E’ , quella esposta, nella prima parte del presente scritto, una concezione “olistica”, totale, nella quale la vocazione della democrazia è intensamente nazionale , allorché il popolo assume la “forma” della nazione.
Le costituzioni del XX secolo hanno ampiamente assunto e condiviso un principio, che la costituzione tedesca di Weimar proclamava con nettezza teutonica “il potere emana dal popolo” . La Carta italiana , più felpata e furbesca, stabilisce che “la sovranità ( concetto che non è esattamente sinonimo di potere – n.d.r.) appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ahi, ahi, già al primo articolo , dopo aver solennemente proclamato che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, asserzione il cui significato giuridico è nullo e quello prescrittivo assai incerto, i cosiddetti padri costituenti hanno posto limiti ed ostacoli alla sovranità, tacendo sul determinante concetto di potere ! Non è quindi un caso se l’art. 11 , dopo averci deliziato con roboanti declamazioni pacifiste il cui esito è il disarmo morale, riconosce che, a determinate condizioni la sovranità può essere limitata o persino ceduta.
Torneremo più tardi su questo importantissimo punto. Ora preme riconoscere che la democrazia, intesa come decisione presa collegialmente, è probabilmente vecchia quanto l’uomo. Nelle comunità umane più antiche, ce lo hanno insegnato etnologi ed antropologi culturali, gran parte delle decisioni erano assunte in comune, secondo qualche principio di maggioranza. Attraverso ritualizzazioni di tipo religioso , mistico o sciamanico, il metodo veniva occultato, o mascherato, ma rimane la sostanza del carattere comunitario, e quindi , in senso lato, “democratico” di molte società che definiamo primitive. Una comunità si fonda sul consenso, oppure non è tale e diventa una prigione . Occorre allora ammettere che, insieme con tanti altri elementi diversi ed opposti, anche la democrazia fa parte della natura umana.
Altro è, ovviamente, discernere le modalità, i meccanismi, le infinite variabili che ciascuna comunità ha apportato al principio democratico, come a tutte gli altri elementi e comportamenti dell’uomo animale sociale e politico, quindi comunitario .
Altrettanto , sarebbe assurdo asserire che il “metodo” democratico garantisca scelte giuste. Qui entrano in gioco i concetti di competenza, informazione, buona o cattiva fede, la stessa irrazionalità fortunatamente presente negli animi umani ( i derivati ed i residui paretiani ), la cosiddetta “legge ferrea delle minoranze organizzate” che prevalgono sui molti inerti, disinteressati o disorganizzati ( Gaetano Mosca e Roberto Michels).
Possiamo argomentare anche l’idea che la “sovranità” come esercizio autonomo del potere, conferita al popolo in linea di principio , sia soltanto una “formula politica” dei governanti per giustificare il loro operato, ma resta la nuda constatazione che la democrazia è , sia pure declinata in infinite varianti, una costante comportamentale, oltreché un’aspirazione tanto diffusa quanto confusa.
Tra la verità, l’errore e la menzogna , infine, c’è una quarta possibilità, la falsa coscienza, che sopravviene allorché singoli e popoli interi, inseriti inconsapevolmente in formazioni psicologiche e psicosociali di tipo ideologico, si formano- o meglio, accettano che venga edificata attorno e dentro di loro, una falsa, manipolata immagine della realtà . La buona fede iniziale della falsa coscienza indotta viene poi sfruttata da oligarchi, persuasori più o meno occulti ,demagoghi, mascalzoni in guanti bianchi ed abiti firmati , per erigere sulla menzogna muri di falsi giudizi, luoghi comuni, idee vuote, contrapposizioni insensate.
