Crìa cuervos y te sacaràn los ojos, alleva corvi e ti caveranno gli occhi, recita un proverbio spagnolo, alludendo all’ istinto dell’uccellaccio. Le generazioni più giovani hanno la naturale tendenza a non seguire le orme dei genitori. La differenza, rispetto al passato, è la natura distruttiva delle opinioni che vengono fatte prevalere. Stiamo allevando mostri che finiscono per odiare tutto e tutti in nome del nichilismo travestito da liberazione in cui sono state cresciute da mezzo secolo le generazioni occidentali. Totalitarismo della dissoluzione, lo chiamò Augusto Del Noce. Non ci uniamo al coro stucchevole di chi accusa i giovani: sono come noi – generazioni al tramonto o al comando – li abbiamo voluti, programmati, ingannati. È giunta a compimento la lezione orribile del Sessantotto: “il grande rifiuto” prescritto da Herbert Marcuse, l’odio per ogni autorità e per ogni passato, l’immaginazione al potere che chiama diritti i desideri e i capricci, il rigetto di tutto portato alla conseguenza estrema, il rifiuto di lasciare eredità, il culto incapacitante dell’“emozione”, ovvero il regno dell’attimo, dell’esperienza immediata.
Significativo è il nome scelto da uno dei gruppi di ultrà “climatici” convinti dell’imminenza dell’apocalisse ambientale: Ultima Generazione. Ultima non solo in senso temporale, ma anche culturale, destinata a non lasciare traccia se non la distruzione, che pratica attaccando le opere d’arte. Ultima perché non ce ne saranno di successive; lo dice la demografia, inascoltata come tutto il resto. L’ignoranza è il tratto distintivo dei nuovi mostri. Colpa nostra: siamo noi ad averla promossa, adesso raccogliamo i frutti. I ragazzi sono innanzitutto vittime di una spaventosa chiusura mentale, di un rancore per il confronto a cui sono stati condizionati da chi li ha preceduti. Ultima generazione anche per la tenace, ossessiva volontà di ignorare il futuro. Cupio dissolvi, desiderio di annullamento.
Come altrimenti definire la furia contro chi contesta l’aborto elevato a religione universale, dogma, totem e tabù? Chi non è d’accordo è un eretico da colpire con la scomunica di un’implacabile Inquisizione. Morte civile in attesa di istituire roghi in Campo de’ Fiori. Centinaia di Erinni – con energumeni maschi di rinforzo – hanno impedito la parola al ministro Eugenia Roccella al Salone del Libro di Torino (un evento legato alla conoscenza!) colpevole di volere nei consultori anche la presenza di associazioni non abortiste. Malissimo ha fatto il ministro a lasciarsi zittire e allontanarsi dall’ evento, dando partita vinta ai violenti; oltretutto la sua decisione è coerente con la vigente legge sull’aborto. Ma nulla conta. Rimuovere il grumo di cellule umane dal corpo femminile è considerato il gesto di liberazione finale, la selvaggia vittoria sulla natura da parte di una civilizzazione ubriaca di Nulla, un diritto universale indiscutibile.
Indiscutibile nel senso che su di esso non è ammesso dibattito. La liberazione da tutto comporta anche il divorzio dalla libertà, dall’accettazione della pluralità di visioni dell’esistenza, la cancellazione del primo diritto, quello alla vita. Ci hanno provato anche con Bergoglio, osannato quando piccona pezzi della dottrina cattolica o si schiera dalla parte dell’altro culto obbligatorio – l’ambientalismo “climatico” – contestato se riafferma il primato della vita. Un gregge fanatizzato ha cercato di impedire l’intervento del papa agli Stati Generali della Natalità. La lingua batte dove il dente più duole: le avanguardie – ignare di ciò che fanno, di chi le aizza e di chi paga i loro capi – si slanciano con istinto sicuro contro la vita. La chiamano liberazione, libertà di scelta, diritto, ma è il trionfo della pulsione di morte (todestrieb) che prevale in nome del principio di piacere (lustprinzip) – il cortocircuito libertà-diritti-desideri sganciato da ogni limite – i due moventi dell’agire umano secondo un maestro distruttivo, Sigmund Freud.
