Torniamo a parlare del cristianesimo, non che io ritenga che in questa superstizione o congerie di superstizioni possa esserci qualcosa di vero, ma ciò che s’intende con questa parola rappresenta un fenomeno storico-culturale di una certa entità. Se noi partiamo dal presupposto che vanno considerati “cristiani” non tutti coloro che sono iscritti all’anagrafe con questa etichetta appiccicata alla nascita, ma coloro che sono effettivamente credenti e/o praticanti, scopriamo che il cristianesimo non è, come spesso si dice, la religione più diffusa di questo pianeta ma appena la quarta, dopo islam, induismo e buddismo; tuttavia i cristiani superano di misura gli scintoisti e sono nettamente di più di ebrei, giainisti, sikh e scientology.
Per quanto riguarda confucianesimo e taoismo, lasciamoli fuori: la comunistizzazione della Cina non permette di sapere quale sia oggi la consistenza numerica dei seguaci delle due religioni.
Un punto che dovrebbe essere relativamente facile da capire, e pare che sia invece oggetto di incredibili confusioni da parte dei credenti, è che il problema storico se circa duemila anni fa sia effettivamente esistito un uomo chiamato Gesù Cristo e/o se costui abbia effettivamente fatto o detto perlomeno alcune delle cose che i vangeli gli attribuiscono, e il problema teologico se costui fosse effettivamente “il figlio di Dio”, un inviato dalla/una manifestazione della divinità, sono due problemi diversi.
Di solito, i cristiani, quando credono di aver dimostrato il primo punto, ritengono assodato anche il secondo, ma è veramente troppo comodo, il rapporto di implicazione delle due questioni non è così. Se fosse possibile provare da un punto di vista storico che effettivamente due millenni fa è vissuto in Palestina un uomo chiamato Gesù Cristo, questo non dimostrerebbe che quell’uomo era il figlio di Dio, “la seconda persona della trinità”, ma se è possibile dimostrare l’inattendibilità storica dei vangeli, allora la dottrina del “figlio di Dio” ne riceve un colpo mortale, poiché la veridicità di questi testi che si suppongono “ispirati da Dio”, la mancanza in essi di qualsiasi errore o contraddizione, è uno dei pilastri della dottrina che si suppone “il figlio di Dio” avrebbe insegnato agli uomini assieme alla fondazione di un’istituzione, la cosiddetta Chiesa cattolica, con il compito di propagandarla e di interpretarla.
Che i vangeli non rappresentino una fonte di informazione storica attendibile, è un fatto che la ricerca storica e filologica da almeno un secolo a questa parte ha messo bene in luce: i quattro vangeli “canonici” sono il risultato di un processo di elaborazione durato almeno un paio di secoli, di una selezione compiuta su una ben più ampia serie di testi alcuni dei quali sono arrivati fino a noi, i cosiddetti vangeli “apocrifi”, selezione non certo ispirata a rigore filologico e storico, ma fatta con criteri dottrinali e di opportunità politica contingente; e poi una serie quasi infinita di tagli, interpolazioni, alterazioni, spostamenti, “aggiustamenti”.
Nel 2007 il matematico e filosofo Piergiorgio Odifreddi pubblicò il saggio Perché non possiamo dirci cristiani e meno che mai cattolici, libro che, come non è difficile capire, mette radicalmente in discussione la dottrina del Discorso della Montagna. Fra le altre cose, Odifreddi faceva notare il fatto, del resto ben noto, che al di fuori dei vangeli non si trovano tracce di riferimenti agli avvenimenti raccontati nei vangeli stessi, tranne qualche accenno, come il famoso testimonium flavianum, un frammento attribuito allo storico Giuseppe Flavio che è con ogni probabilità un’interpolazione spuria inserita a secoli di distanza negli scritti dello storico ebreo.
Ora, argomenta Odifreddi, il primo secolo della cosiddetta Era Volgare era un’epoca altamente civile nella quale le notizie correvano e c’erano dozzine di storici. Possibile che nessuno si sia accorto che in Palestina c’era un grande taumaturgo come il Gesù raccontatoci dai vangeli, capace di camminare sulle acque, guarire i lebbrosi, resuscitare i morti? E’ di gran lunga più verosimile che non ci abbiano raccontato nulla perché non c’era nulla da raccontare, e che il Cristo dei vangeli sia pressoché per intero una figura mitologica elaborata molto dopo l’epoca degli avvenimenti narrati.
