“Si crede usualmente che l’Assoluto debba trovarsi molto al di là mentre è invece
proprio ciò che è del tutto presente
e che, in quanto pensanti, anche senza averne
espressamente coscienza, portiamo sempre con noi”
(G.W.F. Hegel)
di Giandomenico Casalino
Per chi possegga una conoscenza anche non esaustivamente approfondita del pensiero e della cultura della Tradizione, nei termini in cui pensatori ed ermeneuti, come Julius Evola e René Guénon, ne hanno tematizzato ed esposto le dottrine e le conoscenze, sia prosaiche che mitico-simboliche, appartenenti alle culture sapienziali e religiose di altrettanti civiltà; non può non avere individuato un pensiero costante, un giudizio equivalente ed analogo che quelle culture manifestano sul tema della natura dell’elemento religioso nei confronti di quello metafisico nonché dei rapporti tra questi due livelli di conoscenza.
In buona sostanza tale problematica investe ed ha per oggetto la dialettica del confronto tra dimensione essoterica ed esoterica, tra esterno ed interno in ordine ad ogni complesso reale tradizionale. Senza che mai si possa e si debba pensare ad una qualsivoglia conflittualità tra la buccia (l’essoterico) ed il nocciolo (l’esoterico), tutte le dottrine tradizionali hanno sempre considerato e saputo che il rapporto, che c’è, è di propedeutica complementarietà, nonché di gerarchico perfezionamento iniziatico di un Sapere che ha (ed è) sempre il medesimo oggetto: il Divino in ogni sua manifestazione tanto nel micro che nel macrocosmo. Cosa significa tale discorso, se non ciò che sia Evola che Guénon, hanno reso esplicito nelle loro opere? Nelle stesse, la differenziazione viene infatti espressa nei termini in cui il punto di vista e lo stato di coscienza (e di essere) della conoscenza religiosa corrisponde al livello essoterico, perciò più esterno, del Sapere. Il che fa esplicito riferimento alla persistenza di uno stato di consapevolezza dell’esistenza di una realtà duale, dove l’uno dei termini è l’uomo e l’altro è il Dio o il Divino; dove il rapporto tra le due realtà è quello che può sussistere tra la creatura e il Creatore; dove, in una parola, lo stato di subalternità della creatura nei confronti del suo Fattore è strettamente collegato, diremmo eziologicamente effettuale, ad una forma di conoscenza rappresentativa o rappresentazionale ed oggettuale del Divino, visto e pensato come l’Altro dall’uomo, anzi il radicalmente Altro. La conoscenza relativa a tale dimensione dello Spirito, che è anche forma istituzionale del Sacro (sacerdozio, culto religioso, complesso mitico-simbolico, sapere poetico in senso tradizionale), è di natura dogmatica e prevalentemente fideistica, atteso il fatto che il dato metafisico è accolto dall’uomo e presentato alla Comunità dei fedeli non come frutto del Sapere e dell’ evidenza dello stesso ma in quanto Realtà rivelata sussistente a priori ed a prescindere dall’esistenza stessa del mondo e dell’uomo medesimi. Tale livello o “momento” dello spirito, è qualificato dalla natura dell’ ortodossia cioè dall’ adesione piena e convinta al dato istituzionale relativo al complesso di Riti e di Leggi, sia comportamentali che gnoseologici, inerenti, anzi fondamento medesimo di quella specifica realtà religiosa alla quale si appartiene o per nascita o per scelta. Qui la costante, in termini di antropologia della cultura del rapporto con il Divino, è la obbedienza, la osservanza, il rispetto, l’accettazione della Legge, (nell’Induismo è definita Bhakti = devozione) che può essere scritta (come nelle religioni del Libro…) o tradotta nella eloquente cerimonialità del Rito o nella silenziosa eloquenza del Simbolo. In ogni caso, sul piano dello Spirito, Evola ha definito tale natura come femminile, in senso molto lato; poiché la subalternità creaturale ed esistenziale dinanzi all’ Altro, all’Assoluto, esclude ogni forma di “salto” o passo di percorso ascetico che è sempre di mutamento della natura medesima (metànoia) di colui il quale lo esperimenta; per giungere a conoscere vedendo, a sapere divenendo, quindi essendo, l’oggetto del sapere medesimo, riconoscendo la falsità, cioè la non corrispondenza al Vero (che è il livello alto e massimo dell’Ascesi…) del preesistente e necessario (dice Guénon…) dualismo religioso.
