8 Ottobre 2024
Democrazia Simeone

Il tramonto dell’uomo democratico

Di Marina Simeone
Che cosa è la democrazia?
E’ necessario ripartire dal tì estì socratico e attraverso un procedimento maieutico definire  il concetto di democrazia. Platone, con una naturalezza non comune, nel V secolo a. C.  ha risposto disegnando poeticamente la democrazia come la più bella delle forme di governo, simile ad un manto variopinto, pericolosa per quella stessa bellezza, che incontrollata conduce alla licenza, appellandosi alla essenza della democrazia ovvero la “isonomia”, uguaglianza, regina del discorso elogiativo Pericleo. Dal momento che ogni governo genera un tipo di uomo e si adatta meglio ad un tipo di uomo, la democrazia si addice all’ uomo  “isonomico”, ovvero un individuo in cui le facoltà umane non sono sistemate in ordine gerarchico, ma tutto è confuso. Platone aveva in mente uno stato aristocratico, dominato da filosofi, da chi sa essere competente e degno del proprio ruolo, quindi educatore di una società preda molto spesso di istinto. E la politica è la tecnica o lo strumento per realizzare uno Stato giusto, uno stato quindi armonico. Apparentemente eccessivo in alcune considerazioni, coglie meglio di tanti autori moderni il nocciolo della questione.

La critica alla democrazia o il suo elogio ha derubricato negli anni punti celebri di dibattito solitamente ritrovandosi detrattori e acclamatori  a muovere passi nel tempio della maggioranza e della uguaglianza, garanzia di questo contenitore a “bassa intensità affettiva, come sostiene Sartori, destinato a riempirsi di contenuti, inseriti da chi di volta in volta detiene il potere. Ma l’uguaglianza disattende la perfezione e armonia della natura, che si forgia delle differenze e ad ognuno concede il proprio posto nel cosmo e la maggioranza si può rivelare spesso la tirannia esercitata sulla minoranza – che poi sempre minoranza non è ma si fa in modo che lo sia – in cui di egualitario non vi è nulla o quasi. A questo punto crollati i due templi della democrazia non rimane che evidenziarne gli esiti di anni di attività: diseducazione, ingiustizia, assenza di sovranità.
Lo stato democratico non è uno stato sovrano e la sua inefficienza in tal senso è riscontrabile nel momento in cui interviene uno “stato d’eccezione”, come lo ha definito Smith, un momento di crisi, in cui servirebbe l’indirizzo fermo e sicuro dello Stato. Lo stato democratico è uno stato ingiusto perché al suo interno la libertà diventa promessa a essere quello che per natura non si è, e tutti si sentono in diritto di essere qualcosa d’altro da se stessi. Lo stato democratico non educa, perché omologa i pensieri e le azioni sottoponendo gli uni come le altre alle divinità della “libertà, uguaglianza e fraternità”, quest’ultima parola ambigua e incomprensibile sotto più punti di vista.
Il risultato è che oggi, come accadde negli anni del dopo prima guerra mondiale, le democrazie liberali sono infelici e incapaci di risolvere i problemi della società che dirigono. Al di là dell’Italia l’universo democratico è imploso. In Belgio, come ha ricordato Sergio Romano in un lucido intervento,  541 giorni può durare una crisi governativa, in Germania un libro come la “Germania si distrugge da sé” vende 1.200.000 copie, dando ragione al fallimento del multiculturalismo, creatura preziosa delle democrazie moderne.
Nei gloriosi Stati Uniti, modello per l’attuale Europa, le battaglie di Repubblicani e Democratici finiscono con accordi mediocri, non risolutivi del malesseri reale; è infelice, come sappiamo,  l’Italia in preda alle proteste di piazza senza offerta e di una classe politica corrotta e incapace.
La De Girolamo, Craxi, Mastella, come Sarkozy, Chrisitan Vulf, e tanti altri non sono casi isolati, la corruzione, la malversazione non è ascrivibile al singolo, ma al Sistema, confuso e confusionario in cui l’economia domina la scelta politica. Le elezioni necessitano di finanziamenti sempre maggiori, le sovvenzioni statali superano le medie triplicandole rispetto agli anni passati; la salute del territorio si svende, la schiavitù dei popoli si compra.
Questa classe politica a livello territoriale, nazionale, europeo è incompetente e più impegnata ad esibire titoli di studio saccheggiati nelle università estere, piuttosto che occuparsi del ruolo riscoperto.
Così la separazione tra governanti e governati si inspessisce per alcuni versi – in ambito di ricchezza e potere –   si annulla per altri: la superiorità dei governanti sui governati. Non sentiamo la grandezza di chi sta al potere, manca la virtù, latita il coraggio, la lealtà, il non farsi plasmare dalla “moda” del momento. La finanza ha imposto la virtualità, con l’ausilio di algoritmi ed internet i prodotti sono vendibili e venduti senza barriere in pochi secondi, senza regole, fuorché l’ambizione.
I governi democratici hanno ceduto ai banchieri e ai gestori di fondi, da qui l’idea della valuta unica e della concessione della sua emissione alle banche. I guadagni sono stati strabilianti: i beni patrimoniali delle maggiori banche di investimento americane erano passati da due trilioni di dollari nel 1990 a 22 trilioni di dollari nella fase che ha preceduto la crisi.
Noi siamo una barriera per questa mentalità. La storia è una barriera, la identità è una barriera, il nostro non lasciarci plasmare è una barriera da abbattere militarmente se necessario.
Partendo dal presupposto che non esista in concreto un sistema politico perfetto, ma esso è strettamente dipendente dal contesto storico, culturale, societario, se possiamo sostenere la risolutezza della democrazia diretta in ambito di rapporti tra clan di villaggio, allo stesso modo dobbiamo ammettere che essa tradisce la sua essenza perdendosi nell’aumento del numero e dello spazio. A maggior ragione i movimenti populisti figli della democrazia, che oggi sostengo l’applicabilità della democrazia diretta servendosi del virtuale, non fanno che perseverare nell’errore originario degli immortali principi del 1789.
Di cosa abbiamo bisogno oggi, di maggior democrazia forse?
Credo sinceramente di no. E’ nec
essaria la grandezza, la considerazione del potere e dell’uomo che detiene il potere, mettendo al bando quelle ideologie che fino ad oggi ci hanno portato solamente a tenere la testa china dinanzi ai dogmi incrollabili novecenteschi o fideistici. C’è bisogno di garantire le differenze e respingere l’universalismo occidentale.
Riconosciamoci quindi  “limatura di ferro verso un magnete”, immagine intramontabile del Bardèche nell’”Uovo di Colombo”, e proponiamo una nostra idea di governante, e di governare, partendo dal territorio e aprendoci ad una prospettiva più ampia. Scegliendo una guida politica senza esimerci dal riconoscere in essa determinate virtù, alcune delle quali ebbe a sottoscrivere Tommaso Campanella nel suo “Della monarchia di Spagna”: “I popoli si sottomettono volentieri a un principe in cui risplende qualche preminenza di virtù, perché niuno si sdegna di obbedire e stare sotto a chi gli è superiore […]. E Aristotele vuole che quei che avanzano gli altri di ingegno e di giudizio siano per ragione naturale principi.
L’eminenza dunque della virtù del principe lo fa massimamente affabile, e principalmente nel mostrare d’amare i suoi popoli come padre, facendosi parlare, vedere.” Impariamo a riconoscere e scegliere gli uomini.

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