E’ molto istruttivo e fa un effetto quasi umoristico leggere la recensione che ha fatto al libro di Odifreddi sul sito della EffeDiEffe Maurizio Blondet, giornalista di impostazione cattolico-tradizionalista ed ex collaboratore de “L’avvenire”, il quotidiano della CEI.
“Per fortuna”, ci dice Blondet, Odifreddi non si è accorto che anche per quanto riguarda l’Antico Testamento “esiste un problema analogo”. Se noi andiamo a leggere quello che ci racconta la bibbia riguardo al regno d’Israele soprattutto nei periodi di maggiore potenza come il regno di Salomone, si ha l’impressione che si sia trattato quanto meno di una media potenza dell’area mediorientale. E allora, non è quanto meno strano che di ciò i vicini di Israele non si siano accorti per nulla? Noi non troviamo alcuna menzione a Israele e/o agli Ebrei in nessun testo babilonese, assiro, ittita o fenicio. Per quanto riguarda l’Egitto, poi (menzionato nella bibbia centinaia di volte) c’è solo un ambiguo riferimento di sfuggita in una stele, che potrebbe forse riferirsi a Israele o forse no. L’impressione che si ha, è che la parte “storica” della bibbia non sia altro che una raccolta di fanfaronate scritta per gratificare lo sciovinismo tribale di una popolazione che fino al tramonto dell’età antica ha avuto sulla storia del Medio Oriente (non diciamo sulla storia mondiale) un peso pressoché pari a zero.
Quello che per un credente come Blondet è “un problema”, per chi non ha lo sguardo appannato dalla “fede” è semplicemente un fatto. L’Antico e il Nuovo Testamento sono entrambi due “patacche”, due raccolte di favole senza nessun fondamento storico.
Notiamo anche quel “per fortuna” (anche se poi è proprio Blondet a far cadere il palco con la sua incauta rivelazione), che almeno a me ricorda molto il commento della moglie del vescovo anglicano Wilberforce che avendo saputo della teoria dell’evoluzione riguardo alla quale il marito si apprestava a sostenere uno storico scontro son Thomas Henry Huxley, commentò, “Speriamo che questa teoria non sia vera, o che se è vera, non diventi di dominio pubblico”.
Veridicità e dominio pubblico, e il dominio pubblico come surrogato della veridicità: vi sono dei “credenti” che sembrano soprattutto “credere nella credenza” (l’espressione è di Richard Drawkins), cioè nell’utilità sociale della religione cristiana indipendentemente dal suo contenuto di verità, e che per questo motivo è meglio non metterla in discussione. Quale migliore stabilizzatore sociale ci potrebbe essere di una fede che predica l’umiltà e la rassegnazione in cambio della promessa di un paradiso ultraterreno?
In ultima analisi, è questo il limite dell’ateismo, che non andrà mai fino in fondo, perché una visione del mondo laico-razionale è un privilegio di un ristretto circolo di intellettuali e scienziati, e la fede in Gesù Cristo un trastullo consolatorio per le masse, alle quali l’ateismo non avrebbe nulla da offrire in cambio, soprattutto oggi che l’ateismo messianico di matrice comunista sembra ormai tramontato.
Il ritorno alle religioni native d’Europa – il cosiddetto paganesimo – invece, non solo ha qualcosa da offrire, ma è ben consapevole dei guasti creati dal cristianesimo sul piano storico, sarà per questo che oggi in tutto il Vecchio Continente i movimenti pagani o neopagani stanno riprendendo piede. Dopo i movimenti pagani dell’Islanda e della Lituania, dopo il movimento ellenico che ha potuto inaugurare un nuovo tempio a Salonicco, è notizia recentissima, il druidismo è stato riconosciuto fra le religioni ufficiali della Gran Bretagna. Stiamo tornando, ma forse non ce ne eravamo mai andati!
Ma torniamo al nostro problema. Abbiamo elementi fondati per proporre delle ipotesi verosimili sull’uomo chiamato Gesù Cristo e l’origine del cristianesimo?
