Il trapasso tra un anno e l’altro, in questo caso tra il 2023 e il 2024, è sempre tempo di bilanci. È naturale guardarsi indietro e riflettere sul cammino percorso, prima di riprendere slancio per proseguire.
Nel corso del 2023 sulle pagine di “Ereticamente” mi sono concentrato soprattutto sulla serie di articoli de L’eredità degli antenati. Diciamo pure che si è trattato di una scelta resa necessaria dal fatto che nei tempi precedenti la “forbice”, la distanza temporale fra gli eventi di cui vi andavo parlando e il momento della pubblicazione degli articoli su “Ereticamente” era arrivata a quattro-cinque mesi, davvero troppo.
Avete visto anche che per la stessa ragione, quella di ottenere una maggiore sinteticità, a fine 2023 ho rinunciato alla prassi abituale degli anni scorsi, di presentarvi uno o due articoli di riepilogo dell’annata trascorsa.
Tuttavia, come spesso succede nella vita, non si può avere qualcosa senza rinunciare a qualcos’altro. E’ vero che al riguardo ci sono delle eccezioni, articoli di altra natura che io ritengo molto importanti e che ho pubblicato proprio nell’ultima parte dell’anno andato a spirare, in particolare il pezzo sull’etica pubblicato il 4 e quello sulla scienza pubblicato il 25 dicembre, due articoli che forse alcuni di voi avranno la bontà di considerare delle pietre miliari della “filosofia” di Fabio Calabrese, tuttavia ultimamente alcuni amici con cui ho avuto occasione di conversare e che seguono i miei scritti su “Ereticamente” mi hanno manifestato una certa nostalgia per gli articoli in particolare di due serie, Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, e Narrativa fantastica, una rilettura politica.
Vi dirò che mi hanno messo in un certo modo in imbarazzo, poiché, dopo aver sviluppato fino a 35 articoli ciascuna delle due serie, consideravo entrambi gli argomenti chiusi, avendo detto tutto quanto vi fosse da dire al riguardo, tuttavia a loro beneficio, e soprattutto a beneficio vostro, vedrò ora di presentarvi una breve analisi del significato che entrambe le serie hanno avuto.
La favola della luce da oriente ce la siamo sentita raccontare mille volte, deforma tutta la concezione della storia come viene raccontata dalle elementari all’università e in mille opere divulgative, cartacee e su tutti i media, nondimeno si tratta di una falsità.
Non so quante volte ci siamo sentiti raccontare la storia dell’Egitto della Mezzaluna Fertile mesopotamica, mentre si ignorano deliberatamente i grandi complessi megalitici che costellano l’Europa da un capo all’altro, spesso più antichi di secoli o addirittura di millenni delle piramidi egizie e delle ziggurat mesopotamiche, e che dimostrano non soltanto qualità ingegneristiche notevoli, ma la presenza di un tessuto sociale molto più complesso di quanto ci viene di solito raccontato.
Tutto ciò, io penso, corrisponde a un preciso disegno politico inteso a minimizzare il ruolo dell’Europa nella storia del mondo, ma riflette anche un pregiudizio molto antico.
Certamente la cristianizzazione dell’Europa ha contribuito a incancrenire questo pregiudizio, portando a enfatizzare un’area marginale del mondo mediterraneo ed estranea all’Europa stessa, quella, appunto dove il cristianesimo è nato, ma io penso che questo pregiudizio sia ancora più antico. Quando a Roma cominciò a venire meno la fede negli dei patri, nel mondo romano si diffusero culti di origine egizia ed orientale come quelli di Iside, di Mitra, addirittura di Cibele che un romano fedele alla tradizione non poteva che trovare ripugnante, che contribuirono a spianare la strada al cristianesimo che in origine era semplicemente uno di essi.
Ma possiamo risalire ancora più indietro, a Erodoto, che sarà stato il padre della storia, ma era uno storico per sentito dire, che vede nei Lidi anatolici l’origine degli Etruschi, cosa che non ha mai trovato la minima prova archeologica, ed è oggi smentita dalla genetica che ha ritrovato negli Etruschi non meno che nei Latini il tipico DNA italico. Il fatto che Erodoto sia una fonte antica, non gli dà maggiore autorevolezza. Gli antichi avevano la stessa propensione dei moderni a prendere cantonate, anche se gli va riconosciuto che erano meno forzati dei nostri contemporanei a mentire per ragioni ideologiche.