Ecco perché è opportuno rielaborare le definizioni di democrazia di uomini che esercitarono il potere come Alexis de Tocqueville e di Alexander Dubcek riportate all’inizio, per verificarne la verità e, comparativamente, scoprire che nel liberale, liberista e liberato Occidente ( Europa più Usa) non vige la democrazia . Da tale conclusione si inferisce altresì che l ‘opera di esportazione militare delle istituzioni definite “democratiche” da parte degli Stati Uniti con la complicità nostra, è una doppia falsità. Per un verso in quanto viene imposto con la forza delle armi ( per il loro bene, ovviamente…..) a popoli e comunità lontane, un sistema di potere e di convivenza estraneo alle loro storie; per di più, il modello prescritto ed irrevocabile – fine e coronamento della storia ! – è un prodotto avariato, o meglio, contraffatto, proprio attraverso le false coscienze dei popoli occidentali indotte da un potentissimo lavaggio del cervello che dura da almeno tre generazioni.
Tocqueville descrive la democrazia come “potere di un popolo informato”. Dunque, innanzitutto, democrazia è potere. Tra le mille definizioni del potere, ne scelgo una molto semplice: concreta possibilità di fare od ordinare qualcosa. Siamo nella sfera della decisione e dell’esecuzione: in questo senso, l’unica democrazia possibile è quella diretta. L’esempio è quello ateniese , ovvero le assemblee generali di certi cantoni svizzeri (landesgemeinde , e gemeinde significa comunità ) o le teorizzazioni di Rousseau. Nessuna possibilità di ripetere siffatti modelli , buoni per governare poche decine di migliaia di uomini, ma in forme nuove, la partecipazione diretta, insieme personale e comunitaria, resta l’insuperato esempio da riprodurre. Ma come può esserci “potere” senza sovranità ? La sovranità è la facoltà concreta di esercitare potere…
Rimaniamo in Italia: quale sovranità appartiene al popolo, stando alla Costituzione, se abbiamo conferito, molto probabilmente in modo illegale secondo diritto e procedure ( gli studi di un grande giurista come Giuseppe Guarino sono, al riguardo, conclusivi e sconcertanti – “Un saggio di verità”) ad un organismo terzo, l’Unione Europea, gran parte delle potestà dello Stato ? Un regolamento comunitario, emanato dalla Commissione UE – organismo non eletto da alcuno, neppure indirettamente – prevale su qualsiasi legge nazionale . Quindi, sovranità legislativa affievolita , dimidiata. Quanto alla sovranità economica, per tacere del potere dei cosiddetti mercati ( i quali altro non sono che la volontà indiscutibile di alcune migliaia di grandi speculatori, banche d’affari e fondi d’investimento), che , secondo la vulgata comune , “votano ogni giorno “, i governi non possono più neppure fissare il tasso di sconto , e si sono legati mani e piedi con il famigerato “patto di stabilità”, rinunciando a svolgere una qualunque politica economica propria .
C’è di più: vergogna che grida vendetta e che autorizza a chiamare traditori i governanti responsabili, l’Italia ha posto nella Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio ( art. 81). Questo significa che lo Stato , già espropriato dall’emissione monetaria, non può chiedere denaro in prestito ai suoi stessi cittadini, ed indebitarsi per realizzare scopi comuni. Il disgusto che ci coglie dinanzi a tali condotte rende lecito qualsiasi attacco alla democrazia rappresentativa , con l’ulteriore aggravante dell’accordo pressoché unanime dei diversi ( diversi ?) partiti politici, il che ha impedito anche il referendum confermativo, che, almeno, avrebbe smascherato l’inganno e costretto a tematizzare natura e modalità del colpo di mano , legalissimo, democraticissimo , tutto secondo procedura !
Le leggi finanziarie, da qualche anno ribattezzate di stabilità (vedremo perché), vengono sostanzialmente dettate dai funzionari di Bruxelles dell’Unione Europea, e, comunque, i ministri competenti, abbattuto Tremonti , sono sempre uomini di riferimento, quando non direttamente dirigenti o consulenti , del sistema finanziario internazionale, in particolare della potentissima banca d’affari Goldman & Sachs.