Ecco che la dicotomia è palese!
Da una parte c’è la Fede, dall’altra il Sapere!
La dimensione ortodossa (la Via della mano destra…) della fede è la religione come essoterismo che, agli occhi del Sapere, è la nube della non-conoscenza, mentre la successiva (se la si cerca…) è quella della eterodossia (che è anche la Via della mano sinistra con estraneità dell’elemento orgiastico-sessuale…) del Sapere, della Conoscenza, della Gnosi che, agli occhi della fede, è la perdizione satanica o la mistificazione pericolosamente superba ed arrogante dell’intera vita religiosa. Dalla dialettica di tali due tipologie di stati della coscienza (anche se solo quello fideistico è coscienziale, mentre lo gnosico è negazione della coscienza stessa in quanto residuale soggettività…) sorgono la sistematizzazione e la distinzione tra la Religione e la Tradizione che, mentre in Evola appaiono l’una con prevalenza del dato sacerdotale e quindi passivamente femminile e l’altra dotata della natura certamente del Sapere ma non come metafisica puramente contemplativa, bensì come Azione Eroica che conosce agendo e agisce conoscendo, sempre tesa, comunque, alla restaurazione dell’Uno; in Guénon, invece, il religioso è qualificato dal livello del sapere sacerdotale che, seppur dualistico, è sempre conoscenza del Divino attraverso la Legge e il Rito ed il Tradizionale viene definito il Metafisico per eccellenza che è quanto dire la Conoscenza Suprema del Principio. Resta il fatto, comunque, che in ambedue le prospettive la differenza radicale tra tali realtà dello Spirito consiste in ciò che, come nella prima (la Religiosa) il “due” (io e il Divino) resta tale e deve restare tale, nella seconda (la Tradizione), il “due” diviene, anzi si riconosce essere da sempre Uno, pur non avendo mai saputo di esserlo. Tale fine del Discorso che è il Fine (ecco perchè i Greci chiamavano i Misteri teletài da telèin che significa finire, completare, concludere ed i Romani li chiamavano initia da initiare, concetto che presuppone anch’esso il perfezionamento e il concludersi medesimo del processo…) si fonda solo e soltanto sulla Identificazione assoluta, libera, evidente e gioiosa che è il Sapere che lo sono Te!…e null’altro!
Nelle culture e nelle differenti civiltà, quelle che sono definite premoderne o tradizionali si fondano, pertanto, su di una Verità incontestabile che, secondo i livelli di conoscenza e di accesso alla stessa, appare ed è religiosa e dommatica nella dimensione aperta, essotericamente vicina a tutti gli ordini sociali e ad ogni tipo di uomo; mentre è intrinsecamente Sapere, Conoscenza evidente da sè, nella dimensione superiore o “successiva”, che è quella esoterica, Realtà che compare come esistente solo a coloro i quali la cercano e la realizzano come esperienza vivente. E quando si parla, nei testi sia di Evola che di Guénon, della Tradizione, è a quest’ ultima che si fa riferimento, come realtà spirituale per eccellenza, data la sua natura metafisicamente universale.
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Ora, intendiamo porre a confronto questo primo Discorso, inteso come Logos, cioè articolato linguaggio dotato di ragione intrinseca e di complesso semantico autonomo, che abbiamo visto avere ad oggetto la Scienza Tradizionale o meglio, il sapere che la Tradizione è la sola ed unica Scienza in quanto Conoscenza dell’ Assoluto, poiché consiste nella definitiva e risolutoria Identificazione con Lui, dove il Soggetto e l’Oggetto, il Conoscente ed il Conosciuto, l’Io e il Divino non sono più che illusioni frutto dell’ignoranza (avidyā); (porlo a confronto), quindi, con un Logos che alla cultura dominante – che è, in sostanza, l’anticultura del pensiero unico moderno, individualista, razionalista e, pertanto, stupidamente ateo, (ciò per la dimensione essoterica e politica che per quella esoterica ed occulta, il discorso ci condurrebbe ben al di là dei limiti che ci siamo imposti…) – appare non solo del tutto estraneo ma addirittura tanto conflittuale e antitetico alla stessa dottrina tradizionale da essere considerato, financo, pilastro filosofico della modernità. Stiamo facendo riferimento al complesso ideale ed al significato esponenziale di un intero mondo spirituale, di una temperie culturale come idee, valori, sentimenti, intuizioni qualificanti un’epoca che è quella che ha dato vita alla grande stagione dell’Idealismo tedesco ed in particolare alla “condensazione” sistematica, nella forma di un novello Proclo , che allo stesso ha conferito il Sapere di Hegel.