Nessuna riflessione sui pericoli della denatalità in termini economici, sociali, di destrutturazione, perdita di civiltà e persino di biodiversità (vale per animali e piante, non per gli umani…), nessuna analisi del fenomeno, solo il riflesso pavloviano di ridurre al silenzio, cacciare, cancellare l’Altro. Vogliono, invocano la censura, odiano la libertà (altrui), disprezzano il confronto. Il corvo acceca le sue vittime, i “risvegliati” accecano anche se stessi mentre fanno a pezzi il futuro. Ed accusano di “discorso di odio” chi non la pensa come loro. Certo chiameranno odio l’indignazione per la propaganda della follia e della confusione sessuale, per le immagini sataniche viste al caravanserraglio canoro dell’eurovisione, vinto da un cantante “non binario”, fluido, una drag queen o, in lingua antica, un travestito. Entrino, signore e signore, più gente entra, più bestie si vedono.
A tutto ciò i giovani sono indifferenti: è il mondo cucinato per loro (o contro di loro). Più facile prendersela con la concorrente israeliana per il fatto di essere tale. Il razzismo esce dalla porta tra urla di indignazione ma rientra dalla finestra. Siamo fieramente avversi al governo sionista, ma non estendiamo la disapprovazione a un intero popolo. Riprende fiato il finto pacifismo a senso unico: indignazione contro gli eccessi antipalestinesi, ma solo perché il meccanismo – questo sì, binario- oppresso-oppressore, una semplificazione assai comoda, è applicabile al conflitto medio orientale, meno a quello russo-ucraino. In quel caso, nessuno impugna la bandiera arcobaleno.
Scommettiamo che folle di ragazzi parteciperanno – pur essendo normali, cioè etero – alle parate omosessuali di giugno. Lì schierarsi è più facile: dalla parte del pensiero dominante, del conformismo mascherato da trasgressione. Abbiamo lavato davvero a puntino il cervello delle ultime generazioni, le più restie a mettere in discussione sieri, green pass, identità digitale, le più leste a credere alla “narrazione” ufficiale. Diciamolo senza timore: l’avversione per la libertà autentica dilaga soprattutto nelle fasce giovanili. Un altro capitolo del mondo alla rovescia. Ogni statistica dimostra ostilità, ridicolizzazione per la famiglia e il matrimonio naturale. Pochissimi lo vedono come un traguardo, quasi tutti lo considerano un’intollerabile limitazione di una libertà declinata come assenza di legami. Di avere figli neppure si parla: responsabilità, l’impossibilità di liberarsene (i figli sono per sempre…) difficoltà a vivere una vita – vacanza (assenza, tempo sospeso), intoppo alla realizzazione individuale.
Così abbiamo insegnato loro e – poiché non abbiamo offerto alcuna visione diversa – non possono che crederci. Generazioni liquide, anzi liquefatte, indecise a tutto, nemiche della discussione. Nelle università anglosassoni si aprono spazi “sicuri” in cui ciascuno è al riparo dal giudizio, dall’opinione, dall’identità altrui. Un incubo. Impossibile ragionare in termini razionali: i temi dell’aborto diritto universale e della natalità sono paradigmatici. Provate a spiegare che le cellule umane nel corpo della donna sono “umane” o a consigliare minore promiscuità sessuale. I più gentili vi considereranno giurassici. Hanno ragione, l’Occidente ha polverizzato velocemente principi, valori, convinzioni di secoli, di millenni. I giovani – che non conoscono modelli alternativi – neppure sospettano per ignoranza indotta l’esistenza di modelli esistenziali e culturali alternativi. Incomprensibile per loro è sentir dire che senza ricambio generazionale finisce la società e si diventa tutti più poveri, privi di prospettive, di progetti. Senza padri, non conoscono la parola posteri.
