Indoeuropeo-Afroasiatico, come più avanti vedremo nel dettaglio, si differenzia praticamente su ogni punto. Ovvero, in estrema sintesi: innanzitutto nelle coordinate geografiche, che come teatro delle due etnogenesi prevede quadranti ben diversi da quello mediorientale (per gli Indoeuropei, come noto, molto più a Nord e per gli Afroasiatici molto più ad Ovest); poi per la cornice temporale interessata, a nostro avviso ben più antica di quella neolitica per entrambi i gruppi; ma anche nella dinamica formativa, che non riteniamo essere stata quella di una semplice derivazione filogenetica delle due famiglie da un progenitore comune, ma sicuramente più complessa ed articolata; il tutto, infine, implicante dei movimenti migratori di direzione radicalmente diversa da quelli ipotizzati da Renfrew, e cioè ora, essenzialmente, da nord a sud.
Ma andiamo più nel dettaglio, iniziando da quest’ultimo punto.
Significativamente, è proprio un asse nord-sud quello che viene messo in luce dalla prima “componente principale” riscontrata da Cavalli Sforza nel genoma africano, gradiente generato anche dalla presenza fin da tempi sicuramente paleolitici di popolazioni caucasoidi nel Maghreb (873) ed alla loro netta differenza molecolare rispetto alle genti subsahariane; un dato – lo diciamo di sfuggita e senza dilungarci oltre, avendovi già dedicato degli articoli specifici (874) – che comunque non ci sembra molto coerente con la teoria “Out of Africa”, nella quale si ipotizza un’uscita di Homo Sapiens dalla parte orientale del continente verso la penisola arabica e che quindi, trattandosi di un evento posto molto in profondità nella storia antropologica africana, ci sembra anomalo che non emerga in modo più evidente almeno nella prima, e più importante, componente continentale.
Ma al di là di questo, è ora soprattutto sulla presenza caucasoide nel Nordafrica che è interessante soffermarci e sul suo collegamento con le lingue afroasiatiche ivi parlate.
In effetti, è sempre Cavalli Sforza che riconduce tale presenza ad una chiara migrazione proveniente dall’Europa, probabilmente dalla penisola iberica, all’incirca 20.000 anni or sono (875): e riteniamo plausibile che questo flusso possa, parallelamente, essere collegato allo sviluppo di una primissima ramificazione linguistica di alcune parlate proto-arie in direzione proto-afroasiatica, forse esordita già nel sudovest europeo (876) attorno, appunto, a 17.000 anni fa o qualche millennio prima.
Ricordiamo infatti, come primo ed essenziale punto, che in quella fase il Protoindoeuropeo era un idioma dalle caratteristiche molto diverse dalle linee che si consolideranno successivamente; inoltre, su questo magma linguistico ancora piuttosto “plastico”, potrebbero aver agito in modo pronunciato anche sporadici fenomeni di ibridazione (877) che proprio durante il Solutreano è probabile si siano verificati, soprattutto nelle ridotte enclave del sudovest europeo, con le parlate delle preesistenti popolazioni di ceppo dene-caucasico, da cui alcune somiglianze con il Basco che, come vedremo, sembrano essere state ereditate in particolare dal sottogruppo camitico.
Dunque, un quadro ben diverso da quello della comune derivazione filogenetica dell’Indoeuropeo e dell’Afroasiatico da un precedente Nostratico, ed anche molto distante – di direzione praticamente opposta – da quello proposto da Bernard Sergent (peraltro minoritario nel mondo accademico), che invece interpreta “fusionalmente” l’Indoeuropeo come la sintesi finale tra una diramazione originatasi dal camito-semitico ed un ambiente uralico nel quale questa andò a stanziarsi (878): nella nostra ipotesi invece avremmo, al contrario, un nucleo di partenza proto-indoeuropeo molto arcaico, ancora in corso di differenziazione rispetto al precedente momento “indo-uralico” unitario, che, dopo la sua migrazione dall’estremo nordest europeo, nel sudovest sarebbe venuto sensibilmente ad alterarsi attraverso il contatto con idiomi simili all’odierno Basco. Una fase che, lo diciamo fin d’ora, avrà un suo seguito indipendente soprattutto in età magdaleniana, quando riprenderemo il filo degli accadimenti europei dopo questa deviazione in “Africa ed oltre”: in effetti, in una trattazione di così ampia scala non è agevole affrontare in modo perfettamente consecutivo tutti gli eventi, vista la loro contemporaneità nelle varie aree del pianeta, e dunque abbiamo scelto di “uscire” dal nostro continente in corrispondenza del Solutreano e di fare una piccola fuga in avanti, ripromettendoci però di ritornarvi e riprendere il discorso da dove lo abbiamo lasciato.