Della sovranità militare, meglio tacere, per quanto poco possa importare al popolo italiano, che gioca alla Playstation, ma ignora la geopolitica e ama in falsa coscienza tanto il pacifismo trombone che le sfilate militari e la pattuglia acrobatica dell’aeronautica. L’Italia, a settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, resta prigioniera dell’ occupazione americana, e partecipa disciplinatamente, in genere con compiti di rincalzo, a tutte le missioni “umanitarie” – leggi guerre di aggressione – angloamericane.
Niccolò Machiavelli, padre della scienza politica moderna, teorizzò che le due sovranità fondamentali di uno Stato sono quella militare – attraverso cui si controlla il territorio e si difendono i confini – e quella monetaria, che consiste nel battere moneta.
La moneta euro è a tutti gli effetti una valuta estera, emessa da una banca internazionale – la BCE- la cui sottilissima vernice pubblica non ne nasconde la natura privata e volta al profitto. A questa banca straniera, per quanto partecipata dalla Banca d’Italia di cui è in mano pubblica il 5 ( cinque) per cento, il Trattato di Maastricht, detto ora Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea – TFUE – conferisce, all’art. 127 paragrafo 1, oltre al potere di emissione dell’euro e di fissazione del tasso di sconto nella più completa indipendenza e insindacabilità , un obiettivo preciso: la “stabilità monetaria”. Tradotto dalla lingua di legno dei legulei, significa che compito della banca è conservare la scarsità della moneta, scacciando il terribile nemico dei creditori: l’inflazione. Capito ora perché abbiamo la legge “di stabilità “ ?
Sulla sovranità territoriale italiana meglio non infierire, giacché poteri internazionali, chiesa cattolica , anime belle e speculatori finanziari alla Soros ci invitano a non presidiare i confini , agevolando l’invasione indiscriminata di poveracci la cui nuova qualifica è di migranti – come gli uccelli che raggiungono le zone calde d’inverno – oppure di profughi, anche se non fuggono da alcuna guerra. Quanto agli sventurati siriani, essi fuggono da una guerra civile fomentata ed armata da Stati Uniti, Israele, Turchia, Arabia Saudita. Il contribuente italiano finanzia la marina nazionale , trasformata in centro di salvamento , per agevolare l’invasione ! Intere regioni , poi, sono controllate ben più capillarmente dalle organizzazioni malavitose che dalle istituzioni statali. Il potere, dunque, è altrove .
Ma il popolo ? Intanto, le moderne liberaldemocrazie provano ripugnanza a immaginare nel popolo un concetto organico ed unitario, tese come sono , nella pratica politica, a frammentare , segmentare, smantellare le comunità. Individui estranei tra loro, tendenzialmente sospettosi dell’altro, i cosiddetti “cittadini” non sono affatto coloro che condividono, grazie alla loro appartenenza al popolo, una storia ed un destino, ma fantasmi astratti, atemporali, sono tenuti insieme soltanto dal tenue vincolo delle leggi vigenti. Sono, tutt’al più, popolazione, soggetti statistici, titolari di un’uguaglianza di principio. Sono, non più popolo, ma “società”, ed i legami reciproci sono fragili, transeunti, variabili, in una parola contrattuali. Non è un caso che la liberaldemocrazia sia una invenzione anglosassone, e che nella lingua inglese neppure esista un termine che designa il popolo, giacché “people” significa genericamente gente. Anche Patria non ha corrispettivo preciso nel “country” inglese, che si traduce con “paese”. In queste condizioni, anche la sovranità popolare, asse portante delle costituzioni, non è che apparenza, formula politica, come capì Gaetano Mosca.
In un regime liberale, la vita democratica non coincide più con quella del “popolo” di una determinata patria: l’individuo, infatti, precede la società e questa è formata soltanto da individui che perseguono fini diversi. Popolo e nazione finiscono per essere i nomi convenzionali di sovrastrutture transitorie.