Sia pure con una certa cautela, si può dare una risposta affermativa.
Io mi sentirei di citare oltre a quello di Piergiorgio Odifreddi i nomi di tre “cristologi” non autorizzati (su quelli autorizzati, che riflettono il punto di vista tendenzioso della Chiesa, naturalmente, non c’è da fare alcun affidamento), tre studiosi che hanno studiato il problema indipendentemente l’uno dall’altro (forse senza nemmeno conoscersi), e sono giunti a conclusioni che sono sostanzialmente le stesse: Luigi Cascioli, David Donnini e Giancarlo Tranfo.
Il libro di Cascioli ha un titolo che è tutto un programma: La favola di Cristo; più pacatamente Donnini gli fa eco affermando che quella di Cristo è Una vicenda storica da riscoprire, e il testo di Tranfo s’intitola La corona di spine. La conclusione alla quale giungono sostanzialmente tutti e tre, è che le origini del cristianesimo si inseriscono nel solco del messianesimo ebraico, la ribellione nello stesso tempo politica e religiosa degli Ebrei contro l’occupazione romana, che non era nata con la vicenda di Cristo e proseguirà dopo di essa fino ai Maccabei e l’episodio di Masada.
La sconfitta del movimento insurrezionale e la crocifissione del suo leader (supplizio che i Romani riservavano agli schiavi e ai ribelli) portarono a una trasformazione del movimento: quello che era iniziato come movimento di liberazione della Palestina dai Romani si trasformò in movimento di (presunta) liberazione dell’uomo dal male e dalla morte, e la fine sulla croce del suo fondatore, da sconfitta del tentativo insurrezionale, diventò il sacrificio consapevole e voluto di una divinità per salvare il genere umano. Questa interpretazione spiega molte cose che altrimenti non tornerebbero, a cominciare dal fatto che i Romani, così tolleranti verso le religioni dei popoli dell’impero, perseguitarono il cristianesimo con durezza: sicuramente, questa trasformazione non avvenne in modo completo e istantaneo, e il cristianesimo mantenne a lungo i caratteri del messianesimo insurrezionale, della ribellione antiromana, e se c’era qualcuno per cui i Romani non avevano alcuna tolleranza, era verso chi si ribellava al loro dominio.
A mia opinione, lo dico subito, le cosiddette persecuzioni anticristiane dei Romani sono state molto esagerate, di solito da quegli stessi storici che evitano di menzionare in alcun modo le persecuzioni degli imperatori cristiani contro i pagani, che imperversarono per sei secoli con estrema crudeltà, fino ad aver cancellato in tutto il mondo romano le fedi degli antenati e la cultura antica, perché è inutile girarci intorno: il cristianesimo fu imposto al Mediterraneo romano e all’Europa con la violenza più brutale.
Nei particolari, le interpretazioni di Cascioli, Donnini e Tranfo differiscono, anche se il quadro di assieme emerge coerente con sorprendente chiarezza dal lavoro di tutti e tre.
Cascioli ritiene che la figura di Cristo sia stata modellata su quella dell’agitatore messianico Giovanni di Gamala. Donnini ritiene che Gesù e Cristo potrebbero essere stati addirittura due personaggi diversi. “Cristo”, che viene dal greco Christos, “il consacrato”, che è la traduzione dell’ebraico Masiah, termine che noi italianizziamo in “messia”. Sarebbe stato questi l’agitatore messianico finito crocifisso. Gesù, l’innocuo predicatore di una religione dell’amore universale, sarebbe invece stato assolto e mandato libero, ed è il personaggio che i vangeli ricordano come Barabba ( Bar-Abba, “Figlio del Padre”), solo che poi nei vangeli gli attributi e le caratteristiche dei due personaggi sarebbero stati invertiti per poter trasformare l’agitatore ebraico in redentore universale.
Io personalmente non metterei la mano sul fuoco né che Gesù Cristo fosse in realtà Giovanni di Gamala né che Cristo e Gesù fossero due persone diverse, ma il punto essenziale non è questo, il punto essenziale è che un movimento messianico antiromano è stato trasformato in una religione universale attraverso un complesso processo di falsificazione storica; complesso ma, come vedremo, non sempre estremamente abile.