Ora quindi ci troviamo in corrispondenza di questo tronco linguistico, parzialmente ibridato, che però riteniamo non conteneva ancora tutte le peculiarità distintive dell’Afroasiatico pienamente differenziato. Per arrivare a quel risultato, è probabile siano entrati in gioco due ulteriori, e non secondari, fattori: il primo, più intuitivo, può essere dipeso dal distacco geografico che, nell’attraversamento del Mediterraneo, deve aver condotto questo raggruppamento a seguire una “deriva” indipendente, allontanandosi già per via endogena da quello europeo di provenienza. Il secondo, come vedremo, a nostro avviso può aver visto tale “deriva” notevolmente accentuata anche dall’incontro, forse in alcune aree afro-atlantiche al tempo ancora emerse, con substrati linguistici locali che dovettero ulteriormente modificare questo “proto-afroasiatico” embrionale fino a fargli assumere le caratteristiche più recentemente attestate.
Approfondiamo meglio i vari punti accennati.
Iniziando dai rapporti dell’Afroasiatico con il Basco, possiamo ricordare che alcuni studiosi hanno evidenziato alcune similitudini tra i due gruppi linguistici: su tale punto si era espresso il nostro Alfredo Trombetti, soprattutto in relazione al ramo camitico (879) e più di recente il francese Jacques Allières (880), anche se probabilmente il Basco denota delle affinità ancora maggiori soprattutto verso l’est e l’Asia (881) perché fondate su un’effettiva, ancorchè lontanissima, parentela genetica nel contesto del marcophylum “dene-caucasico” già incontrato. In ogni caso è evidente che si tratta di teorizzazioni molto ardite e non conclusive, ben lontane dal poter raccogliere un largo consenso nella linguistica accademica. Tuttavia riteniamo che il peso specifico di queste ipotesi possa acquisire maggior consistenza alla luce delle citate considerazioni, sul piano genetico, di Cavalli Sforza, ma anche da osservazioni di carattere più eminentemente archeologico e razziale.
Infatti, dal punto di vista archeologico, vi è un evento molto preciso che potrebbe rappresentare la traccia materiale di questa migrazione spintasi dall’Europa verso il Nordafrica, e cioè l’arrivo della cultura iberomaurusiana.
Iniziato 20-22.000 anni fa (882) tale flusso probabilmente ripopolò il settentrione africano, il cui entroterra sembrerebbe essere stato disabitato nei 20.000 anni precedenti (883), e si estese nell’ampia fascia che corre dalla Tunisia al Marocco; dal punto di vista razziale, il tipo umano collegato a tale cultura è denominato sinteticamente “Mechta-Afalou”, rinvenuto soprattutto nei siti algerini di Mechta-el-Arbi e di Afalou-bou-Rummel e le cui caratteristiche morfologiche sono state accostate alla linea cromagnoide da un nutrito gruppo di ricercatori (884), ulteriore forte indicatore della provenienza europea di tali popolazioni. Idea che rimane valida anche per quei reperti nordafricani la cui morfologia sembrerebbe invece più vicina ad un altro tipo umano, comunque non meno europeo, e cioè quello tedesco di Oberkassel risalente al Magdaleniano (885). Su quest’ultimo reperto, in verità, non è ancora chiaro se debba essere considerato una semplice variante, più gracile, del Cro-Magnon (886), o se derivi da un incrocio tra questo ed un altro tipo, che vedremo più avanti, cioè il Chancelade (887); l’aspetto comunque particolarmente interessante è che, da alcuni paleoantropologi, la morfologia di Chancelade e Oberkassel è stata accostata addirittura a quella eschimoide (888) o comunque considerata relativa ad un filone “artico”, come ad esempio riteneva Giuseppe Sergi, e ciò anche a prescindere dal riconoscimento in essi di tratti mongoloidi, che peraltro Biasutti non condivide affatto, inquadrandoli invece in un ambito decisamente caucasoide (889).
Dunque sulla provenienza settentrionale degli Iberomaurusiani del Maghreb non sembrano esservi molti dubbi, anche se non tutti concordano sul percorso iberico e sulla rotta di Gibilterra: Ferembach, ad esempio, ipotizza una loro provenienza dall’Italia approfittando di una regressione marina con l’attraversamento dell’allora ridotto Stretto di Sicilia (890), e forse questo quadro potrebbe sposarsi meglio con la summenzionata teoria di una certa affinità del Berbero con il Ligure e quella, probabilmente più fantasiosa, che accosta lessicalmente i nomi dei Camiti e dei Camuni (891). Ma non è comunque detto che un’ipotesi debba necessariamente escludere l’altra.
