L’ideologia “risvegliata” (woke), con la sua neolingua “inclusiva”, non sessista, antirazzista, rispettosa di ogni minoranza (chi più ne ha, più ne metta) è un manicomio a cielo aperto. Non si può giudicare altrimenti la guerra delle parole e dei significati, un formidabile assalto cognitivo che non risparmia alcun ambito dell’esistenza. In particolare, è attaccata con violenza la sfera sessuale: il capovolgimento antropologico parte da lì per decostruire la creatura umana nei suoi fondamenti.
L’ attacco proviene dal mondo anglosassone, ossia dal centro dell’impero global capitalista; è quindi un’operazione di ingegneria sociale voluta, gestita, finanziata dall’alto. Un esempio devastante è la definizione di donna del dizionario dell’Università di Cambridge, un’istituzione di punta della cultura anglofona. La donna, secondo il sinedrio inglese, è “un essere umano adulto che si percepisce tale indipendentemente dal genere rilevato alla nascita”. Non ci dilunghiamo sulla manipolazione delle parole “percezione” o “genere”: il terremoto antropologico è evidente.
Il manicomio ha le porte spalancate e avvelena la società. Poche le speranze di una reazione dell’ obitorio Occidente, trasformato in una Babele in cui ciascuno parla una lingua diversa, ignota a tutti gli altri. Una fine ingloriosa – ormai imminente – per una civiltà che ha improntato la storia umana. Gli esempi fanno rabbrividire, anzi no: l’indifferenza narcotica è la norma nel presente impazzito votato al suicidio. In Gran Bretagna il latte materno è definito dal servizio sanitario nazionale “latte umano”, per non offendere le persone transgenere. Il parto vaginale ha lasciato il posto al “parto frontale”. Negli opuscoli sanitari ufficiali il termine donne è stato sostituito da “persone che sanguinano”: un disprezzo mostruoso per la mestruazione, il ciclo della fecondità.
Ultimamente, il governo – formalmente conservatore – ha messo un minimo d’ordine e il primo ministro, l’indiano Rishi Sunak, ha dovuto ribadire che “l’uomo è uomo e la donna è donna” e che i britannici “non dovrebbero credere che le persone possano avere qualsiasi sesso vogliano”. In una società non del tutto conquistata dalla follia il fatto che un responsabile politico abbia dovuto ripetere concetti tanto scontati dovrebbe destare il massimo allarme. Se non è così, è segno che è stato superato il punto di non ritorno. Il ministro dell’Interno, a sua volta, ha affermato che “le persone trans non devono accedere a padiglioni ospedalieri femminili né “in spazi sicuri relativi alle donne biologiche”. Da un lato, il senso comune, dall’altro l’omaggio alla neolingua woke : “spazi sicuri”, “donne biologiche”.
Quanto meno, il governo ha ristabilito espressioni “naturali” come latte materno, cancellato l’assurdo “secondo genitore biologico“ (il padre) e l’incredibile “buco od orifizio supplementare” per indicare la vagina. Proprio così: bonus hole, buco extra. Chi inventa espressioni siffatte è animato da furore nichilista e da un odio anti femminile che lascia senza fiato, frutto avvelenato di un forsennato radicalismo gay maschile che dovrebbe sconvolgere anche gli omosessuali di buon senso.
La sanità pubblica di Sua Maestà continua a proporre alle persone LGBT+ che vogliono diventare genitori interventi chirurgici invasivi per poter “allattare se sei trans o non binario”, senza mai menzionare la parola seno. Le istituzioni assicurano – dinanzi alle proteste – che l’uso di “frasi di inclusione di genere fanno parte di una campagna tesa a sradicare la transfobia dominante”. Grottesco oltreché falso; non serve commento, nemmeno per il grottesco “persone incinte” anziché donne. Poiché la madre dei cretini è sempre incinta (oops, il genitore uno delle persone intellettualmente poco dotate è una persona continuamente in gravidanza) qualcuno ha inventato l’espressione più stupida mai ascoltata: buco supplementare , buco extra (???) anziché vagina. Sempre per non offendere gli “uomini trans o non binari” e senza chiarire perché l’organo femminile sarebbe qualcosa di ulteriore, una cavità non naturale. Per una volta la pazzia ha suscitato la giusta reazione delle femministe che hanno compreso la violenta misoginia e la disumanizzazione del nuovo lessico. Ne dà conto un importante intervento apparso sul Daily Telegraph, a firma di Hannah Betts, scrittrice femminista.
