16 Luglio 2024
Preistoria

La Via della Riconciliazione – Rita Remagnino

Nei racconti popolari ci s’imbatte spesso in paesaggi spettacolari fatti di boschi intricati e bui dove qualsiasi incontro è possibile. In alte montagne bianche di neve per attraversare le quali si devono consumare molte scarpe. In strani mondi lunari. In gole tenebrose dove il tempo si è fermato pietrificando ogni essere. In realtà sociali divenute fredde, aride, spente. Sono scenari che hanno in comune il ricordo di un tempo lontano in cui l’energia informata presente in ogni essere umano smise di vibrare in modo coerente con l’Universo a causa di un apparente impazzimento della Natura.
Come risvegliarla? Ormai la luminosa «visione eco-centrica» dell’Uomo Aureo venuto dai ghiacci (Sapiens) si era eclissata per fare spazio a una concezione «antropocentrica» di minori pretese (Cro-Magnon), nella quale il soprannaturale non si rivelava più spontaneamente attraverso un Dio-Natura immanente in tutte le cose, o nell’uomo che ne era partecipe, ma chiedeva di essere continuamente «evocato».
Fu allora che all’interno delle comunità gruppi di intermediari si accollarono il compito di gestire il processo di riconciliazione tra l’Uomo e la Natura tramite offerte, azioni e preghiere appositamente studiate. Le aree rituali si trovavano di solito a ridosso di un «confine», ovvero in crepe terrestri (grotte e sorgenti), o in caverne d’alta quota poste al limite tra la terra e il cielo. Mai queste persone agivano a titolo personale ma sempre operavano per conto della comunità di appartenenza; l’esatto opposto dell’odierna community, dove il Demens può anche appartenere a un gruppo ma la rete appartiene ad altri, perciò la coesione non esiste.
Nella Repubblica Ceca, a Dolní Vestonice, sono state ritrovate in una sepoltura risalente a circa 29.000-25.000 anni fa (cultura pavloviana, variante del Gravettiano) quelle che attualmente sono considerate le più antiche vestigia dell’homo religiosus, che nella fattispecie era una donna. L’età della sacerdotessa, le cui spoglie riposavano in una fossa interamente dipinta di ocra rossa, è stata stimata attorno ai 40 anni. Ritualisticamente il cranio appariva posizionato sotto un paio di scapole di mammut, accanto allo scheletro c’era una punta di lancia di selce, mentre da una mano penzolava il corpo di una volpe.
Fermo restando che entrambi i generi sono uguali nell’ordine sovrannaturale, viene da chiedersi se la religiosità non sia nata per caso come potenza femminile ridestata (fase discendente, o promanativa) prima di mettersi alla ricerca di un punto di equilibrio. In tal caso, il primo homo religiosus del Ciclo presente potrebbe essere stato una femina religiosa.
Al momento il contesto geografico in cui sbocciò questo fiore è ignoto. In quest’epoca si registra tuttavia un certo fermento in seno alla cosiddetta «cultura di Mal’ta-Buret’» (26.000-17.000 a.C. circa) sviluppatasi lungo il corso del fiume Angara, ad occidente del lago Bajkal, in Siberia.
Qui sarebbero apparse per la prima volta una metafisica unica, precise regole sociali all’interno dei gruppi umani, scambi codificati tra l’arte spontanea della Natura e quella studiata dei dipinti su supporti mobili e pareti rupestri. Tutti elementi limati, rifiniti ed esportati su larga scala nel periodo magdaleniano, tra i 17.000-12.000 anni fa.
Nel medesimo spazio storico-geografico i genetisti collocano il bacino genetico delle attuali popolazioni eurasiatiche (non orientali) e dei Nativi nordamericani, tra i quali, com’è noto, le pratiche sciamaniche vennero importate da nord-ovest [immagine 1].