Avviandoci senza indugio verso l’essenzialità della quaestio, diciamo immediatamente che tutto intero il processo spirituale proprio delle culture tradizionali, come varie espressioni di un Sapere che è universale e quindi Uno, è presente “misteriosamente”, non solo nella panoramica del percorso di ricerca e conoscenza sia di Schelling che di Hegel, ma in quest’ultimo è pensato e tematizzato in guisa analoga e secondo la medesima propedeuticità nonché le stesse legittimazioni causali e gerarchiche del pensiero e delle culture tradizionali ed arcaiche.
In una parola, la complessa diversificazione filosofica e cioè spirituale tra Religione, essoterismo, dualità, fede, dommatismo, istituzionalità, rappresentazione da una parte e Metafisica (Tradizione), esoterismo, non-dualità, polarità e molteplicità dell’Uno e nell’Uno, Sapere, consapevolezza come evidenza che si vede, extraistituzionalità, negazione della rappresentazione dell’oggetto (sia esso la coscienza o il Dio…) dall’altra, è interamente presente, con una eloquenza intrinseca straordinaria, in tutto il percorso sapienziale hegeliano. Ciò appare evidente solo a colui il quale sia in grado di “guardare” alla filosofia di Hegel senza pregiudizi, cercando di contestualizzare il suo linguaggio e il suo lessico e persuadendosi, pertanto, senza alcuna “paura” della pretesa ereticità o singolarità della propria convinzione, che è assolutamente possibile che appaia, in piena ed incipiente modernità1, una visione del mondo, uno stato d’animo, una natura particolare dello spirito, che, in virtù della genialità speculativa di una mente eccelsa, si manifesti come la riapparizione proprio di quel Discorso, di quella Scienza che era stata precipua ed essenziale alla speculazione ellenica nonché alla sua cultura religiosa e tradizionale. Ciò in ragione del fatto (checché ne abbia pensato o ne abbia scritto la storiografia filosofica moderna, nonostante autorevoli e corpose eccezioni) che Hegel appartiene, da Proclo attraverso tutto il platonismo medievale sino a Giorgio Gemisto Pletone passando per Jacob Boehme, alla veneranda Tradizione platonica ed ermetica2, che certamente concludeva la sua vita istituzionale nel 529 d. C., con la chiusura dell’Accademia di Atene, per ordine di Giustiniano, ma non cessava la sua vita spirituale, in termini di trasmissione dell’insegnamento (nel significato proprio di “tradizione”), che per secoli è stato considerato il Sapere per eccellenza e cioè la vera conoscenza del Divino, tanto in Occidente quanto soprattutto nell’Oriente sia greco-ortodosso che arabo-islamico, per poi ritornare di nuovo in Occidente con l’opera insigne e l’apostolato spirituale proprio di Gemisto Pletone e di Marsilio Ficino, nonché di tutto il mondo del Platonismo e dell’Ermetismo rinascimentali, sino al Sapere luminosamente epocale di Spinoza.
