Non posso ricordare in questa modesta rassegna tutte quelle che furono le Forze Armate della RSI, dimenticherei molti dei reparti che si ricostituirono dopo l’armistizio sotto la bandiera repubblicana e tralascerei tanti episodi di soldati che si coprirono di onore, come la Divisione Monterosa che unitamente alla Littorio e ai Tedeschi, salvò i nostri confini sul fronte occidentale dal tentativo delle truppe francesi di invadere il Piemonte e il loro Comandante Colonnello Carloni che combattè fino all’ultimo giorno, il 29 aprile 1945, quando si arrese alle truppe del Corpo di spedizione brasiliano e ottenne di sfilare alla testa dei suoi con l’onore delle armi.
O ancora l’alto esempio di fedeltà, di disciplina e coraggio del colonnello Ermacora Zuliani che a Udine diede vita all’ 8° Reggimento Alpini “Tagliamento”. Nato a Magnano Riviera, dopo l’armistizio del 1943, scelse di tornare nel suo Friuli per difenderlo dall’invasione dei partigiani sloveni. Un eroe, un Ardito combattente e reduce della prima guerra mondiale, fascista della prima ora, aveva partecipato come volontario alla guerra di Spagna, poi alla campagna di Russia e si battè coraggiosamente fino alla fine del conflitto. Dopo la guerra, a causa della sua scelta, scontò il carcere da dove uscì soltanto nel 1946 e, mentre i traditori salivano le gerarchie della carriera militare, lui per vivere svolse un modesto lavoro di rappresentante di commercio.
Insomma impossibile riuscire a parlare di tutti, delle Milizie, delle forze navali e di quelle aeree, un accenno farò ad alcuni reparti la cui storia ha maggiormente colpito la mia attenzione, fin da quando, ancora ragazza, mi avvicinai ai personaggi che resero unico l’esercito Repubblicano e di cui tutti gli Italiani dovrebbero andare fieri.
Fra questi Adriano Visconti di Lampugnano, nato a Tripoli nel 1915 da una famiglia di origini aristocratiche, divenne pilota militare, si dimostrò provetto e coraggioso, passando efficacemente dalle missioni di scorta a quelle di interdizione e, partecipando a numerose operazioni nel teatro mediterraneo, guadagnò onori e medaglie durante la guerra. l’Asso dell’aviazione scelse, dopo l’8 settembre, di passare all’Aeronautica Nazionale Repubblicana dove assunse il comando della I squadriglia Asso di Bastoni.
Alla tragica conclusione della sua carriera aveva raggiunto il totale di 591 missioni in 1400 ore di attività in guerra, 72 scontri con 26 abbattimenti di aerei nemici, due promozioni per merito, due Medaglie di Bronzo e sei d’argento al Valor Militare, e le Croci di Ferro di prima e seconda classe.
Combattente coraggioso ebbe il suo ultimo scontro aereo il 14 marzo del 1945, durante il quale era stato anche abbattuto, ma non si era dato per vinto e cercò per tutto il mese successivo di trovare il carburante, che scarseggiava, per tentare di tornare ancora in volo. Il 29 aprile del 1945, si arrese al CLN con la sua Compagnia e finì in mano dei partigiani “Chiodo”, “Ferruccio”, “Nicola” e “Iso”. Difficile individuare chi si nascondesse dietro tali nomignoli, di certo si sa che l’ultimo citato era Aldo Aniasi che divenne poi sindaco di Milano e in seguito ministro della repubblica.
Quello che avevano firmato era un accordo che garantiva l’incolumità degli ufficiali e della truppa, nonché l’impegno di essere consegnati come prigionieri alle autorità anglo americane. Il patto venne vigliaccamente tradito e, lo stesso giorno, il Comandante Visconti e il suo assistente, sottotenente Valerio Stefanini, furono prelevati dalla caserma di Via Vincenzo Monti a Milano, dove erano detenuti tutti gli ufficiali per essere sottoposti a interrogatorio, e vennero vigliaccamente uccisi con una raffica sparata alla schiena senza motivo, se non quello di punire il valore che animava questi uomini retti e coraggiosi che avevano avuto il solo torto di abbattere aerei americani e inglesi che volando sui nostri cieli distruggevano città e paesi.
La responsabilità di quell’infame gesto non fu mai chiarita: Aniasi venne incriminato come mandante dell’omicidio, ma assolto perchè il crimine era avvenuto prima dell’ 8 maggio 1945, data per cui la corte giudicante ritenne si trattasse ancora di un’operazione “legittima di guerra”. E’ grottesco, se non fosse drammatico, ritenere legittimo uccidere vigliaccamente dopo aver tradito i patti firmati, chi aveva eroicamente combattuto, ma questo serve a far comprendere in che mani finì l’Italia nel dopoguerra, gente che aveva rinnegato non solo i patti, ma prima ancora la dignità, la rispettabilità, il decoro, l’onore.