 

Coprire e scoprire, è tutto un tramandare

Rappresentando il senso stesso dell’esistenza, che, semplicemente, si esprimeva nel bisogno fondamentale di conciliare gli opposti e vivere in pace, le forme di ritualità sciamanico-estatica ebbero il merito di riportare alla luce alcune facoltà che il Cro-magnon aveva dimenticato. Un’impresa non impossibile in un periodo in cui la trasmissione della memoria fluiva ancora liberamente, le distinzioni tra il «sacro» e il «profano» non esistevano, perciò il passaggio intergenerazionale delle conoscenze era assicurato.
Certo l’esperienza individuale è sempre stata importante, un tempo vigeva però la consapevolezza che tutto non poteva essere inventato di sana pianta. Perché no, ribatteranno i razionalisti convinti: “basta sperimentare, sbagliando s’impara”. La qual cosa sottintende, per esempio, che gli sciamani sudamericani avrebbero creato l’ayahuasca scegliendo fra le circa 80.000 specie di piante dell’Amazzonia. Il tutto senza possedere un microscopio elettronico né cognizioni scientifiche. Una tempesta di lampi di genio si sarebbe abbattuta sui loro villaggi istigandoli ad abbinare foglie contenenti un ormone cerebrale allucinogeno a una pianta che liberava sostanze capaci di disattivare completamente l’enzima del tratto digestivo. Sapendo preventivamente, tra l’altro, che l’effetto stupefacente delle erbe poteva alterare lo stato di coscienza.
L’ipotesi sarebbe inverosimile anche ignorando che il mondo umano è tutto un susseguirsi di «invenzioni» già inventate pronte a sfilare in passerella con abiti scientifici rinnovati allo scopo di guadagnare consensi. Non per niente il termine «scoperta» esprime l’acquisizione alla conoscenza di luoghi, nozioni, fatti, oggetti, proprietà scientifiche e similari in precedenza «coperti», seppure pre-esistenti.


Anche l’acqua calda chiamata con un nome diverso, bevuta con modalità differenti o servita in recipienti inconsueti, sembra tutta un’altra cosa. Il Principio è lo stesso però cambia l’Azione attraverso cui si manifesta, testimoniando di conseguenza che il rito non è pura esteriorità. E’ fondato. Ha infatti innescato uno dei più poderosi processi di riconciliazione attuati dall’uomo preistorico.
Ciclicamente si presentano periodi in cui il Sole/dio non può offrire aiuto al genere umano, che rimasto solo con se stesso deve arrangiarsi. Ecco perché la Trimūrti divina dell’induismo ha aggiunto ai tre aspetti della Luce intelligibile (creatrice, conservatrice, distruttrice) un quarto stadio di oscurità (la notte, l’inverno, etc.). L’antenato paleolitico lo colmò di senso con il rito, coniugando alcune esperienze precedenti con l’intuizione profonda; trovandosi in una condizione analoga l’uomo del XXI secolo … sta decidendo il da farsi.

 

