Heschel, filosofo ebreo, scriveva che «dopo Auschwitz la filosofia non può più essere la stessa». Forse che prima non esistevano guerre, eccidi, torture? La crudeltà pare essere per l’uomo una necessità biologica. Per molti, un dovere morale o religioso. «Beato chi afferra i tuoi bambini e li sfracella contro la roccia .. Periranno di spada, saranno sfracellati i bambini, le donne incinte sventrate» prescrive la Bibbia.
La storia ha da sempre carattere tragico e spaventoso. Oggi, semplicemente, abbiamo aggiunto alla tragedia umana un carattere di meschinità. Per il resto, nulla è cambiato. La storia non è maestra di vita. Ci insegna solo che dalla storia non impariamo nulla.
Così, il ‘Giorno della memoria’ ci ricorda che siamo condannati a reiterare sempre gli stessi errori. Perché la memoria si fa inerzia, meccanismo irresistibile, scava in noi solchi profondi nei quali la coscienza fluisce secondo una rigida legge economica – costa meno seguire percorsi già tracciati che tracciarne di nuovi, ubbidire a una trama di riflessi nervosi piuttosto che cambiare abitudini.
Ce lo ricorda con i suoi riti imbalsamati, le sue logore liturgie, il suo uniforme corteo di demagoghi. Con la retorica sempre uguale, i triti sermoni su umanità e disumanità, dittatura e democrazia. Tutto gronda di surreale ipocrisia. Si ripetono esorcismi e mantra mentre la storia procede indifferente, tra crimini e bagni di sangue, con la stessa complicità di chi sciorina discorsi edificanti.
Ci viene imposta d’autorità una visione della storia. Ma, diceva Leonardo, «chi disputa allegando l’autorità fa opera di memoria e non di ingegno». Più si conforma a qualche magistero, più l’uomo rinuncia alla propria capacità di capire. Dunque, essendo il Giorno della memoria un vertice di autoritarismi culturali, è logico sia uno tra i punti più bassi toccati dall’intelligenza.
Vorrei perciò staccarmi dalla massa grigia dei Ricordanti, con le loro macabre, ampollose celebrazioni, e librarmi nel cielo della dimenticanza. Vorrei un Giorno dell’oblio. Nessun discorso, nessuna cerimonia. Guardare le cose con occhi non appannati dalle cateratte del passato.
Non si tratta solo di rifiutare la religione dell’Olocausto, con i suoi articoli di fede, la sua Santa Inquisizione, i suoi officianti. Dobbiamo riconoscere come un intero Sistema oggi esercita il suo potere modellando le nostre memorie. Dedicare un giorno all’oblio ha quindi significato anarchico e liberatorio.
L’oblio scioglie incrostazioni politiche e sociali, psichiche e metafisiche. I Dimenticanti alle prime armi possono limitarsi a dimenticare quei fatti – pandemie, vaccinazioni, nemici della democrazia, ebollizioni planetarie etc. – che ci vengono imposti come verità non discutibili. I Dimenticanti più avanzati possono giungere a scordarsi di sé stessi, uscendo da quella bolla di memorie che è l’io, e oltre la quale la realtà si stende senza misura.
Paradossalmente, è un ricordarsi più intimo e profondo. Perché di fatto la società moderna cerca di estinguere la nostra autonoma memoria, per sostituirla interamente con ‘memorie ufficiali’ e protesi mnemoniche. Cos’è l’avanzare dell’automatismo, dell’intelligenza artificiale, se non una guerra alla libertà dello spirito? Il culto della memoria porta all’uomo-macchina.
Nel Giorno dell’oblio giriamo le spalle a questo mondo basato sulla memoria e ai suoi custodi – scuole, biblioteche, professori, esperti, organi di informazione etc. – un mondo in cui “sapere è ricordare”, dove solo la memoria sembra dare un senso alle cose.
È Shabbàt, giorno di riposo della memoria, in cui rifiutiamo di esercitare un controllo sulle cose mediante il conosciuto, e riconsegniamo al mondo la sua verginità. Alleggeriamo lo spirito dell’eccesso di informazioni e di conoscenza che lo opprime. Gli togliamo la camicia di forza della causalità. Infatti, che ne sapremmo noi di cause, se non potessimo ricordare?
Noi ammiriamo chi molto sa, cioè chi molto ricorda. Nella memoria è già tutto dato, noto in anticipo, e questo ci rassicura. Ci permette di prevedere, scegliere, fissare giudizi e valori. Soprattutto ci dà un’identità, la certezza, o l’illusione, di essere qualcuno e non un nulla.
Ma alla memoria manca quello stupore da cui, secondo Platone, nasce la vera filosofia. È come un vecchio amore, ormai privo di incanto. Per meravigliarci, dobbiamo dimenticare. Inoltre, come l’amore, in quanti modi la memoria ci può ingannare, essere infedele?
La nostra vita è un immenso mosaico di cui vediamo solo poche tessere e di cui colmiamo i vuoti con l’immaginazione. Anche l’indagine storica non vede di solito che i rilievi montuosi del passato – le grandi figure, i grandi eventi – e anche di questi a volte solo le cime, che spuntano dalle nubi del tempo. E le sfuggono le immense vallate, la piatta superficie del tempo su cui poggiano.
Quanto più si allontana nel tempo, tanto più la memoria – e quindi la storia – si trasforma in congettura e in fantasia. E più si avvicina al presente, più viene inquinata da interessi estranei alla verità.
Vi sono i pregiudizi attraverso cui ricordiamo, v’è la tendenza a idealizzare alcuni ricordi. Non v’è solo la mistificazione intenzionale, politica, della storia. La nostra stessa memoria personale è in gran parte un falso, frutto di una mente che seleziona, rimuove, censura, secondo criteri di convenienza più che di obiettività.
La storia è un’opinione perché i processi attraverso cui ricordiamo sono opinabili. Persino l’esperienza dei sensi assume per noi un significato solo dopo esser passata attraverso il setaccio della memoria. V’è quindi una latente fallacia in ogni sapere basato sul ricordare.
Per liberarsi del passato non servono Giorni della memoria in cui battersi il petto, rigirarsi in giaculatorie penitenziali, in esecrazioni e rievocazioni, in processi alla storia interminabili quanto una psicoanalisi. Serve una memoria nuova, purificata. Chuang-Tzu, filosofo taoista, lo chiama “sedersi nell’oblio”.
Non vi sono regole da ricordare. Nel Giorno dell’oblio nessuno da un altare o da una tribuna ci catechizza, ci fa la morale. Non dobbiamo cercare un senso nelle cose, ritrovare verità dimenticate. Non chiediamo alla memoria risposte e soluzioni. Accettiamo d’essere parte di una realtà che è mistero e silenzio.
Harpo Marx entrò un giorno nel camerino di un attore debuttante e gli disse: se vuoi fare questo mestiere devi tenere a mente tre regole fondamentali. E te le direi volentieri, ma le ho dimenticate. Così, il Giorno dell’oblio ci ricorda che le cose più essenziali sono quelle che non abbiamo bisogno di ricordare perché sono parte di noi, per sempre.
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