La Costituzione è antifascista e il 25 Aprile è la festa di tutti gli italiani.
Con l’ossessiva ripetizione di queste due colossali megabufale la sinistra italiana ha celebrato e inquinato l’ennesima festa della cosiddetta Liberazione.
La guerra civile terminata nel 1945, ma trascinatasi con un seguito di vendette, violenze e omicidi a opera dei partigiani comunisti fino al 1948, vide contrapposti antifascisti e fascisti.
Questi ultimi subirono la sconfitta militare e l’ostracismo politico, ma certo non scomparvero d’incanto né si volatilizzarono e tuttavia accettarono le regole imposte con l’entrata in vigore della Costituzione e la nascita della nuova Italia.
La Costituzione, che nacque dall’apporto delle forze politiche che avevano combattuto il fascismo e poggia su una base di valori e di principi, in alcuni casi compatibili e in altri antitetici a quelli propri del fascismo, ha indubbiamente un fondamento contrario al fascismo ma non può definirsi antifascista.
In primo luogo, l’antifascismo non è mai citato in nessun articolo della Carta e non è imposto da nessuna norma; secondariamente, nessuna Costituzione può essere “anti” qualcosa ma esclusivamente propositiva e ispirata a regolare il futuro di una Nazione, non a rinnegarne il passato; in terzo luogo, la stessa Costituzione prevede la libertà di associazione e di manifestazione del pensiero, senza alcuna preclusione di natura ideale e politica.
Il divieto a “ricostituire il disciolto PNF” si limita a imporre, a chi volesse definirsi tutt’oggi fascista o postfascista, di adottare metodi non violenti nella manifestazione delle proprie idee e di non propagandare concetti e teorie di qualunque genere che possano essere considerati discriminatori e antidemocratici.
Questo significa che chiunque può liberamente esprimere giudizi e opinioni differenti e contrari alla narrazione politica antifascista, purché rispetti limiti e regole imposte dalla legge e, soprattutto, non ricorra all’uso della violenza.
Questo significa anche che, se la Carta impone la tutela di molteplici diritti di libertà e l’utilizzo del metodo del confronto democratico, si contrappone non solo al fascismo, ma a ogni ideologia che propugni la cancellazione delle libertà e l’utilizzo della violenza come metodo di lotta politica.
Per questo l’osservanza della Carta è l’unico requisito di legittimità politica per chiunque e, pertanto, un fascista che agisca nel rispetto di quanto prescritto dalle norme costituzionali ha già ampiamente assolto ai propri doveri, senza in alcun caso essere tenuto a dichiararsi antifascista, in quanto è l’atto che viene normato e non la mozione ideale che lo determina.
Se la Costituzione è stata scritta da chi si era opposto al fascismo (esempio lampante ne è la figura del presidente dell’Assemblea Costituente, che fu il comunista Umberto Terracini), con la sua accettazione e l’osservanza delle sue disposizioni i fascisti hanno già ampiamente assolto a tutti i loro doveri civili e politici e dimostrato la loro buona volontà, senza che alcuno possa avanzare l’ulteriore pretesa di una loro abiura né di una loro autodafé. Il loro giudizio critico può sicuramente riguardare molteplici aspetti del fascismo e degli eventi bellici a questo connessi, ma può tranquillamente discostarsi e opporsi alle valutazioni degli avversari antifascisti, senza che questo possa creare scandalo.
Le pacificazioni, se realmente si vogliono, si fanno con i nemici e con quelli che hanno idee profondamente differenti, ma senza la pretesa di volerli sottomettere ideologicamente.
Anche perché se è vero che nell’antifascismo confluirono molteplici correnti di pensiero politico, dai liberali ai comunisti, definirsi antifascisti implicherebbe l’iscriversi acriticamente in quella massa eterogenea in cui figuravano ideologie ferocemente tiranniche da cui scaturirono episodi sanguinosi e spregevoli di criminalità politica.
L’osservanza della Costituzione non può essere di ostacolo a un giudizio storico e politico difforme dalla vulgata antifascista che viene propagandata da oltre 80 anni dai reduci del CLN, né tantomeno può implicare l’assoggettamento a un pensiero unico né qualsiasi pretesa di apostasia.
Le riconciliazioni implicano invece il riconoscimento dell’altro e delle sue ragioni.
Se questo non è lo spirito che anima quelli che si definiscono democratici, ecco che il 25 Aprile, lungi dall’essere una festa di tutti, rimane una giornata odiosa e profondamente divisiva, nella quale una parte celebra la sottomissione dell’altra e ne fornisce un’immagine mostruosamente deformata, grottesca e demonizzata, caricandola di ogni nequizia, per attribuirsi di contro meriti sovrastimati e fantasiosi riconoscimenti.
Ecco allora che una narrazione travisata, faziosa e retorica dei fatti attribuisce solo a una parte benemerenze e positività, mentre scarica sul fascismo solo condanne apodittiche e giudizi inappellabili. Giudizi tanto più rabbiosi e ipocriti quanto più ci si allontana nel tempo dai fatti contestati e tanto più settari e protervi in quanto imposti, in alcuni casi, per legge attraverso l’introduzione di norme repressive delle opinioni difformi.
Una democrazia che si autotutela con l’imposizione di un pensiero unico e con l’utilizzo della repressione giudiziaria nega se stessa.
Per questo chi si richiama oggi all’antifascismo lo fa in modo strumentale e interpreta pretestuosamente il fascismo come una costante della storia italiana, o meglio come un’essenza universale che non si esaurisce nelle infinite forme in cui può riprodursi. Il fascismo diventa in questo senso qualcosa di inafferrabile e di proteiforme, uno spettro agitato per colpire l’avversario. L’accusa di fascismo rimbalza così da un personaggio all’altro, da una forza politica all’altra: l’attribuirla è confidato all’arbitrio.
Dal vecchio Partito comunista all’attuale “campo largo”, le sinistre hanno bisogno sia dei cattolici che della borghesia per conquistare il potere in Italia e continuano a ricercarne il supporto proprio in nome dell’antifascismo, inteso oggi come la negazione di ogni valore e istituzione tradizionale.
Oggi l’unità antifascista è la completa subordinazione al pensiero unico e a un processo di dissoluzione destinato alla realizzazione di una società fluida e antiumana in cui l’incontro tra comunismo e borghesia, armati entrambi di un relativismo corrosivo, porti alla negazione di ogni principio assoluto col confinamento di questi valori nella sfera privata. Se l’affermazione di una verità assoluta e oggettiva è fascismo, non resta infatti che relegare ciò che non è negoziabile nella sfera privata, accettando in quella pubblica il processo di disgregazione e soggettivazione della società. E’ questa l’origine delle attuali follie woke, gender, gay, no border e immigrazioniste.
Se non bastasse la nostra continuità ideale, la prospettiva angosciante della società distopica propugnata dagli antifascisti sarebbe, da sola, più che sufficiente a spingerci a rifiutare con disprezzo una simile qualifica.
Enrico Marino