Ora è indubbio, come dicevamo, che Hegel appartenga a tale Tradizione spirituale 3 (una sua opera giovanile ha infatti il titolo: Fede e Sapere…) atteso il fatto che egli esprime nei confronti della Religione, come “momento” dello Spirito in relazione alla Filosofia (momento culminante ed apicale), le stesse argomentazioni concettuali comuni non solo alla Tradizione di pensiero platonica, ma anche all’intera cultura indoeuropea ellenico-romana4, Hegel, infatti, afferma, tra l’altro ed esplicitamente, che “…la filosofia è la considerazione esoterica di Dio…” (Enc. Scienze Fil.) e ciò vuol dire che nella gerarchia dei livelli di stato della coscienza, quello filosofico è il perfezionamento (e qui sono da richiamare i già evidenziati semantemi insiti rispettivamente nei verbi, sia greco che latino, quali teléin e initiare) del Discorso (e dell’ esperienza pedissequa…) proprio in virtù del fatto che esso non è più fondato sulla convinzione fideistica dell’esistenza dell’Altro e della sua estraneità all’Io e quindi sulla effettuale rappresentazione, ancorché concettuale, dell’Altro tanto come immagine e figura o come icona e simbolo. Ciò in ragione del fatto esperienziale dello Spirito che conosce sempre più sé stesso quale uscita dall’Idea come Natura ed emersione da questa in quanto coscienza del soggetto, agli occhi del quale si aprirà, nell’Ascesi che è il Ritorno ciclico all’Idea, la Conoscenza quale conoscenza del Sé, come Totalità autofondante che è da sempre Idea Assoluta. Lo Spirito sa di essere quindi l’Uno il Tutto e che, in quanto Assoluto, è lo stesso Risultato che è ab aeterno l’Inizio: il movimento, il processo sono quindi solo pedagogici ma nella realtà dello Spirito è tutto compiuto da sempre: l’Assoluto è dall’Inizio così come è il Risultato (la Fine – il Fine)!
Hegel precisa in tutta la sua opera, ed è l’unico pensiero filosofico collocato nella modernità ad affermarlo, che sia l’Arte che la Religione, come dimensioni della coscienza, pur avendo come oggetto principale il Divino, sono delle tappe o “momenti” necessari poiché propedeutici al Sapere che è invece solo la Filosofia “…la filosofia ha lo scopo di riconoscere la Verità, di conoscere Dio, poiché Dio è la Verità assoluta…” (Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, vol. II, pag. 421); solo essa quindi conosce infatti l’Assoluto che è Dio, tanto che l’intera filosofia di Hegel può essere considerata una unica prova ontologica dell’esistenza di Dio. La stessa Filosofia pertanto è tutt’ uno con la Teologia nonché con la Logica, per la ragione che l’oggetto della Logica cosi come ripensata da Hegel, sono “…I Pensieri di Dio prima della creazione del mondo e di ogni essere finito…” (Hegel, Scienza della Logica; Introduzione). Ciò in ragione del fatto che, riapparendo in Hegel il Sapere ellenico, la Logica non è considerata, dualisticamente, lo studio delle categorie del pensiero, lontane, estranee, “altre” nei confronti delle categorie dell’Essere, della Natura; ma bensì essa ritorna ad essere in guisa olistica il complesso delle determinazioni del Pensiero che sono le stesse della Realtà (detta “oggettiva”) della Natura, talché Hegel può affermare che la Logica si identifica con la Fisica e con l’Ontologia e, quindi, con la Metafisica: questo è il concetto di “pensiero oggettivo” a cui egli fa riferimento. La Filosofia che è, pertanto, Logica è anche e soprattutto Teologia e, quindi, Fisica (in senso greco in quanto il Cosmo è pieno di Dei!) ed è la vera e autentica Conoscenza del Dio; essa solo può realizzarla poiché si fonda e consiste nella piena ed iniziatica identificazione dell’Io, che non è più tale, con l’Altro che non lo è mai stato.
La totale incomprensione di filosofi e studiosi di Hegel e la effettuale mistificazione del suo Sapere consiste proprio nel fatto che si è, erroneamente, convinti di aver a che fare con una visione del Mondo5 già perfezionata ed in immediato accessibile: non è assolutamente in tale guisa! Hegel, in virtù del principio platonico (già espresso comunque da Empedocle…): “il simile è conosciuto solo dal simile”, vive, espone e presenta (non rappresenta…) il processo, il percorso, la Via nella quale e secondo la quale il soggetto conoscente si trasforma (metànoia) come si trasforma l’oggetto conosciuto, sino al “momento” in cui l’esperienza iniziatica coincide con il mutamento sia dell’Io che del Dio (o Mondo); il mutamento è contestuale poiché, in sostanza, è unico; erroneamente, poiché vittime dell’ignoranza, noi definiamo l’unico come se fossero due processi teogonici: da un lato uno nella dimensione microcosmica (l’uomo) e l’altro nella dimensione macrocosmica (il Dio). È lecito quindi affermare che: Io muto, cambio, perfeziono e vedo la natura del Sé così come il Dio, mutando da Oggetto, Altro dall’Io in Soggetto, Sé, siamo riconosciuti come il Medesimo: “si conosce ciò che si è e si è ciò che si conosce”; ciò vuol significare la corrispondenza magico-operativa dello Spirito che è Uno ma che, “prima” di saperlo (esperimentandolo), è nell’ignoranza (avidyā) di essere “due” cioè soggetto (Io) e oggetto (il Dio).