Visconti venne seppellito al cimitero di Musocco a Milano e con lui il suo ricordo, per sentirne parlare e rendergli in minima parte l’onore che gli spetta, bisognò attendere quasi settant’anni e qualche cortometraggio “Volando con Visconti” (2010) e “Aquile senza corona” (2011).
Come non ricordare anche tra coloro che combatterono per l’onore della Patria, Carlo Faggioni che, partecipando a innumerevoli azioni di guerra, aveva volato fianco a fianco col comandante Buscaglia. Subito dopo l’armistizio, si era accollato il compito di ricostituire le Unità aerosiluranti repubblicane e il 9 febbraio del 44 il gruppo giurò fedeltà alla Repubblica Sociale. Sullo sfondo gli “SM 79” e davanti schierati il personale e gli equipaggi. Quando la bandiera, già decorata con la Medaglia d’oro, fu di fronte al comandante Faggioni, egli pronunciò un discorso acceso e accorato, impugnò l’asta e sollevandola verso il cielo incitò i suoi uomini alla lotta.
Senza mai arrendersi, con tenacia e coraggio portò, con successo, gli aviatori del Gruppo aerosiluranti ”Buscaglia” all’attacco in diverse occasioni contro il naviglio degli americani nella zona di Anzio. Quando gli aerei nemici, bombardando a tappeto, gli distrussero la base di Gorizia, senza perdersi d’animo fece riparare immediatamente una pista e, organizzati i superstiti trasferì la sede a Lonate Pozzolo nel varesotto. Niente lo fece desistere, con grande rammarico aveva perso nel corso del tempo, uomini e mezzi, come in occasione dell’agguato che gli era stato teso da caccia nemici sulle colline toscane, ma mai gli erano venuti meno il coraggio e la determinazione. Non lo avevano fermato tre anni di guerra, né il tradimento perpetrato con l’armistizio, lui continuò ad alzarsi in volo e a colpire fino alla notte del 10 aprile 1944 quando, dalla missione contro navi segnalate nel mare di Nettunia dall’osservatorio di Monte Circeo, il comandante non fece ritorno.
“Allora siamo d’accordo” aveva gridato precedendo i suoi uomini “Addosso alle Panzone da carico, ma se per caso capitasse facile e sicura una nave da guerra, non risparmiatela. Una e saremo dei piccoli re.” Qualche pacca sulle spalle, uno sguardo fiero puntato dritto negli occhi di ognuno e il grido “Agli apparecchi!” poi nessuno lo vide più.
Durante l’azione, in cui furono colpite tre unità nemiche, erano partiti quattro equipaggi, ma tornò soltanto Bertuzzi.
Faggioni abbattuto, Valerio colpito cadde nei pressi di Parma durante il rientro, e il tenente Sponza, abilissimo, con tutto l’equipaggio ferito e un principio di incendio a bordo, riuscì a compiere un miracoloso ammaraggio in piena notte. Tratti in salvo da un mezzo da sbarco americano, dopo interminabili interrogatori, trasferimenti e umiliazioni, finirono tutti prigionieri al “Criminal Camp” di Hereford in Texas.
Giulio Cesare Graziani, un pilota che aveva combattuto a fianco di Faggioni per oltre due anni, e che all’epoca si trovava con l’esercito del Sud, apprese della sua morte attraverso la notizia di rinvenimento nelle acque di Anzio di un portacarte che gli apparteneva e di un berretto. Anche per tutti gli aviatori che si trovavano a combattere contro l’aviazione repubblicana, Faggioni non fu mai un nemico, era rimasto anche per loro il migliore di tutti, perchè ammiravano in lui l’ardimento, la perizia e quella innata capacità di agire per il bene dei suoi uomini senza distinzioni. Aveva soltanto 29 anni quando morì, ma una vita eroica alle spalle, troppo breve, ma piena di eventi che lo resero immortale, anche se per lui, come per tutti gli altri eroi della RSI, non c’è mai stato spazio nei libri di storia.
“Cinque Medaglie d’Argento, tre di Bronzo e una promozione per merito di guerra testimoniano il suo valore. Oltre centomila tonnellate di naviglio colpito ed affondato sono il suo pegno d’onore”.
È quello che si legge nella motivazione con cui a Carlo Faggioni, aviatore italiano, specialista degli aerosiluranti, venne conferita la Medaglia d’Oro.