A chi si debba far risalire questa trasformazione, chi sia l’uomo che si debba perciò considerare il vero inventore del cristianesimo, anche su questo punto c’è concordia fra i ricercatori “non ortodossi” e “non allineati”: Saul di Tarso, in arte San Paolo, e gli Atti degli Apostoli non nascondono troppo bene i conflitti roventi che ebbe con i sostenitori di un cristianesimo esclusivamente ebraico, ma anche questo è un punto su cui non è necessario diffondersi.
Tranfo ha dedicato la maggiore attenzione soprattutto al processo di trasformazione della figura del rivoluzionario ebraico in quella del redentore universale “figlio di Dio”. Questo processo è stato definito da Tranfo “sincresi”; ossia, sull’originale nucleo ebraico è stata appiccicata in un processo sincretistico, tutta una serie di elementi mitologici provenienti da tutte le tradizioni soteriologiche (di religioni inerenti la salvezza) dell’ecumene euro-mediterraneo, una “sincresi”, precisa l’autore, “di infiniti archetipi”.
Ne possiamo vedere qualcuno: il concepimento virginale, la nascita in una grotta il 25 dicembre, sono tratti di peso dalla biografia del dio di origine persiana Mithra. L’idea del dio che muore e poi risorge è tratta dalla mitologia egizia, è la storia di Osiride. Il dio che offre ai fedeli il suo corpo da mangiare per poter rinascere, è il mito di Dioniso-Orfeo nell’orfismo, e così via.
Notiamo, ad esempio, che il 25 dicembre, la data che noi conosciamo come natale, ha sempre avuto una particolare rilevanza nelle tradizioni europee e mediterranee molto prima del cristianesimo: è il momento nel quale, dopo il solstizio d’inverno, il sole comincia a risalire sulla volta celeste, dies natalis solis invicti, il momento della “rinascita” del sole, ed è stato considerato “il compleanno” delle diverse divinità soteriologiche, da Osiride a Dioniso, a Mithra, ma non può essere stato il compleanno di Cristo se prendiamo il racconto evangelico che ci racconta dei pastori che dormivano all’aperto: non è possibile dormire all’aperto alla fine di dicembre in Palestina che non ha esattamente un clima tropicale!
Si tratta di una tecnica che la Chiesa cattolica ha usato spessissimo: tutte le volte che si è trovata di fronte a una tradizione pagana che non riusciva a sradicare, quella di “battezzarla” con una vernice di cristianizzazione, esattamente allo stesso modo in cui, di fronte a un luogo di culto particolarmente radicato nella sensibilità popolare, lo si cristianizzava sostituendo santi (talvolta inventati ad hoc) e madonne alle divinità maschili e femminili che vi erano venerate.
In più, è di grande interesse la confutazione che Giancarlo Tranfo fa dell’autenticità del cosiddetto Testimonium Flavianum. Quest’ultimo sarebbe un passo di Giuseppe Flavio, lo storico della Guerra giudaica e rappresenterebbe pressoché l’unica testimonianza extraevangelica degli avvenimenti narrati nei vangeli stessi, l’unica garanzia – quindi – dell’autenticità storica dei vangeli, un documento paragonabile per importanza a quell’altro celebre falso, la Donazione di Costantino e, come quest’ultimo (come del resto i vangeli e l’Antico Testamento), non è altro che una patacca:
“Se il Testimonium Flavianum (così è chiamato il passo in questione) fosse realmente scaturito dalla penna del più accreditato storico di fatti giudaici del I secolo, dovremmo registrare, fin dalla riga successiva allo stesso, la conversione di un integerrimo sacerdote ebreo quale era Giuseppe (di discendenza sacerdotale e di stirpe Asmonea) alla fede cristiana.
Poiché, tuttavia, tale “dichiarazione di apostasia” appare come un’isolata “nota stonata” e fuori posto nel percorso testuale e cronologico dell’opera, poiché appare per la prima volta soltanto nel IV secolo dalle “pie mani” di un noto falsario (reo confesso) che risponde al nome di Eusebio di Cesarea (gli stessi “Padri della Chiesa” che lo precedettero dimostrarono di non conoscere tale passo che, se presente, sarebbe loro ritornato più che utile), poiché, infine, nei suoi contenuti ripropone in maniera pedissequa gli stessi capisaldi del credo niceano varato sotto l’egida del potere imperiale costantiniano non meno di due secoli dopo la morte di Giuseppe Flavio (“seppure bisogna chiamarlo uomo…questi era il Cristo… Pilato lo punì di croce… apparve loro il terzo giorno”)”.