Se non si comprende, nell’Animo, nella profondità dello stesso con amore e con intelletto, tale Verità, allora tutto ciò che Hegel insegna e fenomenologicamente descrive come percorso di realizzazione dello Spirito, che è percorso necessario ed eterno, viene interpretato come: “panteismo”, “immanentismo ateo”, “storicismo modernista”, “culto del divenire” ed altre sciocchezze simili.
Solo alla Luce di tale Sapere si può e si deve affermare, alla Fine – Inizio della Via, che è il Dio come Assoluto che vede sé stesso nello Spirito, nel Sé dell’Uomo, ed è l’uomo che vede, riconosce la presenza identitaria del Dio in Sé stesso, anzi riconosce che l’Assoluto è egli medesimo ma non più e non mai come Io, bensì nella sublimazione apollinea dello stesso, che non è la sua negazione come annullamento; l’annullarsi nell’Assoluto, infatti, è la via femminile del dionisismo6; che appartiene sempre al livello religioso anche se con una natura elitariamente esoterica. Nella Religione persiste ancora la dualità, precisa Hegel, dove il Divino è “conosciuto” limitatamente alla sua rappresentazione oggettuale, talché esso resta al di là e al di fuori della coscienza (che permane tale…) come al di fuori del mondo (acosmismo frutto del dualismo). E questo non è l’atteggiamento, la natura spirituale della sfera religiosa e della sua necessaria dicotomia fideistica sussistente tra uomo e Divino così come espressa nelle culture tradizionali? E non è quello che affermano le stesse tradizioni religiose delle più grandi civiltà, in uno con l’insegnamento, presente in tutte, che l’elemento religioso è il “momento” dello Spirito che è aperto e accessibile a tutti, affinché si realizzi la comunione (è necessario fare attenzione a tale parola e particolarmente al suo semantema: essa infatti implica e significa la convergenza e l’abbraccio tra due entità, che restano e devono restare sempre tali cioè distinte, separate…) con il Divino? In riferimento a tale problematica, Hegel non manca, però, di porsi la domanda filosofica per eccellenza: per quale ragione solo la Filosofia conosce il Dio? La risposta che formula è quella che è presente in tutte le dottrine tradizionali nonché nella veneranda Tradizione platonico-aristotelica: la Conoscenza è e consiste nella coincidenza identificatrice del conoscente con il conosciuto, il conoscere è l’essere il conosciuto, nella convinzione iniziale dell’essere divenuto, e non dell’esserlo sempre stato. Tale è la dimensione del Sapere!
La Filosofia è Conoscenza poiché, nel Sapere filosofico hegeliano, attraverso il processo di liberazione dallo stato del dualismo religioso, lo Spirito giunge, secondo il comando di Delfi, alla conoscenza di sé quale Universale e alla consapevolezza del Sé e, pertanto, svegliatosi come tale, (ri)conosce il Divino che è il Sé e perviene all’Identificazione assoluta. Ed Hegel tutto ciò lo tematizza mediante le stesse argomentazioni dell’apparato sapienziale platonico-aristotelico: il Pensiero pensando e conoscendo se stesso, pensa solo se stesso ed è Pensiero di Pensiero (il Dio di Aristotele), cioè l’Assoluto che conosce Se medesimo; la Filosofia è pertanto il Sapere del Dio, dove quel “del” è da intendere sia come Sapere che appartiene al Dio che come Sapere che ha per “oggetto” il Dio.