Dopo la sua morte il gruppo fu guidato dal capitano Marino Marini, decorato otto volte al valore, questi aveva un caratteraccio, ma era un uomo giusto e appena assunto il comando si mise al lavoro per cercare di ricostituire il gruppo distrutto, soprattutto moralmente, dalla perdita di Faggioni e degli altri equipaggi nell’ultima sfortunata uscita. Le azioni più belle degli aerosiluranti della RSI furono compiute proprio ai suoi ordini e in memoria di Faggioni.
Il 5 giugno del 1944 Marini con una formazione di dieci aerei condusse un abilissimo ed eroico attacco di sorpresa a Gibilterra, che riscosse notevole successo e destò enorme impressione sugli Inglesi che si erano sempre sentiti sicuri al riparo della Rocca. La spedizione fruttò, senza accusare perdite, sei affondamenti e così recitava il giorno seguente un comunicato del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica:
“ Nella notte sul 5 giugno una formazione di aerosiluranti italiani, guidata dal Capitano Marino Marini, ha raggiunto, dopo lunghissima traversata,la piazzaforte di Gibilterra. Superati gli sbarramenti difensivi, si è lanciata su navi alla fonda, mettendo a segno sei siluri. Dalle prime notizie pervenute risulta che quattro piroscafi per complessive trentamila tonnellate sono stati gravemente danneggiati e che altre due unità sono state colpite.”
Finalmente, dopo il ritorno al campo, gli uomini avevano ritrovato la grinta di un tempo e liberarono la tensione accumulata col loro urlo di guerra.
Scrisse Almandino sulla rivista “Ali”:
“Un grido non molto aulico come tutti gli urlacci bellicosi che si rispettino, ma che ha una storia, o piuttosto un potere rievocativo. Viene da un intercalare caratteristico del capitano Faggioni, dal Comandante caduto tanto amato e rispettato.”
Un Comandante che era rimasto nel cuore di tutti. Il Capitano Bertuzzi, ricordando come guidandoli all’attacco si era generosamente immolato per primo contro le navi e le mitragliere, aggiunse:
”Era con noi, tornerà con noi… Questi di Gibilterra erano ancora i siluri di Faggioni…”
Subito dopo il Gruppo preparò un altro ciclo di operazioni per contrastare il nemico che nell’estate del 1944 andava via via aumentando i suoi successi sui fronti terrestri. I ricognitori tedeschi avevano segnalato un attivo movimento di navi nel porto di Bari, le informazioni elaborate presso il comando della Luftwaffe, furono trasmesse al reparto aerosilutanti che studiò i piani di attacco. Così il 5 luglio avvenne un importante raid nell’area di Bari dove furono colpiti piroscafi e navi nemiche. Quindi verso la fine dello stesso mese il gruppo spinse i suoi aerei fino alla costa cirenaica dove affondò un piroscafo e danneggiò un’altra nave. Gli aerosiluranti restarono in attività nel Mediterraneo orientale fino alla fine del conflitto, l’ultimo attacco fu quello al largo di Rimini del 5 gennaio 1945, poi anche il Gruppo conobbe l’atrocità della guerra civile.
Tre ufficiali e un aviere durante un trasferimento verso Gallarate, furono sorpresi in un’imboscata dove persero la vita il tenente pilota Lombardi e il sottotenente Salvi, mentre gli altri due il sottotenente Gulli e l’aviere Cavaliere, feriti gravemente, morirono il mattino successivo. In quei giorni oscuri, oramai prossima la fine delle ostilità, il personale sopravvissuto si riunì a Castano Primo e depose le armi.
Il comandante Marini dopo la guerra riusci a tornare a casa e al suo paese, Castel Goffredo, dove nel 1964, gli hanno intitolato il “Gruppo Aviatori”.
Termino il racconto di oggi con un episodio piuttosto singolare che accadde proprio al capitano Marini, quando era ancora agli ordini di Faggioni.
Il personale era tutto impegnato per costruire il campo di Lonate, quando videro apparire all’orizzonte un quadrimotore americano. In un primo momento pensarono a un bombardamento, poi videro che l’aereo tirava fuori il carrello e si apprestava all’atterraggio, allora Marini in testa e alcuni uomini si avvicinarono armi in pugno, pronti ad assalirlo. In realtà l’equipaggio era determinato ad arrendersi, aveva smobilitato le mitragliatrici e, aperto il portellone, l’americano che si affacciò per primo chiese candidamente “Suisse?”
“No Italy!” rispose sarcastico Marini.
Dopo un timido tentativo di reazione, alla vista della pistola del capitano italiano puntata nella loro direzione, alzarono tutti le mani e si arresero scendendo dal velivolo.
Già qualche tempo prima, nel mese di marzo, ben tredici quadrimotori americani avevano disertato atterrando in Svizzera e non c’era da sorprendersi, solo che in questo caso un errore di rotta li aveva condotti, come baccalà, fra le braccia dei nostri avieri.
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