La riflessione, ospitata su un organo di enorme diffusione – ripresa da siti e pubblicazioni femministe – è coraggiosa. “Il linguaggio woke vuole essere inclusivo a spese delle donne, che devono letteralmente scomparire: gravidanza, allattamento, organi sessuali femminili non possono più essere nominati per non offendere le ultraminoranze trans e non binarie.” Assolutamente vero. Errata è la proposizione successiva: “è l’ultima ridicolaggine del morente patriarcato costruito fin dall’inizio sull’emarginazione e sulla cancellazione del femminile. “
Non è così: gli uomini “normali” – che l’autrice chiama patriarcato – non odiano l’universo femminile e non hanno intenzione di nascondere , relativizzare o cancellare lo specifico delle donne. Una femminista storica ora scomparsa, Ida Magli, antropologa, parlò addirittura di “invidia della vagina” da parte maschile per indicare l’ammirata meraviglia degli uomini dinanzi al potere femminile di dare e custodire la vita. La verità, difficile da dire per l’enormità dell’interdetto che la vieta, è che l’avversione contro l’universo femminile è prerogativa di alcuni attivisti maschi – non solo omosessuali – i cui dettami ideologici sono l’odio per la natura, l’orrore per la maternità e il mistero meraviglioso della genesi, nascita e amorosa cura dei nuovi membri della società, simbolo della fertilità, dell’apertura alla vita opposta alla sterilità, al vicolo cieco esistenziale di forme di sessualità da cui è esclusa programmaticamente la trasmissione della vita.
Costoro, per abiezione del femminile in nome del sesso unico, possono arrivare a definire orifizio addizionale, foro extra la vagina. Il “lavoro incessante per cancellare le donne dal linguaggio e dal simbolico” , non è l’ultima carta del patriarcato sconfitto, ma il programma della sterilità, della transessualità e dell’ermafroditismo che capovolge la natura. I padroni del mondo hanno distrutto l’uomo, padre, marito, protettore della famiglia; la missione è compiuta, a beneficio di un elemento maschile debole, malaticcio, devirilizzato, pauroso di sé. Ora decostruiscono la donna, con uguale scopo: destrutturare l’intera umanità, ridurla a un gregge animalizzato guidato dalle pulsioni più basse, facile da dominare. La destabilizzazione dell’identità sessuale è l’arma definitiva, la droga simile al soma, il farmaco euforizzante distribuito obbligatoriamente a tutti nel romanzo Il mondo nuovo di Aldous Huxley.
Una guida inglese pensata per rivolgersi agli uomini trans e alle persone non binarie propone altre locuzioni alternative all’odiata parola vagina, “il cui utilizzo può portare qualcuno a sentirsi ferito o angosciato”: foro extra o foro anteriore. Sempre hole, buco, ovvero mancanza: un’ espressione orribile, carica di disprezzo.
La donna che critica la neolingua nell’ambito dell’identità sessuale riceve uno stigma nuovo fiammante: è una TERF (trans-femminista radicale escludente). La Banca d’Inghilterra sostituirà il termine madre con “genitore biologico” nella corrispondenza interna. Le donne diventano “persone che hanno le mestruazioni”; se in gravidanza, “persone incinte” . Dal 2018 il servizio anticancro britannico esorta “chiunque abbia una cervice” (dell’utero, altro innominato N. d. R.) a sottoporsi ad analisi. Nel 2021 la rivista Lancet pubblicò una copertina in cui le donne venivano descritte come “corpi con vagine”, salvo scusarsi a posteriori.