Tende tremanti e aquile sapienti

Forgiatore di simboli e detentore della «magia» del gesto rituale lo sciamano primordiale riuscì con una certa eleganza nell’impresa di riallacciare i rapporti tra l’umanità e la sacralità degli Elementi, ottenendo così dagli Spiriti che li abitavano utili consigli per la guarigione degli ammalati e la cura (l’accompagnamento) delle anime in fase di trapasso.
Ciò significa che molto tempo prima che Breuer e Freud scoprissero la cosiddetta «abreazione» (nel 1895) c’erano sulla Terra persone in grado di curare i corpi inducendo nelle menti un processo di scarica delle emozioni legate al trauma che aveva causato la malattia. Il riesame della propria situazione portava il paziente ad avviare il percorso di autoguarigione e con l’aggiunta di qualche rimedio farmacologico si otteneva spesso il risultato sperato.
Il nome originale dei primi professionisti del Sacro è sconosciuto. Prima del 1951 il mondo non disponeva neppure di un vocabolo che designasse il viaggio fisico e psichico dell’iniziato impegnato ad esplorare l’Oltremondo, solo in seguito agli studi di Mircea Eliade sullo sciamanismo tunguso il termine «sciamano» (da saman, «colui che sa») entrò nel vocabolario planetario, e oggi tutti sanno cosa significa «sciamanizzare».
L’esame comparativo delle importanti connessioni transcontinentali presenti tra i gruppi siberiani e nordamericani suggerisce la provenienza sub-artica delle tecniche estatiche esportate in mezzo mondo [immagine 2]. Ad esempio presso gli Ojibwa, appartenenti alla famiglia linguistica algonchina, fino al secolo scorso si celebrava la cerimonia della «Tenda Tremante»: solo nel buio di una tenda l’uomo-medicina invocava il Sole, la Luna e il Tuono che si manifestavano scuotendo il tipì con rumori e voci capaci di trasportarlo nell’Altrove, prima di suggerirgli come curare il malato.
Analogamente nel continente opposto noti personaggi storici viaggiarono tra «le stelle e i corpi celesti» guidati da aquile aggiogate al proprio trono (sciamani pennuti?) al fine di ottenere utili consigli per il governo dei popoli. Esperienze di «viaggio» finalizzate all’acquisto della «sapienza cosmica» vennero attribuite al patriarca Enoch, ad Alessandro Magno, all’imperatore cinese Fo-Hi, al profeta Ezechiele, a Gengis Khan ed altri.
Finché il degrado della Storia mise una pietra sopra tutte le conoscenze derivate dalla Tradizione primordiale e nessuno parlò più degli intermediari pennuti che mediando la riconciliazione tra il Cielo e la Terra andavano a depositare «passeggeri illustri» sulla vetta di una montagna, fonte di provvidenziali «visioni» e simbolo eterno di elevazione spirituale.
Gradualmente l’Azione (rituale) che si rifaceva a un Principio (spirituale) perse valore a vantaggio della «filosofia della religione», ovvero dello studio razionale della dimensione universale dello spirito attraverso i segni lasciati da esso nel mondo della materia. Su questo terreno germogliarono le differenze tra i due massimi modelli culturali, o paradigmi, destinati a dividere il pensiero d’Oriente da quello d’Occidente: il primo filone rimase fedele all’olismo trasmesso dallo sciamanesimo sub-artico mentre il secondo, più mentale e tuttora prevalente, sfociò nel dualismo (T. Brescia, Olos o logos: il tempo della scelta, 2011).
Duale è ancora il «sistema» illusorio finalizzato al dominio sugli Elementi del mondo-Demens, che oltre ad essere una chimera si colloca al di fuori del Sacro, dove ci sono soltanto percorsi che portano verso l’insania. Vedasi la religione transumanista, un chiaro esempio di «miopia intellettuale» prodotta da quella kultur che ormai da secoli ostacola la realizzazione di esperienze interiori di più ampio respiro.

 

Dare per ricevere

Nell’atto rituale dell’offrire per ricevere, ovvero dell’ingraziarsi il Cielo affinché sulla Terra le cose procedessero senza intoppi, c’era una buona dose d’interessata materialità. L’arma però appariva a doppio taglio poiché la controparte era un’entità numinosa che a seconda dell’aria che tirava nella dimensione celeste e/o infera poteva rivelarsi positiva o negativa, benefica o malefica.
Consapevole del rischio di soccombere alla forza soverchiante delle Potenze chiamate in causa lo sciamano si muoveva pertanto con estrema cautela. Lentamente curava ogni dettaglio, ogni piccolo movimento, ogni suono prodotto, ogni gesto. Una minuzia fuori posto poteva impoverire l’originalità degli effetti prodigiosi di cui l’azione era capace, oppure costargli la vita.
Tutto doveva essere fatto a regola d’arte, cioè con coscienza, la quale aveva il suo necessario correlato nell’esperienza, a sua volta trasmessa da un’autorità unanimemente riconosciuta come tale dal gruppo di appartenenza. La relazione Maestro→discepolo era fondamentale. Sarebbe ingenuo da parte nostra credere ciecamente nell’innatismo di certe espressioni culturali, rinunciando a cercare risposte più esaustive nei meccanismi evolutivi propri delle società umane. E’ evidente la presenza fin dall’inizio di un Fratello Maggiore (primordiale) disposto ad insegnare al Fratello Minore (primitivo), altrimenti avremmo fatto ben poca strada [immagine 2].