Gli storici futuri scriveranno che l’inizio del XXI secolo fu il tempo dell’accelerazione di un declino fatto di squallore, edonismo spicciolo, miseria etica, orrore della realtà. Il festival dell’eurovisione ne è stato un esempio penoso, lo specchio di ciò che il potere vuole, propaganda, impone. La musica – come a Sanremo – non conta nulla. In un’imbarazzante coppia di concorrenti lei sembrava la pubblicità del Botox, accompagnata da due uomini barbuti effeminati, vestiti con salopette che lasciavano scoperte le natiche. Volgarità più bruttezza. Lo spettacolo visto non è l’Europa (ancora) ma rappresenta ciò che stiamo diventando. Una sorta di congresso dell’omosessualità continentale, una passerella di fricchettoni, un inno a ogni confusione e degenerazione, oltreché la negazione dell’arte musicale. Un’ eccezione è stata proprio la rappresentante israeliana, che ha presentato una vera canzone e indossato un abbigliamento (si deve dire outfit) adatto alla circostanza.
Vincitore è stato proclamato uno svizzero che si fa chiamare Nemo, cioè nessuno, un ulteriore inno al nichilismo. Il giovanotto si dichiara “non binario”. Tanto basta per vincere, alla fiera della follia. Nemo (il destino è nel nome scelto) si percepisce né donna né uomo e ha dedicato la sua prestazione “artistica” alla mancanza di “definizione di genere” e ai “problemi di salute mentale”, un’altra bandiera del vittimismo contemporaneo. Un esempio perfetto di come il potere riduce – veri e propri mostri anche in senso materiale – i nostri giovani. Che non si oppongono, non capiscono ed applaudono. Abbiamo preparato per loro una società che relativizza anche il sesso biologico, induce la rinuncia ad avere figli – la fine biologica – in quanto faticosa e toglie spazio alla costruzione del Grande “Io”. Un’Europa sempre più lontana da Dio, dalla realtà, dalla natura, dalla civiltà, esibizionista delle proprie deformità, dipendente da droghe e farmaci. Il grande rifiuto dilaga ovunque e il dramma è che la decadenza è tanto avanzata da non venire più avvertita. Marco Aurelio fu l’ultimo dei grandi imperatori romani. Suo figlio ed erede fu Commodo, un pazzo ossessionato dall’idea di combattere nel Colosseo come gladiatore. Si credeva Ercole e lottava contro rivali precedentemente indeboliti. Se potessimo assistere agli assurdi baccanali di Commodo, coglieremmo il degrado della società romana. Roma si avviò a un inesorabile declino e alla definitiva caduta.
Il festival Eurovision offre l’immagine di un’Europa irrilevante, uscita da se stessa, morta di esaustione. Il commento più crudo viene dalla portavoce del governo russo Maria Zacharova: “Eurovision 2024 ha superato ogni orgia, sabba o sacrilegio rituale, è stato il funerale dell’Europa occidentale. I funerali si stanno svolgendo come al solito. Non ci sono sorprese”, ha ironizzato, mostrando un video con i momenti più ripugnanti dell’evento. Uno è l’immagine dell’irlandese Bambie Thug (un transessuale, all’anagrafe Ray Robinson, mentre thug significa teppista, delinquente), salit* sul palco vestit* da strega con le corna, un’allusione satanica evidente ai non accecati. Un’altra perla è il finlandese Windows95man, che si è presentato senza pantaloni. L’artista (?) irlandese ha esaltato il “non binario” Nemo, dichiarandosi orgoglioso/a “di tutti noi che abbiamo lottato per questo dietro le quinte, perché è stato molto difficile”. Si è definit* “strega goblin gremlin (folletti maligni dall’aspetto deforme) e “star pop della tavola Ouija”, una sorta di pendolino per comunicazioni medianiche. Oltre trenta secoli di civiltà nella spazzatura tra gli applausi della platea cretinizzata. Bambie Thug, dopo aver mandato a quel paese tutti a dito medio alzato, ha affermato: “la comunità che ci sta dietro, l’amore, il potere e il sostegno di tutti noi è ciò che sta generando il cambiamento. Il mondo ha parlato, i queer stanno arrivando, i non binari stanno arrivando per la dannata vittoria”. Sì, abbiamo allevato mostri.
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