Il mese scorso ha destato scalpore un glossario online di termini LGBTQ “corretti” apparso sul sito della Johns Hopkins University in cui ci si riferiva alle lesbiche come a “non uomini attratti dai non uomini”, invece di donna omosessuale. Il glossario non era ancora ufficiale, così la definizione è stata cassata dopo l’indignazione di una lettrice risentita per essere stata definita “non-uomo”. La scrittrice J.K. Rowling, madre letteraria di Harry Potter, nota: “uomo non ha bisogno di definizione. Non uomo (precedentemente noto come donna): un essere definibile solo con riferimento al maschio. Un’assenza, un vuoto dove non c’è virilità”.
Deborah Cameron, professoressa di Linguaggio e Comunicazione all’Università di Oxford, sottolinea che questo tipo di linguaggio definisce per difetto, in negativo, per ciò che le persone non sono. Polemicamente, sostiene che è solo il termine donna ad essere al centro dell’ansia neolinguistica, mentre “uomo“ non è problematico. Il punto, tuttavia, è un altro: il maschio eterosessuale è già stato decostruito, distrutto, esposto al ludibrio, obbligato all’ autoflagellazione, sino a farlo sentire un essere malvagio, strutturalmente violento, nemico dell’altro sesso. Maschilista è un insulto bruciante, femminista è una qualità, obbligata anche per gli uomini. Ora è la donna – specie se eterosessuale, aperta alla vita e alla maternità – ad essere nel mirino.
Molte teoriche femministe sono omosessuali animate dal medesimo rancore verso l’altro sesso che muove certi esibizionisti da gay pride nei confronti delle donne cui vogliono somigliare. Sorge un vittimismo malato che porta a domandarsi perché non ci si rivolga agli uomini come inseminatori o persone con la prostata. Il dibattito, come si vede, è di livello imbarazzante e non coglie – per contiguità ideologica o pregiudizio – il nucleo del problema. Non sono “gli uomini“ a disprezzare la donna, ma alcuni uomini che hanno in odio il dimorfismo sessuale, l’incontro fecondo con l’altro sesso, in definitiva la natura, che negano per affermare non la liceità, ma la superiorità delle loro pulsioni. L’ omosessualismo militante è soprattutto maschile.
Le polemiche assomigliano al dibattito sul sesso degli angeli che impegnava pallidi teologi mentre Bisanzio era espugnata dai turchi. Il sessismo linguistico è sistematico, afferma la galassia woke. Qualcuno lamenta che “presupposti maschili predefiniti” sono radicati nella grammatica di molte lingue, come l’abitudine “di riferirsi a un ipotetico artista o scienziato come ‘lui’, o il fatto che in francese un gruppo di mille donne e un uomo continuano a ricevere il pronome maschile plurale ‘ils‘”. Dannata grammatica da correggere, come la circostanza che il termine “puttana” (ci scusino i lettori) non abbia un equivalente maschile, benché il linguaggio inclusivo preferisca ora il neutrale anglo “escort” (scorta, accompagnatore/trice).
Ciò che sconforta è che in un mondo nel quale è attaccata la libertà di pensiero e di parola, dove povertà e ingiustizia investono masse crescenti, in cui esprimere giudizi è “discriminazione” e contrastare idee che non si approvano è “discorso di odio”, una parte influentissima del mondo culturale (se il termine cultura ha ancora un senso) si attardi a discutere di come denominare parti del corpo, attitudini sessuali e addirittura i due sessi, che sono diventati generi, venti o trentatré secondo preferenza.
E’ follia, degenerazione parlare di buco, orifizio supplementare” per riferirsi alla vagina, un segnale di odio contro la natura che può condurre solo alla rapida fine per estinzione. Lo è altrettanto distruggere il concetto di natura, di normalità, irridere le pulsioni e i principi biologici che riproducono la specie, per mettere sul trono il bizzarro, il capriccioso, il canone inverso he contraddice millenni di natura e civiltà. Vince Mefistofele, “lo spirito che sempre nega”, che offre tutto, scienza, salute, sesso, felicità in cambio dell’anima di Faust. Un ottimo affare, pensa l’umano contemporaneo, poiché l’anima non esiste. Torna la verità paradossale di una vecchia vignetta satirica, all’epoca trasgressiva. Dietro le inferriate di un edificio con la scritta manicomio, un internato chiede a un passante al di là del cancello: come si sta, “là dentro”? Molto male, grazie.
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