Anche Guénon scrisse in Considerazioni sull’iniziazione (1946) che in ambito tradizionale accanto alla trasmissione «verticale» (dal sovrumano all’umano) ce n’è sempre stata una «orizzontale», intergenerazionale e/o interetnica, idealmente orientata verso una restaurazione dello «stato primordiale», da intendersi come «ritorno alle origini».
Il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo funzionò per millenni, prima di essere sopraffatto dalle cosiddette «certezze matematiche», ritenute basilari. Risultato: l’essere umano non avvertì più il bisogno di fare vere esperienze, trovandosi così nella condizione di non poterne trasmettere. Il mondo attuale è infatti totalmente sprovvisto di «maestri» capaci d’insegnare attraverso la parola/racconto.
Al posto dei consigli, dei proverbi, delle massime, dei detti e dei dialetti così ricchi di suggerimenti e buon senso oggi ci sono gli slogan ideologici e i messaggi promozionali. Significa che la Storia sta finendo? Se anche fosse, ne verrà scritta un’altra. Cioè quando, come, dove, da chi, in che modo?
Al momento è difficile fare previsioni, una cosa però è certa: anche stavolta per uscire dal cul-de-sac bisognerà imboccare la Via della Riconciliazione. L’antenato paleolitico ricorse al Rito, il Demens spiritualmente e culturalmente impoverito lavorerà sul linguaggio che ha distrutto. Non gli hanno forse insegnato che “in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Giovanni, 1, 1-18)? Il termine lógos non significa allo stesso tempo parola e progetto?

 

Riavvicinarsi a se stessi

Per riavvicinarsi alle porte dell’Oltre lo sciamano paleolitico affinò le sue doti taumaturgiche attraverso liturgie e formule cerimoniose, maschere e piumaggi evocativi, danze e canti, funghi allucinogeni e visioni. Grazie all’esperienza egli riscoprì così l’esistenza di un genere molto speciale di «entità», o Spiriti, che lungi dall’essere emanazione degli Elementi rappresentati preesistevano ad essi, li sorvegliavano, li custodivano, li conservavano.
Chiaramente il Demens non se la caverà riciclando gli antichi stratagemmi, che comunque non funzionerebbero. Nell’Era dell’iper-connessione dovrà invece sforzarsi di recuperare la perduta autenticità del linguaggio, che lungi dall’essere semplice comunicazione tra elementi della stessa specie è Parola che attende Risposta, cioè un valore capace di crescere e svilupparsi con l’apporto costruttivo fornito agli argomenti dallo stesso auditorio (G. Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia, 1978).
Vero è che oggi tutti vogliono parlare, comunicare, ma non perché siano interessati all’altro, o al contenuto veicolato, quanto piuttosto per l’amore ossessivo che nutrono verso se stessi: “eccomi, guardami, seguimi, non perdermi di vista, ora sono qui però tra poco mi troverai là”. Quasi sempre «i due poli» intenti a scambiarsi parole sono monadi in balìa dell’incertezza di un astratto ego cogito cartesiano che covano la speranza di vincere la battaglia verbale, cosa assai difficile quando la vanità si sostituisce alla verità e la vita viene trasformata in un terreno di scontro.

E’ scomparsa dalla società attuale la comunicazione come «fatto primitivo» in forza del quale due soggetti si trasmettono informazioni utili alla reciproca sopravvivenza. La stessa scienza si è trasformata da frutto dell’esperienza in puro esperimento: il numerato garantisce il processo del numerare, e così via. Quindi, un domani chi risolverà la questione dell’«incalcolabile»? Se la «nuda vita» basta e avanza, come mai le persone sono tanto infelici?
Rannicchiato nei più confortevoli spazi artificiali dell’ipocrisia il Demens evita la Parola che sollecita la Risposta, o le repliche divergenti che fungendo da moltiplicatore delle opinioni promettono risvolti interessanti. Anche lui/lei capisce però che gli algoritmi non sono la soluzione a tutti i mali. Tanto varrebbe incamminarsi sulla Via della Riconciliazione, continuando il racconto interrotto delle attese e delle paure comprese nelle esperienze precedenti, prima che sia troppo tardi.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

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