In ogni caso, questa migrazione da nord avrebbe originato tutte quelle popolazioni nordafricane – dai Berberi ai Cabili ed ai Guanci delle Canarie (892), ma anche i Libici, gli Egiziani e forse gli Etiopici (893) – dalle caratteristiche non solo chiaramente europoidi, ma che anche, in buona parte, presentano un fenotipo significativamente depigmentato, tanto da far concludere a Renato Biasutti che nell’Africa settentrionale l’antico apporto nordico “dovette essere imponente” (894) e da spingere Houston Stewart Chamberlain addirittura ad inserire i Berberi nel grande ciclo ariano (895).
E’ in particolare la presenza del biondismo nel Maghreb che autorizza ad ipotizzare l’arrivo di una corrente migratoria di provenienza settentrionale (896) la cui grande arcaicità – cioè non risalente solo al recente ingresso dei Vandali nella tarda antichità – pare confermata dalle pitture rupestri sui famosi Libici biondi (897) o dai racconti dei Cabili algerini, secondo i quali un tempo vi era una civiltà preistorica di cacciatori biondi e dagli occhi azzurri (898). Tratti che, come detto, sarebbero giunti fino all’arcipelago delle Canarie come ampiamente testimoniato dai fenotipi delle popolazioni autoctone, i Guanci, che sembra fossero contraddistinti da una statura particolarmente alta, scarsa pigmentazione cutanea, occhi chiari e capelli biondi (899) o anche rossi (900). L’attribuzione dei Guanci al ceppo cromagnoide pare piuttosto sicura, tanto da indurre vari antropologi a segnalare nelle Canarie, ancora più specificatamente, la presenza della razza falica (901). Senonchè, da diverso tempo è stato osservato che tra i Guanci risultava anche attestata una notevole proporzione di individui brachicefali/brachimorfi (902) che spinse Biasutti ad ipotizzare una penetrazione in loco addirittura della razza alpina (903): il che, azzardiamo un collegamento, potrebbe agganciarsi a quanto si era detto in merito alle prime tracce di brachitipia sorte già durante il Solutreano europeo, riscontrate tra Lapponi e Liguri ed, in qualche modo, forse connesse alla linea più gracile rappresentata dai tipi Chancelade e Oberkassel.
Ma questa corrente euro-nordica giunta nell’Africa settentrionale, oltre a porre tra sé e i “parenti” lasciati sull’altra sponda del Mediterraneo un’oggettiva barriera geografica, forse nelle zone più costiere/occidentali del Maghreb dovette anche essere particolarmente influenzata, come anticipato, da un substrato autoctono: è probabile si trattò delle antiche popolazioni sudatlantiche segnalate da Herman Wirth, cioè quelle che avevano popolato le aree groenlandesi nel Treta Yuga ma iniziando ad abbandonarle già in tempi aurignaziani per stanziarsi nelle Americhe e, ancora successivamente, nella Mô-uru (Atlantide) oceanica. In quest’ottica, notevole interesse riveste ad esempio la forte somiglianza mostrata dall’etnonimo dei Ma-uri (relativi all’odierna Mauritania), connessi proprio a quell’influenza di carattere occidentale che traspare anche nella lunga serie di reperti rinvenuti nel Sahara – in particolare nei graffiti rupestri analizzati da Leo Frobenius – i quali, coerentemente con le linee wirthiane, evidenziano una sensibile vicinanza stilistica con le pitture del magdaleniano franco-cantabrico (904), fenomeno “ario-atlantico” alquanto composito e del quale diremo più avanti; o anche negli elementi culturali richiamanti gli onnipresenti temi della Madre e delle Acque.