Simili argomentazioni, presenti in maniera esplicita nella dottrina filosofica hegeliana, sono dedotte sia da Evola che da Guènon intorno allo stesso tema, sviluppando, nei loro scritti, il medesimo concetto della Identificazione con il Principio, ognuno secondo la propria sensibilità e natura e cioè secondo la Via che il Fato ha loro assegnato; in Evola, infatti, l’Identificazione ha carattere apollineo e cioè eroico-virile e solare, in Guènon, invece, ha i tratti della pura Conoscenza suprema. L’Identificazione è, pertanto, la tensione massima dello Spirito e, nel contempo, come dicono i testi della Tradizione Ermetica, è “l’ingresso aperto al palazzo chiuso del Re dormiente, che deve essere però svegliato”; essa è, sempre negli stessi testi, “un gioco da bambini” ed è il compito fondamentale che qualifica e rende tali tutte le Tradizioni iniziatiche, poiché non costituisce “qualcosa” di nuovo, altrimenti non sarebbe eterno e quindi non più Divino, ma è il riconoscere, lo svelare che si è ciò che si è sempre stati e ciò che non si poteva non essere, solo che non se ne aveva coscienza: e questo non è il succo dell’insegnamento del Buddha?
La sua natura solare, virile, messa in evidenza particolarmente da Evola, risiede nella realtà, come abbiamo già accennato, non dell’annullamento dell’Io nell’Assoluto (via asiatica acosmica, che può essere o totalmente sentimentale e passionale, come nella corrente orfico-dionisiaca o nel cristianesimo, o filosofico-sapienziale come in Spinoza o in Meister Eckhardt) ma si fonda sull’Ascesi del combattimento, della lenta sottilizzazione e del Corpo e dell’Anima (come potenza vitale), della “costruzione” di uno stato ontologico che è andato perduto e, quindi, in una parola, nello Svegliarsi eroico dell’Io dal sonno, nell’ “apertura degli occhi”, nell’uscita dalla falsità e dalla semioscurità della Caverna (Platone), dall’ignoranza in cui lo Spirito è giaciuto; vedendo e riconoscendo, finalmente, e senza più paura o tremore panico, nel volto dell’Assoluto, Se medesimo. Lo Spirito conquista il Sapere che se nel “precedente” stato di coscienza (il religioso), era il Dio che si riflette nello specchio (il Mondo); ora egli sa, poiché conosce, che è il Sé che si riflette nello stesso specchio (il Mondo) e vi vede Sè medesimo, quale apex mentis = fiore dell’intelletto (Proclo). In tale autoconoscenza consiste la Filosofia secondo Hegel!
Dal Sufismo alla via regale del Buddha, dal comando del Signore di Delfi alla essenza della Tradizione Platonica ed Ermetica, la Verità è uroborica, quindi, circolare: il Fine coincide con l’Inizio, l’Assoluto è il Risultato stesso; tale Verità è il cuore del Sapere di Hegel, è il mèghiston màthema (massimo insegnamento) a cui si giunge, insegna Platone, dopo la catarsi dialettica del filosofare come vita in comune e interrogarsi interiore continuo, e ciò avviene exàifnes (improvvisamente) ed è l’istante in cui lo Spirito conosce se stesso quale Sé come Verità universale: si riconosce Principio, Bene, Uno.
1 L. Messinese, Il problema di Dio nella filosofia moderna, Roma 2001, pp. 39 ss;
M. Scheler, L’eterno nell’uomo, Roma 1991, pp. 152 ss..
2 G.A. Magee, Hegel e la Tradizione Ermetica, Roma 2013.
3 H. Kramer, Platone e i fondamenti della metafisica, Milano 1989, pp. 285 ss.;
W. Beierwaltes. Platonismo e Idealismo, Bologna 1987, pp. 171 ss..
4 G. Casalino, L’origine. Contributi per la filosofia della spiritualità indoeuropea, Genova, 2009; Idem, La prospettiva di Hegel, circolarità e compiutezza del sapere come pensiero arcaico-ermetico, Lecce 2005; Idem, La conoscenza suprema. Essere la concretezza luminosa dell’Idea, Genova 2012; Idem, Sul fondamento. Pensare l’assoluto come risultato, Genova 2014.
5 G. Dalmasso, Hegel probabilmente. Il movimento del Vero, Milano 2014 pp. 30 ss.; G. Casalino, Sul fondamento. Pensare l’Assoluto come Risultato, Genova 2014.
6 M. Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Roma 1985, p. 24; E. Rohde. Psiche. Culto dell’anima e credenza nell’immortalità presso i greci, Bari 1970, p. 337; E. Zolla, Il Dio dell’ebbrezza, Torino, 1998, p. VI