Nel concreto: è ancora un popolo la semplice somma di coloro che vivono casualmente e provvisoriamente nello stesso angolo di mondo, ed appartengono non di rado a razze diverse (pardon, etnie..), distinte religioni o nessuna, e sono uniti convenzionalmente solo dalla medesima cittadinanza, attribuita spesso per legge a chiunque residente da un certo periodo, o nato casualmente in quel territorio ?
Esiste, sussiste, riconosce se stesso, insomma, un popolo che non sia anche, e primariamente, comunità ? A questo punto, dobbiamo censurare un altro principio ideato dai nostri tempi, giacché l’unico patriottismo permesso e “politicamente corretto”, sarebbe il cosiddetto patriottismo costituzionale. Ma nessun essere umano si sente unito ad altri dalla semplice, algida, condivisione di uguali norme giuridiche ! Ancor meno, si sentirà obbligato a sacrifici, comportamenti collettivi di qualunque tipo , se non in base a legami di tipo spirituale, morale, accettati, introiettati in quanto membro di una comunità. Il popolo esiste solo a queste condizioni. La domanda, il dubbio fortissimo è dunque : siamo, vogliamo ancora essere un popolo ?
L’ultima parola chiave di Tocqueville è “informato”. La democrazia , a cominciare dalla nuda partecipazione al rito elettorale, esige la formazione di opinioni , più ancora di convinzioni, termine che richiama a qualcosa di più forte e definitivo, che richiedono, diremmo obbligano all’informazione. La nozione di opinione pubblica, così usata ed enfatizzata come fonte di giudizio, è molto discutibile. Sotto qualsiasi cielo, è piccolissimo il numero di persone animato da vere convinzioni: si vive piuttosto di impressioni, idee vaghe, stati d’animo che si trasformano di continuo sul filo dei condizionamenti e della propaganda. L’opinione è formata in modo eteronomo: ma nella procedura democratica, la qualità dell’informazione determina la decisione e la scelta.
Oggi, annegati nel mare magno delle informazioni, non abbiamo certo il problema della quantità dei dati a disposizione. Al contrario, l’alluvione di notizie, cronache, immagini, impedisce la costruzione di un criterio veritativo e, ancor prima, inibisce una sia pur minima riflessione. L’informazione, poi, pur provenendo dai mezzi più diversi ( radio, televisione, giornali, internet) non è affatto libera .
Sono le grandi agenzie di informazione internazionali- non più di quattro o cinque- quelle che filtrano e riversano la gran massa delle notizie . La proprietà di questi colossi è legata a complicati incroci azionari , ma si tratta di gruppi multinazionali industriali e finanziari. Le televisioni private appartengono agli stessi soggetti come la gran parte dei giornali, quelle pubbliche rispondono a governi che sono l’emanazione, o il terminale, degli stessi interessi.
Due esempi: tuttora pochi si sono resi conto della natura privatistica delle banche centrali, ancora meno sono quelli informati che il maggiore azionista di Bankitalia è Unicredit. Solo un’ infima minoranza di specialisti è a conoscenza che tra i massimi proprietari di Unicredit ci sono il gigantesco fondo speculativo americano Blackrock, la banca centrale cinese ed il fondo sovrano di Abu Dhabi. Forse, saperlo sposterebbe la valutazione di molti sui fatti economici e politici. L’acronimo TTIP (Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti ) è certo sconosciuto anche a moltissimi parlamentari, che non ne possono venire a conoscenza per la segretezza delle sue riunioni preparatorie ( la democrazia….) , ma, se approvato, sarà un terremoto che cambierà inesorabilmente le nostre vite, e metterà gli Stati europei alla mercé ed al servizio degli interessi delle multinazionali americane. Conoscere per deliberare era la formula del liberale Einaudi . Altri tempi, altri uomini probabilmente.