Probabilmente questa, pur comune, stratificazione sudatlantica estesasi su entrambe le sponde del Mediterraneo (ricordiamo le precedenti note sull’influenza occidentale correlata all’espansione del Gravettiano europeo) dovette però, nel tempo, generare esiti diversi e pesare in maniera piuttosto dissimile sul risultato finale. Nell’attuale popolazione europea, infatti, l’influsso nordico alla fine prevalse nettamente (905) e non solo a causa dell’oggettiva compattezza del nostro “piccolo” continente e del relativo isolamento garantito soprattutto sul versante meridionale; ma anche perché, in quest’ambito già geograficamente circoscritto, nell’arco di 15-20.000 anni vennero a sovrapporsi diverse “spazzate” ario/giapetiche – una prima, già vista, “ario-uralica”; una seconda (come si sarà intuito, e che vedremo presto, “ario-atlantica”); infine una terza “ario-europea” o “indoeuropea in senso stretto” (costituirà la parte finale di questo scritto) – che consolideranno ogni volta di più gli architravi profondi delle nostre genti e del nostro sangue, portando infine l’Europa ad essere il continente, oltre che linguisticamente e razzialmente, anche genotipicamente più omogeneo del pianeta (906). Dunque con una sua ben precisa identità umana, molto più definita, armonica e lineare di qualsiasi altro angolo del mondo. Nel Nordafrica, invece, queste remote correnti nordiche verranno col tempo a diluirsi – senza esser mai più rivivificate da altri, analoghi e massicci, apporti successivi – in un contesto dove l’influenza sudatlantica rimarrà infine prevalente: tanto da incidere, a nostro avviso, in maniera determinante sulla genesi di quelle specificità linguistiche camito-semitiche che, come ipotizzato da Theo Vennemann (907), probabilmente si consolideranno proprio in quest’area.
Ecco perché, nel generale ambito dell’attuale popolazione caucasoide, oggi l’eredità atlantidea sembra maggiormente riconoscibile tra i popoli semitici (908), tanto da indurre Ignatius Donnelly ad ipotizzarne l’origine proprio in terra di Atlantide (909), da dove peraltro riteneva fossero giunti anche gli Indoeuropei (ma per i quali invece, com’è ormai chiaro, noi preferiamo guardare all’area nordico-uralica, tenendo quindi nettamente separati i due alvei formativi). Sensibili influenze oceaniche nel mondo semitico vengono sottolineate anche dallo stesso Wirth, ad esempio a livello linguistico-culturale nelle radici profonde dell’alfabeto fenicio e nell’interessante etnonimo che, anche qui, avvicina alla Mô-uru atlantica i mediorientali Amorrei, come modifica dal precedente nome “Am-uri”. Sotto il profilo mitico-tradizionale, invece, ricordiamo il significativo collegamento che René Guénon segnala fra tradizione ebraica ed atlantidea per il tramite di quella egizia (910), e che, tra l’altro, potrebbe trovare una certa conferma nella valenza positiva attribuita, in alcune concezioni rabbiniche, alla figura di Atlante ed alla sua funzione di reggitore planetario: ovvero, un paziente “pio” che sostiene il mondo per mezzo delle sue virtù morali (911) più che un Nume espiante una precedente colpa (la sconfitta nella già menzionata “Titanomachia”).
Ci sembra inoltre di grande interesse il fatto che il tema tradizionale di un’espansione camito-semitica da ovest a est, cioè verso il Vicino Oriente – e non, all’opposto, una genesi arabico-levantina con successivo movimento verso il Nordafrica, come ritiene Renfrew – sia stato sostenuto anche da autori dal retroterra molto diverso, come Oswald Spengler (912) e vari linguisti di inizio ‘900 (913); ma anche, significativamente, da specialisti in tempi meno lontani, ovvero il già menzionato Joseph Greenberg (914) e Christopher Ehret, il quale, sulla base della logica osservazione che vede in Africa ben cinque dei sei rami principali nei quali si divide la famiglia afroasiatica (che, lo ricordiamo di nuovo, è la ridenominazione recente di “camito-semitico”), reputa quest’area la migliore candidata per la localizzazione della relativa Urheimat originaria e dalla quale solo in un secondo momento, forse 9.000 anni fa, sarebbe uscito il sotto-ramo semitico diretto verso il Medio Oriente (915). Una conferma di ciò verrebbe anche dal fatto che i termini legati alla coltivazione delle piante non appartengono al patrimonio lessicale afroasiatico comune, rendendo quindi problematico sostenere che siano stati diffusi dai primi agricoltori in un ipotetico movimento demico da est (il “lobo” del Levante proposto da Renfrew) verso ovest; appare invece molto più probabile che questi si siano originati in contesti locali e separati, pur su un fondo linguistico comunque già sufficientemente uniforme e preesistente (916).