Peggio ancora hanno fatto i Romani che hanno creduto di nobilitarsi inventando inesistenti antenati a oriente, immaginandosi di essere discendenti dei troiani scampati alla guerra di Troia guidati da Enea.
Enea sembrerebbe essere un personaggio realmente esistito, che avrebbe guidato la ricostruzione di Troia dopo la devastante guerra con gli Achei, diventando il successore di Priamo, ma certamente non è mai arrivato nel Lazio, e di nuovo non esiste alcuna prova né genetica né archeologica di una qualche presenza anatolica nell’Italia centrale fra il X e l’VIII secolo avanti Cristo.
Naturalmente, non metto in discussione il valore letterario e tanto meno gli insegnamenti etici contenuti nell’Eneide virgiliana, ma prenderla alla lettera come mito fondante della romanità, può rivelarsi un boomerang, un’arma lasciata nelle mani dei sinistri, dei sostenitori della globalizzazione e della sostituzione etnica. Ce lo ha dimostrato non molto tempo fa “La Repubblica” che ha preso a pretesto le vicende raccontate nell’Eneide per farne un panegirico a favore dei migranti, supponendo che alle origini di Roma vi sia un profugo turco.
Si tratta ovviamente di una doppia falsificazione, non solo perché il valore storico dell’Eneide è nullo, ma perché l’Anatolia è stata nel medioevo, in conseguenza dell’invasione ottomana, vittima di una delle più estese sostituzioni etniche antecedenti all’età moderna. Nell’antichità, gli antenati dei Turchi attuali erano pastori nomadi che vagavano nelle steppe dell’Asia centrale.
In una parola, il mito della luce da Oriente non può che essere smentito su tutta la linea.
A chi desiderasse approfondire ulteriormente l’argomento, posso ricordare il mio libro Alla ricerca delle origini (Edizioni Ritter).
Narrativa fantastica, una rilettura politica. Io vi devo confessare qualcosa che per me è sempre stato un problema, il fatto per trovarmi, per così dire, diviso in due nella mia attività intellettuale, da una parte, diciamo, come saggista storico e politico, dall’altro come autore di narrativa fantastica, una passione che ho sempre avuto fin da ragazzo.
L’idea di dare vita a questa serie di articoli mi venne quasi per caso, quando “Ereticamente” pubblicò un’intervista con Gianfranco De Turris. De Turris è forse oggi uno degli intellettuali “nostri” più interessanti oltre che presidente dell’Associazione Julius Evola, ma ha anche al suo attivo una cospicua attività di autore, ma soprattutto di saggista nel campo del fantastico, ha diretto assieme a Sebastiano Fusco negli anni ’70 del secolo scorso le collane fantastiche e fantascientifiche delle edizioni Fanucci, e poi della Solfanelli, è, credo, uno dei maggiori esperti italiani di H. P. Lovecraft.
Quell’intervista mi persuase che se ero “doppio”, non ero certo il solo, e non avevo motivo di tenere nascosta la cosa come se avessi da vergognarmene, ma soprattutto mi parve fosse arrivato il momento di gettare un ponte fra i due aspetti della mia attività intellettuale.
Diciamo subito che a semplificarmi le cose c’era il fatto che gli autori del fantastico, da Orwell a Lovecraft, a Borges, a Tolkien, sono sempre stati trattati dalla sinistra con feroce antipatia, bollati come reazionari, se non fascisti, razzisti e Dio sa cos’altro. Mi pare di avervelo già raccontato, io scoprii Tolkien nel 1972 quando ero studente all’università, attraverso i discorsi di due compagni “compagni” che ne parlavano male.
C’è un altro episodio che vorrei citarvi. Nel 1979 Gianfranco Viviani, allora presidente della sezione italiana della World SF, l’associazione che riunisce i professionisti nel campo della fantascienza, rese nota una richiesta della rivista di critica fantascientifica inglese “Foundation” di un articolo sulla fantascienza italiana. Gli italiani, in genere, in campo fantascientifico sono dei bravi narratori, ma quando si tratta di saggistica, scantinano, così toccò a me occuparmene. L’articolo pubblicato su “Foundation” piacque, e poco dopo ricevemmo una richiesta da parte della rivista polacca “Fantaztyka” di pubblicarlo a sua volta, cosa che non avemmo difficoltà a concedere.