Il metodo usato da questi ricercatori non ortodossi, non allineati a quello che la Chiesa vuole che si racconti, è quello della ricerca dei residui testuali. In poche parole: i vangeli nella forma in cui ci sono pervenuti sono il prodotto di un lavoro plurisecolare di manomissioni, interpolazioni, censure, ma gli zelanti falsari che hanno costruito “il canone” della dottrina cristiana non hanno costruito un lavoro perfetto e neppure troppo raffinato, e diversi elementi sono sfuggiti alla loro opera manipolatoria. Quando noi troviamo nei vangeli frammenti che sono in contrasto con l’interpretazione ufficiale della Chiesa, possiamo ritenere che lì è rimasta una traccia del racconto originario sfuggita all’opera manipolatoria dei santi falsari.
A dire il vero, senza essere uno specialista neotestamentario, molto tempo prima di leggere le opere dei tre studiosi, mi ero reso conto che nei vangeli ci sono dei passi in evidente contrasto con la dottrina cristiana così come ci viene presentata, al punto che mi sono sempre chiesto – e continuo a chiedermi – come ci si possa non accorgere di evidenze così lampanti, ma evidentemente il potere della “fede” di chiudere gli occhi e di tappare le orecchie, ma soprattutto di obnubilare il cervello, è davvero grande.
Per prima cosa Gesù Cristo ha ripetutamente negato di essere un redentore universale, e affermato che la sua opera messianica era diretta esclusivamente agli Ebrei: ci sono almeno tre passi evangelici: laddove dichiara di “Non essere venuto che per le pecore perdute della casa d’Israele”, poi l’episodio notissimo in cui si rifiuta di recarsi nella casa del centurione romano per guarirne il servo, e questi lo implora di dire almeno una parola (dai poteri taumaturgici), quel dic tantum verbum che è entrato nella liturgia domenicale, e l’episodio della donna cananea a cui rifiuta un analogo miracolo dicendo: “Non è bene gettare ai cani il pane per i figli”.
E’ questo l’atteggiamento di un redentore universale? Da questi episodi si desume che Gesù Cristo condivideva lo stesso sciovinismo etnico dei suoi compatrioti: i non ebrei sono “cani” (anche se il vangelo addomestica l’espressione parlando di “cagnolini”), e il centurione, il rappresentante dei dominatori, è costretto a umiliarsi per ottenerne l’attenzione.
Oltre a ciò, Gesù ha esplicitamente negato di essere Dio. Anche questo è un episodio evangelico noto: un discepolo lo interpella chiamandolo “Mio buon maestro”, ed egli risponde: “Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono”.
Ma forse le parole più rivelatrici sono quelle che egli ha pronunciato sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”
Sono queste le parole di un dio che si sottopone volontariamente a un sacrificio doloroso ma anche glorioso? No, sono le parole di un uomo sofferente e sconfitto, che si sente tradito da tutti, anche dal Dio di cui credeva di essere al servizio.
E’ chiaro quel che significa questo? La redenzione è il punto nodale della dottrina cristiana. La morte di Cristo sulla croce è stata trasformata a posteriori in una gloriosa auto-immolazione per la salvezza del genere umano (anche se non sembra che l’umanità sia gran che migliorata dopo di essa), se la redenzione è una mistificazione, allora lo è anche tutto il resto, e del cristianesimo non resta, non può restare nulla, tranne un sistema di potere che si è mantenuto nei secoli attraverso falsità e inganni.
Prescindiamo per il momento dalla palese assurdità di questa dottrina: un Dio che ha bisogno di auto-sacrificarsi per poter perdonare gli esseri umani dal terribile delitto di aver mangiato una mela commesso da un loro lontano antenato, quando la liberalità del perdono concesso senza contropartite dovrebbe essere uno dei capisaldi della morale cristiana. L’idea del dio che si auto-immola è chiaramente ricalcata dall’orfismo, solo che, a differenza di Orfeo divorato dalle menadi, Gesù Cristo non fu affatto mangiato dai suoi discepoli; ecco quindi l’introduzione di una forma di cannibalismo simbolico con la favola dell’Ultima Cena e l’invenzione del rito dell’eucaristia, nel tentativo disperato di far quadrare un “conto” che sul piano logico è palesemente impossibile.