Link articolo precedente:
NOTE
871. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 196
872. Colin Renfrew – Le origini delle lingue indoeuropee – in: Le Scienze, Dicembre 1989, pagg. 105, 106
873. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 355
874. Michele Ruzzai – Africa: un “Melting Pot” ante litteram – Ereticamente.net – 24/12/2020 – https://www.ereticamente.net/2020/12/africa-un-melting-pot-ante-litteram-michele-ruzzai.html; Michele Ruzzai – Michele Ruzzai – Considerazioni su “Ma davvero veniamo dall’Africa?” di Fabio Calabrese, 1° e 2° parte – Ereticamente.net – Luglio 2022 – https://www.ereticamente.net/2022/07/considerazioni-su-ma-davvero-veniamo-dallafrica-di-fabio-calabrese-prima-parte-a-cura-di-michele-ruzzai.html – https://www.ereticamente.net/2022/07/considerazioni-su-ma-davvero-veniamo-dallafrica-di-fabio-calabrese-2parte-a-cura-di-michele-ruzzai.html; Michele Ruzzai – “Madre Africa”? – Ereticamente.net – 01/05/2014 – https://www.ereticamente.net/2014/05/madre-africa.html
875. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pagg. 354, 362
876. Mario Mameli Carzedda – Paleuropeo ed Estremo Oriente – Edizioni Simple – 2014 – pag. 74; Oswald Spengler – Albori della storia mondiale – Ar – 1999 – vol. 1 – pag. 172
877. Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti – Introduzione. Genesi delle identità europee – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici. Mondadori, 2001, pag. XXXI; Colin Renfrew – Origini indoeuropee: verso una sintesi – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici. Mondadori, 2001, pag. 121
878. Bernard Sergent – Gli Indoeuropei prima dell’avvento dei Kurgan – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 260
879. Alfredo Trombetti – Le origini della lingua basca – Arnaldo Forni Editore – 1966 – pagg. 151, 156
880. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 495
881. Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pag. 140
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883. Richard G. Klein – Il cammino dell’Uomo. Antropologia culturale e biologica – Zanichelli – 1995 – pag. 240
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891. Paolo Ettore Santangelo – L’origine del linguaggio – Bompiani – 1949 – pag. 119
892. Renato Del Ponte – I Liguri. Etnogenesi di un popolo – ECIG – 1999 – pag. 57
893. Georg Glowatzki – Le razze umane. Origine e diffusione – Editrice La Scuola – 1977 – pag. 69
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895. Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 87
896. Hans F.K. Gunther – Tipologia razziale dell’Europa – Edizioni Ghénos – 2003 – pag. 111
897. Nicoletta Giove – Le razze in provetta – Il Poligrafo – 2001 – pag. 136; Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pag. 200; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 227; Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pagg. 47, 142
898. Leo Frobenius – Storia delle civiltà africane – Bollati Boringhieri – 1991 – pag. 119
899. Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pag. 101; Vinigi L. Grottanelli – Ethnologica. L’Uomo e la civiltà – Edizioni Labor – 1966 – pag. 101; Heather Pringle – Il piano occulto. La setta segreta delle SS e la ricerca della razza ariana – Lindau – 2007 – pag. 213; Gabriele Zaffiri – Alla ricerca della mitica Thule – Editrice La Gaia Scienza – 2006 – pag. 34
900. Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 227
901. Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 116; Federico Filiè – La rivista “Germanien” organo ufficiale dell’Ahnenerbe 1935-1943 – Mursia – 2019 – pag. 74; Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pagg. 47, 117
902. Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 115
903. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 3 – pagg. 129, 130
904. Nuccio D’Anna – A proposito del rapporto Julius Evola–Hermann Wirth – in: Vie della Tradizione n. 140, Ottobre/Dicembre 2005, pag. 163, nota 9
905. Bruno d’Ausser Berrau – La Scandinavia e l’Africa – Centro Studi La Runa – 1999 – pag. 12
906. Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 49
907. Alberto Lombardo – La civiltà e la lingua degli avi – Centro Studi La Runa – 1/1/2011 – http://www.centrostudilaruna.it/sprachekultur.html
908. Bruno D’Ausser Berrau – De Verbo Mirifico. Il Nome e la Storia – pag. 15 – https://fdocumenti.com/download/de-verbo-mirifico-il-nome-e-la-storia-prf-u-viewlapproccio-al-problema-partendo
909. Charles Berlitz – Il mistero dell’Atlantide – Sperling Paperback – 1991 – pag. 13; Davide Bigalli – Il mito della terra perduta. Da Atlantide a Thule – Bevivino Editore – 2010 – pag. 172
910. René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987 – pag. 40
911. Vittorino Grossi – Lineamenti di antropologia patristica – Borla – 1983 – pag. 19
912. Oswald Spengler – Albori della storia mondiale – Ar – 1999 – vol. 1 – pag. 172
913. Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pagg. 300, 301, 682
914. Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 239
915. Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006 – pagg. 277, 278
916. Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pagg. 302-304