Quelli dianzi enunciati non sono deliri paranoidi di un complottista, ma, purtroppo, fatti facilmente dimostrabili. Quale informazione, quale formazione, allora, se non la costruzione costante, instancabile, quotidiana , di un “cittadino consumatore medio” programmato per avere le idee, i gusti, le propensioni, le avversioni che convengono a lorsignori, una oligarchia di poche decine di migliaia di persone in tutto l’Occidente .
Disperso il popolo in milioni di atomi , o, come immaginava Ortega, in innumerevoli gruppuscoli reciprocamente ostili, controllata la stragrande maggioranza delle fonti di informazione, la democrazia diventa una scatola vuota, un totem davanti al quale i nuovi sciamani fanno inchinare masse informi di uomini e donne , riuniti in una superstizione di cui ignorano tutto, ma alla quale occorre prosternarsi come ad una divinità indiscutibile, arcana, onnipotente .
Ritorniamo alle idee dello sfortunato Dubcek, con il rispetto che si deve ad un uomo che ha pagato duramente il suo coraggioso tentativo di libertà all’interno del comunismo reale: la democrazia , ricorda, non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, cosa formalmente garantita qui da noi ed innocua, dato che le idee “giuste” sono state ampiamente precostituite da un possente apparato di propaganda, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere nonché la possibilità per ciascuno di avere una parte nelle decisioni .
Se non fosse stato il protagonista di una tragedia epocale, si dovrebbe credere che Dubcek scherzasse, o vivesse in un’altra galassia … Osserviamo l’ Europa: l’opinione dei cittadini , infatti, vale così poco che negli Stati dove , graziosamente , essi sono stati interpellati con referendum, le istituzioni europee sono state sonoramente bocciate. Non è successo nulla: incidenti di percorso. I vari trattati internazionali che ci hanno consegnato alle burocrazie europoidi serve del sistema finanziario mondialista non sono stati mai ratificati dai popoli, meno che mai in Italia. Del trattato di Lisbona, chiamato impropriamente costituzione europea, non si riesce neppure a conoscere il testo per intero, disperso tra centinaia di pagine di visto, considerato, rimandi a mille altre disposizioni. Uno dei suoi estensori, Giuliano Amato, ha ammesso che l’oscurità criptica del trattato era l’unico modo per farlo digerire ai popoli, ed in primis ai governi nazionali.
Quanto all’Italia, siamo campioni di referendum che hanno abrogato leggi riproposte tal quali subito dopo : pensiamo all’acqua pubblica, al finanziamento dei partiti, alla responsabilità civile dei magistrati. In altre circostanze, referendum considerati pericolosi dal potere sono stati opportunamente eliminati dalla Corte Costituzionale: la legge Fornero è l’ultimo caso, ma ricordo, quasi vent’anni fa, che venne impedito il referendum sulle norme relative all’immigrazione. Oggi ci è chiaro il perché, e ci è evidente che l’opinione, o meglio la volontà popolare è sgradita ai reggitori del potere ( che quindi la sovranità NON è nelle mani del popolo) .
Dunque, la possibilità per ciascuno di prendere parte, sia pure minima e mediata dalla rappresentanza, è non solo una chimera, ma una autentica bugia che , purtroppo, è ancora in parte creduta.
In Grecia, il martoriato popolo i cui antenati hanno costruito la civiltà europea ed inventato la stessa democrazia, ha detto con forza in un referendum che ne aveva abbastanza della dittatura dei sedicenti creditori, e pochi giorni dopo il governo di sinistra ( che cosa significa , oggi, sinistra ? ) ha ribaltato il verdetto della propria gente.
Non è quindi un caso che le elezioni, considerate giustamente il gesto decisivo della procedura e del criterio democratico, interessano sempre meno. Dalla Grecia stessa all’Italia, agli altri stati europei è tutto un inseguire gli Stati Uniti nel primato di astensione del voto. Per i motivi esposti, non è certo un caso, ma vi è un elemento ancora più grave, che è la scaturigine del disinteresse, del fastidio, quando non dell’ostilità di molti nei confronti delle elezioni. Si sta cominciando a capire che il potere è altrove; per milioni di persone è ancora solo un sospetto, ma il processo è in corso e non si arresterà.