Tutto bene, ma quando ricevetti la mia copia di “Fantaztyka” con il mio articolo, notai che “fantascienza” era stato tradotto come “fantaztyka literatura”, chiesi allora a Viviani come si traducesse in polacco in fantastico non fantascientifico, fantasy, horror, eccetera. Lui mi rispose che nei Paesi dell’Est, allora sotto regime comunista, esso non esisteva, era semplicemente bandito. Rimasi basito e scandalizzato pensando ad esempio all’ampia tradizione favolistica russa o ai racconti di Gogol, compresi sempre meglio il socialismo marxista per quello che effettivamente era, una paratia mentale che impediva alla gente di conoscere e pensare.
Tutte esperienze che mi aiutarono a comprendere sempre meglio che non solo non c’era alcuna contraddizione, ma che l’impegno letterario nel fantastico aveva anche una precisa valenza politica.
Ho iniziato questa serie di articoli nel modo più classico, partendo dalla tradizionale distinzione tra generi: heroic fantasy, fantascienza, horror. All’heroic fantasy dedicai il primo e il secondo articolo, il secondo era il testo dell’intervento da me tenuto al convegno siciliano “Magmatica”, e nel terzo mi occupai di fantascienza e horror. Vorrei rimarcare che quella di dedicare agli altri due generi fantastici mezzo articolo a testa, fu da parte mia una scelta precisa che certo molti contesterebbero, vista la grande espansione quantitativa che ha soprattutto la fantascienza.
Oggi l’horror appare in forte decadenza, scordiamoci Poe e Lovecraft, e persino Stephen King appare un grande isolato. Quello che va per la maggiore è il filone vampirico-romantico, con contorno di lupi mannari teen ager. La cinematografia del genere, poi è bassa macelleria, quello che una volta era chiamato grand guignol.
Ma il discorso più delicato riguarda la fantascienza, molta parte di essa è affetta, e a mio parere invalidata dal pregiudizio progressista. Vogliamo essere chiari a questo proposito? Il progresso è una delle più testarde illusioni contemporanee. Da due secoli in qua, tutte le generazioni che ci hanno preceduto hanno avuto una fondata speranza di lasciare ai loro figli una vita migliore della loro. Noi sappiamo che non sarà così per quanto riguarda i nostri figli e nipoti.
Ma arrivati a questo punto, il discorso era ben lontano dall’essere concluso. Rimanevano da trattare i generi dell’utopia, oggi presente soprattutto come utopia negativa, distopia dove saltano agli occhi subito i nomi di George Orwell e Aldous Huxley, dell’ucronia cioè la storia alternativa “scritta con i se”, della fantapolitica e molto altro.
Sul terreno della distopia mi sembra che più di Orwell e Huxley, a indovinare il futuro sia stato Ray Bradbury con Farenheit 451. La dittatura del politicamente corretto, il timore di offendere qualche minoranza o di fare body shaming sta stravolgendo sempre più le nostre vite e limitando la nostra possibilità di esprimerci. Non siamo ancora arrivati ai pompieri che bruciano le biblioteche, ma ho l’impressione che manchi poco.
Sul tema dell’ucronia c’è da dire che i bistrattati autori italiani se la cavano molto meglio degli anglosassoni, e questo è abbastanza ovvio, non solo per una migliore conoscenza della storia da parte dei nostri autori, ma perché, se una serie di circostanze storiche hanno posto gli Stati Uniti all’egemonia mondiale, e di conseguenza gli autori americani devono rassicurare il loro pubblico che qualsiasi svolta storica diversa da quelle che conosciamo, sarebbe stata peggio, noi, al contrario, con una sfortunata storia di quindici secoli di divisioni e invasioni straniere, possiamo solo considerare alternative migliori.