La domanda di come un simile sciocchezzaio abbia potuto essere tenuto per buono da legioni di fedeli nell’arco di due millenni trova una risposta più facile di quello che penseremmo: non dimentichiamoci che per secoli è stata assolutamente proibita dalla Chiesa la traduzione della bibbia (Antico e Nuovo testamento) nelle lingue volgari; in più, la stragrande massa della popolazione era analfabeta, sul “libro sacro” della “buona novella” per secoli gli ecclesiastici hanno potuto raccontare quello che hanno voluto e come hanno voluto. A ogni modo, se qualcuno osava avanzare dei dubbi, erano sempre pronti le torture e i roghi dell’inquisizione. Non dimentichiamoci che “eresia” viene dal greco airesis che significa “scelta”; “scegliere”, cioè pensare con la propria testa, per la Chiesa è sempre stato il delitto più grave.
Il cristianesimo appare oggi una superstizione o una congerie di superstizioni che fa leva sugli strati meno acculturati della popolazione, il cui declino, da quando la Chiesa non ha potuto più imporlo con la violenza, si rivela progressivo e inarrestabile. Proprio perché “materie prime” preziose come l’analfabetismo, l’ignoranza, la superstizione stanno cominciando a scarseggiare nel mondo occidentale, la Chiesa cattolica per garantirsi la sopravvivenza è costretta a rivolgersi al Terzo Mondo e a favorire l’immigrazione e con essa l’inquinamento della sostanza etnica dell’Europa, una ragione in più per considerare essa e il suo “messaggio” assolutamente inaccettabili.
Negli ultimi cento anni, la Chiesa cattolica e il cristianesimo hanno avuto due momenti di reviviscenza; uno è stato rappresentato dalla falsa modernizzazione compiuta con il Concilio Vaticano II, falsa apertura verso il mondo moderno, che era in realtà un’apertura politica verso il comunismo che, contrariamente a come sono poi andate le cose, in Vaticano si riteneva sarebbe stato il vincitore della “guerra fredda” (cosa volete, si vede che in quel momento “lo Spirito Santo” era distratto). L’altro momento di reviviscenza è legato alla figura di Giovanni Paolo II, personaggio abilissimo soprattutto nell’utilizzare il moderno potere mediatico al servizio delle concezioni arcaiche e oscurantiste, perché i moderni “media” consentono di “vendere” qualunque cosa.
In concreto, il cristianesimo non può che rivolgersi a persone di basso profilo intellettuale per le quali i dogmi con tutte le loro assurdità e la conoscenza della storia del cristianesimo stesso e della Chiesa cattolica in particolare, sono cose troppo astratte per soffermarcisi, e allora da qui viene il ruolo assolutamente fondamentale che hanno alcuni culti superstiziosi rispetto ai quali gli intellettuali cristiani più scaltriti operano una serie di distinguo, ma senza i quali del cristianesimo non rimarrebbe in concreto praticamente nulla: Padre Pio, il sangue di San Gennaro, le varie apparizioni mariane fra cui negli ultimi decenni sembra spiccare in maniera particolare quella (ex)jugoslava di Medjugorje, e via dicendo.
Naturalmente, prescindiamo dal fatto che Padre Pio, il santo taumaturgo di Pietralcina fu giudicato un ciarlatano da uno dei più insigni scienziati cattolici, padre Agostino Gemelli; la relazione di padre Gemelli fu archiviata dal Vaticano dopo aver constatato l’enorme flusso di denaro che proveniva da San Giovanni Rotondo. La storia delle apparizioni mariane di Medjugorje è ancora più ridicola e più che di “fede”, qui si può parlare di totale annichilimento del senso critico. Da trent’anni cinque “veggenti” sostengono di vedere regolarmente la Madonna (a intervalli fissi settimanali, con il calendario preciso che si conviene a un buon business). Prove concrete? Nessuna, tranne le solite guarigioni spiegabili con la suggestione e l’effetto placebo che abbiamo già visto a Lourdes e Fatima. Testimoni che abbiano almeno intravisto la Madonna a parte i cinque veggenti deputati? Nessuno. Credulità, ignoranza, superstizione? Un oceano.