Gli autori liberali, che diffidano della pubblica opinione quando non riescono a manipolarla attraverso il denaro dei loro padroni, difendono spesso l’idea che l’apatia popolare sia una buona cosa, e sia sintomo di positiva stabilità. No, l’apatia della gente è sempre pessima, e chi se ne rallegra è uno sciocco, o, più spesso, è parte della congrega di manigoldi che ha sequestrato , manipolandolo e possedendo tutti i mezzi, il libero pensiero, e, in definitiva, abolito la stessa democrazia.
Insomma, dentro lo sfavillante involucro della democrazia, non c’è più nulla. Il re è nudo , ed anche quel reuccio piccolissimo e distratto che è il cittadino , detentore di un atomo di sovranità in quanto membro del popolo, ha compreso che non solo lui non decide alcunché con le elezioni, ma che quelli cui ha conferito la rappresentanza contano pochissimo anche loro, e si sono trasformati in una casta inutile quanto ben pagata, o, come teorizzava un grande intellettuale come Costanzo Preve, in “una sottoclasse dominata all’interno della classe dominante “.
I quasi mille privilegiati che chiamiamo onorevoli , accampati elegantemente nella città eterna, come i loro omologhi degli altri Paesi ( in numero inferiore…. ) sono pagati per non decidere, non scegliere, non fare. Il primo ministro Renzi non può neppure ipotizzare l’abolizione della tassa sulla prima casa, odiosa all’immensa maggioranza degli italiani, perché l’Europa , questa mitica entità sovrastante, non è d’accordo.
Diventa allora esercizio ozioso da intellettuali asserragliati in un mondo di sogni, teorizzare che la democrazia rappresentativa non garantisce la bontà delle scelte, o ribadire che la legge del numero è assurda , od anche che la concezione numerica-quantitativa dell’idea di uguaglianza è manifestamente falsa.
Potremmo continuare, osservando che l’intensità delle convinzioni di alcuni non può essere posta sul medesimo piano del debole consenso di moltissimi: le elezioni, si dice con ragione, consistono nella conquista degli indecisi, dei pavidi, dei senza opinione. Quanto alla rappresentanza, riconoscerne la penosa inadeguatezza e sempre più spesso il tradimento del mandato dei propri elettori è facile e popolare come bere un bicchier d’acqua.
Sta diventando sempre più evidente anche il fatto che la democrazia si estingue per mancanza di scelta, dal momento che tutte le principali forze in campo condividono l’orizzonte liberale, mercatista, individualista e sono vassalle, anzi valvassine, dei centri di potere bancario, finanziario, politico e militare transnazionali, e che si esprimono addirittura nello stesso linguaggio del politicamente corretto, quello per cui un cretino è diversamente intelligente , un bianco è di razza caucasica, Luther King era afroamericano e la civiltà europea vale quanto quella degli indigeni delle isole Trobriand, gente , invero, dedita alla la pratica del kula, lo scambio rituale del dono , e quindi indubbiamente più onesta dei nostri usurai.
Dovremmo, anzi, spingerci a respingere in blocco la tirannia della pubblica opinione drogata dai sondaggi – previsioni in genere costruite ad arte che si autoavverano – dalla ripetizione ossessiva di slogan – oggi dominano quelli sull’ accoglienza, sulla simpatia per gli invertiti, sull’equivalenza di ogni parere o credenza, tranne , ovviamente, quelle populiste, omofobe, razziste, xenofobe, negazioniste, maschiliste, integraliste, eccetera, giacché il catalogo dei cattivi e dei pessimi è sempre aperto.
Il problema, però, è che la catalessi della democrazia per overdose sta travolgendo tutto e tutti. Allora, il compito di un pensiero autenticamente rivoluzionario è di chiedere, esigere, rivendicare proprio la democrazia.