Restava ancora molto da dire. Ad esempio ho dedicato un articolo alle serie televisive fantascientifiche come Star Trek per mostrare che esse veicolano in maniera alquanto insidiosa l’ideologia americana. Ancora, nei decenni scorsi si pensava che la futurologia, il preteso studio del futuro, si sarebbe sviluppata come una vera e propria scienza. Si è visto che non è possibile. “Abbiamo provato il futuro, abbiamo visto che non rende”, ha detto qualcuno. Io l’ho trattata come un genere letterario, anche se non lo è.
Ancora, ad esempio, quello che chiamerei il filone fanta-esoterico. Il lancio su scala mondiale con un battage pubblicitario enorme di un libro, Il codice Da Vinci di Dan Brown, che però alla prova dei fatti risulta deludente e veramente brutto, ha generato un vero e proprio filone di opere imitative, di valore, bisogna dirlo, man mano discendente.
Non potevo poi non dire qualcosa riguardo alla critica e saggistica fantascientifica soprattutto italiana, anche perché c’è di mezzo una storia alquanto penosa. Nel 1978 la rivista “Robot” dell’editore Armenia pubblicò un articolo su Fantascienza e politica del giornalista Remo Guerrini che aveva un taglio decisamente di sinistra. Le polemiche suscitate da questo articolo convinsero l’editore che una svolta a sinistra della pubblicazione avrebbe incrementato le vendite. Il risultato fu esattamente opposto, essa provocò la disaffezione dei lettori, e la rivista cessò. In conseguenza di questo episodio, l’argomento fantascienza e politica è stato a lungo tabù. Un episodio che non potevo non raccontarvi.
In generale, coloro che si occupano di fantascienza e di fantastico con un approccio di sinistra, si trovano in una contraddizione penosa, infatti non si avvedono, o fanno finta di non avvedersi che le stesse obiezioni che muovono contro Tolkien, Orwell, Borges eccetera, sono mosse contro la fantascienza e il fantastico in generale, quindi anche contro di loro, dai “compagni” più aderenti alla concezione del realismo socialista.
A questo punto, con il ventesimo articolo della serie, ho pensato di allargare il discorso, di dimostrare che l’egemonia che oggi gli autori anglosassoni detengono nel fantastico a livello mondiale, non dipende dal fatto che essi siano particolarmente inclinati per questo genere di letteratura, ma unicamente dall’egemonia politica acquisita a livello planetario da una potenza di lingua inglese, gli Stati Uniti, e averlo fatto mi sembra il merito più importante di questa serie di articoli. Per farlo, ho analizzato i vari fantastici non anglofoni per dimostrare che se le circostanze storiche fossero state diverse, avrebbero avuto uguali se non maggiori possibilità.
Ho analizzato il fantastico tedesco, italiano, francofono, iberico (spagnolo e portoghese), ibero-americano, russo e dell’Europa orientale. Da queste ricerche sono emerse potenzialità analoghe se non superiori a quelle degli autori anglosassoni, e questo vale in particolare per la Germania, patria del romanticismo, da cui deriva tutta la tradizione fantastica moderna.
Nel corso di queste ricerche ho fatto anche una scoperta strana. Immaginate uno scrittore del fantastico nato il 12 novembre. All’età di 62 anni, scopre di essere affetto da un tumore all’apparato digerente. E’ la storia di Michael Ende, autore de La storia infinita, ma è esattamente anche la mia, con la differenza che lui è morto all’età di 65 anni, mentre io me la sono cavata e sono ancora qui a rompervi le scatole. Ci sarebbe di che dare credito all’astrologia.
In conclusione, ci saranno ancora nuovi articoli delle serie Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, e Narrativa fantastica, una rilettura politica? Dipende dalle circostanze, se si presenteranno novità di rilievo, ma mai dire mai.
NOTA: L’illustrazione che correda questo articolo richiede stavolta qualche spiegazione in più. Come avete visto, si tratta di un testo alquanto personale, ma ho pensato che mettere una mia foto, o delle copertine dei miei libri, sarebbe stato un eccessivo mettermi in mostra. Allora perché non un’immagine di Trieste? La città nella quale sono nato e vivo, e la cui storia e la cui cultura hanno certamente avuto un’influenza determinante nello sviluppo della mia personalità. Fra le immagini disponibili, ho scelto questa, una suggestiva vista notturna dei resti del tempio di Giove sul colle di San Giusto.
1 Comment