di Michele Rallo
II primo fu Gianfranco Fini, l’ex alfiere della destra dura e pura nonché coautore della famigerata Legge Bassi-Fini sull’immigrazione, improvvisamente folgorato sulla via di Damasco dell’integrazione razziale. Fu lui, qualche anno fa, a proporre per primo che ai figli degli immigrati nati in Italia venisse attribuita automaticamente la cittadinanza italiana: «Antistorico sostenere che si è italiani solo in ragione del cognome o del colore della pelle.»(1)
Segui, a ruota, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel 2011 non temette di entrare direttamente nel dibattito politico, affermando candidamente: «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. »(2)
Buon’ultima, la ministra italo-congolese Cécile Kyenge: «L’Italia è meticcia, accettatelo».(3)
L’andazzo, in sostanza, è stato quello di far accettare all’opinione pubblica come un fatto scontato che chiunque nasca in Italia diventi automaticamente cittadino italiano. Così come scontati, acquisiti come ovvii e naturali devono essere gli altri passaggi che “qualcuno” ha immaginato per distruggere le fondamenta della civiltà europea: per esempio — lo dico con il massimo rispetto per chi ha orientamenti sessuali diversi — una legge che riconosca alle coppie gay il diritto di sposarsi e di adottare dei figli. Il passo successivo sarà quello di far passare chiunque si opponga per un razzista o, quanto meno, per un retrogrado, per uno che non sa stare al passo coi tempi.
In realtà, il pasticciaccio brutto dello ius solinon è affatto una banale questione di “solidarietà” (come Niki Vendola e il Vaticano vorrebbero farci credere) ma un meccanismo infernale che — oltre ad avere conseguenze drammatiche per l’occupazione delle nuove generazioni italiane — potrebbe facilmente determinare la cancellazione della nostra identità nazionale nel giro di una decina di generazioni. E basta dare un’occhiata all’indice di natalità degli italiani (il più basso in Europa) ed alla gagliarda prolificità della popolazione immigrata, per averne conferma. Cito un solo dato statistico: nell’Italia settentrionale un nuovo nato su quattro ha almeno un genitore straniero.(4)Questo nel 2011; oggi temo che la percentuale sia ben più alta.
E i flussi migratori verso l’Italia — secondo le stime degli organismi internazionali — continueranno almeno per altri vent’anni. Provate un po’ ad immaginare, se gli immigrati “ufficiali” in Italia sono oggi circa 6 milioni, quanti saranno fra venti anni; e quanti saranno i clandestini. E quanti figli —gli uni e gli altri — avranno messi al mondo in questi vent’anni.
A meno che — naturalmente — non intervenga nel frattempo una radicale svolta politica che chiuda le porte dell’Italia all’immigrazione. Ma, ove tale svolta non dovesse intervenire, nel giro di un secolo gli italiani-italiani — quelli che si chiamano Giuseppe o Francesco, quelli di razza bianca e di religione cattolica — potrebbero essere sopravanzati dagli italiani-stranieri che si chiamano Ahmed o Abdullhà, di colore scuro e di religione musulmana. Non volere ciò significa essere razzisti? Non credo. Significa semplicemente amare la propria identità, e volere preservarla per i nostri figli e per i figli dei nostri figli. Senza alcuna ostilità per gli altri, per chi ha un colore di pelle diverso dal nostro o per chi adora un Dio diverso dal nostro.
Ritornando allo ius soli, non c’è dubbio che questo verrebbe ad incidere drammaticamente sulla definizione della nostra identità nazionale, trasformando degli ospiti (speriamo, a titolo provvisorio) in
residenti stabili e stabilizzati, trasformando degli individui che abbiamo accolto per senso di solidarietà (malintesa) in cittadini italiani a tutti gli effetti.
residenti stabili e stabilizzati, trasformando degli individui che abbiamo accolto per senso di solidarietà (malintesa) in cittadini italiani a tutti gli effetti.
Proprio per evitare uno snaturamento del genere i nostri antenati concepirono lo ius sanguinis: si diventa — cioè — cittadini di una nazione per diritto di sangue. di discendenza, per essere figlio di un genitore che a quella nazione già appartiene. È sempre stato così ed è ancora così in tutte le nazioni identitarie e, naturalmente, in tutte le nazioni europee. Viceversa, le nazioni nate nei secoli scorsi dalla colonizzazione bianca, che è andata a sovrapporsi alle popolazioni indigene, hanno adottato lo ius soli. Così gli Stati Uniti, il Canada, i paesi dell’America Latina. Perché? Perché quelle nazioni avevano interesse ad attrarre masse di immigrati europei che aumentassero la percentuale di “bianchi” rispetto a quella dei “colorati”.
In Italia, peraltro, lo ius sanguinis ha alcuni temperamenti giusti ed altri meno giusti. La legge che regola l’attribuzione della cittadinanza (la n. 91 del 1992) stabilisce che è cittadino “per nascita” chi è figlio anche di un solo genitore italiano (art. 1). Il rapporto di adozione è ovviamente equiparato a quello di filiazione (art. 3): Balotelli — tanto per intenderci — è cittadino italiano a tutti gli effetti. Possono egualmente ottenere la cittadinanza gli stranieri che contraggano matrimonio con un cittadino italiano (art. 5). Fin qui i temperamenti giusti ed opportuni.
Dove la legislazione vigente appare eccessivamente permissiva è nell’articolo 4, che stabilisce un automatismo del tutto inopportuno: «Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.»
Come è facile rilevare, lo ius soli è di fatto vigente già oggi. L’unica differenza rispetto alla proposta di Kyenge e compagni è nella dichiarazione che l’interessato deve fare entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Si vorrebbe — in altri termini — sgravare il diciottenne straniero dal fastidio di riempire qualche modulo.
Personalmente, credo che si debba operare nella direzione esattamente opposta: concedere la cittadinanza italiana solo straordinariamente, a giovani che abbiano dimostrato di amare l’Italia, di non odiarla per la sua appartenenza alla Cristianità ed al mondo occidentale; e — naturalmente — escludere tassativamente ogni elemento sospetto di attività criminale e/o di vicinanza ad organizzazioni politiche fondamentaliste.
Quello che è avvenuto nei giorni scorsi a Londra è un segnale d’allarme che non può essere sottovalutato: ad uccidere a colpi di mannaia un militare in libera uscita non sono stati due terroristi venuti dall’estero, ma due ragazzotti nigeriani nati e cresciuti in Inghilterra. Stranamente, i media non hanno diffuso notizie circa la loro nazionalità. Ma io credo che si tratti di due nuovi cittadini britannici, divenuti tali a seguito di una norma analoga al citato articolo 4 della nostra legge sulla cittadinanza.
NOTE
Nota di Ereticamente
Ringraziamo l’Autore per l’invio. L’articolo è stato pubblicato in cartaceo sul periodico La Risacca di Trapani
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