Se le decisioni vengono prese da logge, lobby, gruppi di potere, consigli d’amministrazione, se tutti questi consessi non voluti dai popoli, non eletti, e ancora piuttosto oscuri o addirittura ignoti ai più dominano, occorre riequilibrare la bilancia con tutto il peso dei milioni di esseri umani che costituiscono il nostro popolo e gli altri popoli. C’è urgenza di un soprassalto comunitario, potremmo dire inter-nazionalista, perché il sistema di potere che ci opprime potrà essere vinto solo quando, e se, sorgerà un vasto, articolato movimento di contestazione della ragione mercatista volgarizzata nell’universalismo dei diritti umani. La presa di coscienza di questa necessità storica sarà personale ed individuale, ma l’azione di ribellione dovrà essere collettiva e quindi comunitaria.
Dunque, anche noi, soprattutto noi, che abbiamo l’ambizione e la superbia di considerarci portatori di una verità storica e di un progetto esistenziale “oltre” ed al di là dei materialismi di ascendenza ottocentesca , dobbiamo fare i conti con la democrazia. Il significante è il segno, la forma che rinvia ad un contenuto : democrazia. Il significato è governo del popolo . Nessuna paura delle parole. Compiti ed obiettivi , improbi ed immensi sono : ricostruire un popolo, restituirgli il potere per affidargli il governo, informare con libertà e senza monopoli, riconoscere dignità a tutte le idee, educare alla scelta, restituire onore alla decisione ed ai decisori, affidarsi , nonostante tutto, ai riflessi di vita ed alle tradizioni di dignità della nostra gente.
Democrazia , quindi, è un obiettivo nazionale, popolare e rivoluzionario, perché , qualunque significato vogliamo attribuirle, non c’è più, destituita e sostituita dall’ oligarchia, che ne è l’opposto, come comprese Aristotele venticinque secoli fa, e la sua cancellazione fattuale ha trascinato con sé la sovranità , che è poi, molto semplicemente, il duro esercizio di comandare su noi stessi nella nostra casa .
Riedificare la casa, dalle fondamenta, perché non ne restano che le rovine. Se restiamo in piedi tra le rovine non possiamo giocare con le parole, e prima di decidere lo stile dell’architettura, bisogna munirsi di pale, mattoni e di tutto quanto serve per ricostruire un tetto.
Penseremo poi alla democrazia diretta, che è l’obiettivo finale, alla rappresentanza funzionale, poiché ciascuno non è solo un generico individuo, ma è anche un lavoratore, un tecnico, uno studente , un padre, un figlio, uno sportivo, un artigiano , una casalinga, un ammalato e così via, e ci dedicheremo certamente all’ampiamento dell’istituto del referendum . Forse immagineremo anche il sorteggio, per uffici di componenti degli organi di garanzia ( Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura, ) e per definire bilanci pubblici o indicare priorità sociali . Più probabilmente, ci inventeremo forme nuove, meccanismi non ancora sperimentati .
Ma, “primum vivere” ed allora ci restituiscano la democrazia, qualunque si l’ accezione del termine.
In definitiva, resta insuperato l’insegnamento di Arthur Moeller Van den Bruck, grande esponente della Rivoluzione Conservatrice, secondo cui non è la forma dello Stato che fa la democrazia, ma la partecipazione del popolo allo Stato, riassunto nel celebre assioma “La democrazia è la partecipazione del popolo al suo destino”.
Una strofa della Compagnia dell’Anello si sfogava contro un regime ipocrita e repressivo, gridando “Democrazia, inquantoché comandate voi “.
Lavoriamo, , noi popolo, noi comunità, noi che amiamo questa Patria e questa Terra, e non ne abbiamo una di riserva, per riprendere in mano il nostro destino : democrazia inquantoché comandiamo NOI . (Fine).
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