E’ superbamente ironico osservare che poco dopo l’inizio delle apparizioni di Medjugorje nella ex Jugoslavia è successo tutto quello che sappiamo. Non male come riprova dell’intervento della regina della pace!
Fra tutti gli aspetti del cristianesimo cattolico (anche se per la verità, non, ad esempio, di quello protestante) il culto mariano e le presunte apparizioni mariane sono uno dei più grotteschi. Cominciamo con il dire che se togliamo l’episodio della natività (e tutta l’iconografia che ha ispirato), i vangeli danno pochissimo spazio alla figura di Maria, al punto che si potrebbe dire sulla scorta di queste testimonianze, che l’unica cosa sensata che si può affermare in proposito, è che se Gesù Cristo è realmente esistito, deve per forza aver avuto una madre.
Nel prosieguo della storia del cristianesimo, la figura di Maria si è dilatata, è cresciuta progressivamente d’importanza, fino a diventare – ha detto qualcuno – una sorta di quarta persona della Santissima Trinità. Questo, almeno inizialmente, è stato dovuto alla necessità di trovare un palliativo per rimpiazzare i numerosi culti di divinità femminili diffusi nel bacino del Mediterraneo e in Europa, e aggirare il problema che “Dio” nelle religioni monoteiste è esclusivamente maschile. Le varie dee vennero sostituite con o trasformate in madonne. Poi le cose hanno cominciato a camminare per forza propria, senza – come giustamente notano i protestanti – nessunissima base “scritturale”.
Considerando, oltre al dogma trinitario, la quantità di santi e madonne, e l’importanza che hanno nella “devozione popolare”, in effetti è difficile considerare il cristianesimo una religione monoteista, ma sbaglieremmo ritenendo che questi siano semplicemente dei contentini dati alla ristrettezza mentale del popolino ingenuo (ristrettezza mentale, ignoranza, suggestionabilità che del resto il cristianesimo ha sempre appassionatamente coltivato).
Il defunto pontefice Giovanni Paolo II ha ribadito in più circostanze la sua convinzione che a salvarlo dall’attentato di Ali Agca sarebbe stata la madonna di Fatima; si badi bene, non la Madonna tout court, o che so, quella di Lourdes, di Loreto o di Medjugorje. Chi o che cosa riteneva che lo avesse salvato? La statua? O bisogna ammettere che le varie madonne sono diventate delle entità semi-indipendenti il cui legame con la figura storica (si fa per dire) di Maria madre di Gesù è quanto meno evanescente? Se non lo è questa, allora che cosa si può definire idolatria? E stiamo parlando non di un qualsiasi contadino ignorante, ma di un uomo che è stato alla testa della Chiesa cattolica per oltre un quarto di secolo.
Il cristianesimo, come gli altri due monoteismi “scritturali” abramitici (presunti discendenti da Abramo), ebraismo e islam, ha voltato le spalle al mito e giocato sulla presunta categoria della storicità, ne ha fatto la base della sua presunzione di superiorità sulle religioni autoctone dell’Europa e, più che giusta nemesi, proprio su terreno storico mostra miseramente la corda. Esso si rivela tanto più inaccettabile oggi che, favorendo l’immigrazione, si schiera a favore della distruzione dei popoli europei per imbastardimento etnico. Questa, favorendo la diffusione dell’islam nelle terre ancora oggi cristiane, in definitiva si rivelerà una scelta suicida, ma tant’è. In un suo recente scritto, Silvano Lorenzoni ricorda che nel recente referendum svoltosi in Svizzera sulla questione se proibire o meno la costruzione di minareti, la Chiesa cattolica si è schierata dalla parte degli islamici, e riporta il commento di un alto prelato elvetico:
“Chi oggi vuole proibire i minareti, domani staccherà i crocifissi e demolirà i campanili.
E commenta a sua volta: “Magari, speriamo!”
E’ un auspicio a cui non ci si può che associare.
Fabio Calabrese
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