23 Giugno 2024
Politica

Elezioni Europee: una analisi, una riflessione – Umberto Bianchi

Le trombe hanno appena finito di squillare, le fanfare si sono improvvisamente azzittite, il can can mediatico dell’Eurocirco si è appena concluso. Stavolta però, nel modo più spiacevole ed inatteso, per chi sperava di veder riconfermato il solito andazzo, costituito dal valzer delle sin troppo ben remunerate poltrone offerte dall’Eurocirco. A prima vista, tutti (o quasi…) sembrano voler cantar vittoria. I popolari europei, tronfi di un confusionario ed ipocrita moderatismo (quello per intenderci, della “forza rassicurante”) per il quale la perpetuazione dello status quo con qualche lieve aggiustamento, (sempre chiedendo il permesso ai padroni del vapore, beninteso), sembra costituire la soluzione ottimale e vincente. I progressisti europei che, in un altalenarsi di sconfitte (come in Germania) e di riconferme (come in Italia) si vedono pur sempre confermare al secondo posto stavolta però, accanto al blocco dei conservatori e liberali (i nostrani “meloniani” per intenderci) oltre che, e qui viene la sorpresa, con il blocco degli “identitari” europei e dei “liberi battitori” non raggruppati nelle tradizionali formazioni dell’europarlamento, sui quali è, a questo punto, più che mai doveroso, compiere una appropriata riflessione.

La stampa “mainstream” ha subito strillato al “pericolo fascista”, all’ “onda nera” o ad altre scipitaggini del genere, evitando accuratamente di svolgere un’obiettiva analisi del fenomeno. Quella del “populismo” europeo costituisce una variegata manifestazione di diverse sensibilità e storie politiche, una vera e propria confusionaria galassia animata da un continuo e magmatico alternarsi di sigle, movimenti e partiti. In Gran Bretagna abbiamo avuto Nigel Farage, che ha praticamente contribuito a portare il paese fuori dalla Comunità Europea. In Austria il populismo è associato al nome del defunto Jorg Haider ed a ben due movimenti che, da molto tempo portano avanti tutta una serie di rivendicazioni. In Francia, Marine Le Pen ha portato alla soglia del governo un partito, sul quale si era apposto un timbro di ostracismo che, sebbene i già rilevanti risultati del passato, sembrava essere inamovibile. In Germania, Alternative Fur Deutschland ha addirittura sorpassato l’imputridita socialdemocrazia targata Spd, sulla cui inamovibilità analisti e bookmaker scommettevano a piene mani. Potremmo continuare parlando del Belgio e di altre consimili realtà nazionali europee, ma la musica non cambia: per le formazioni tradizionalmente alla guida della politica europea, ora sarà molto più difficile governare senza tener conto dell’influenza di certe rivendicazioni.

Il nodo dell’intera questione sta nel fatto che l’opinione pubblica occidentale, sta sempre più manifestando stanchezza e disappunto per le politiche neoliberiste associate all’imperante Globalismo. Questo fenomeno, che ha assurto una sempre maggior rilevanza ed estensione a partire dalla crisi finanziaria mondiale del 2008-2009, subendo poi un’ulteriore impennata a seguito degli eventi legati alla pandemia, è alla base dell’aumento dei consensi di tutte quelle formazioni che, inizialmente animate da un trasversale e spesso confuso senso di rivolta verso il “politically correct” si sono via via, fatte interpreti e portatrici di determinate istanze che, sostanzialmente, finiscono con il tradursi nel netto rifiuto delle linee guida del Nuovo Ordine Mondiale. Dal ritorno del ruolo-guida degli Stati rispetto ad alienanti istituzioni economiche e politiche sovranazionali, passando per il rifiuto delle politiche simil ambientaliste, condotte sulla pelle dei lavoratori e dei consumatori, sino al rifiuto della immigrazione e di quel melting pot che, proposto sotto la patina di un quanto mai ipocrita solidarismo d’accatto, altri non rappresenta che l’epifenomeno dietro il quale si cela il tentativo di depotenziamento delle risorse umane del Terzo Mondo, messe invece al servizio del lavoro nero e dello sfruttamento occidentali, non senza voler considerare la destabilizzazione sociale che tutto questo comporta.

Ora, ai classici motivi che animano l’odierno populismo in Europa, si affianca un altro, inaspettato, motivo. L’opinione pubblica italiana ed europea è contraria alle politiche belliciste della UE, in special modo per quel che attiene il conflitto russo-ucraino e tutto questo fa sottendere un atteggiamento via via orientato ad una profonda diffidenza verso le linee guida geostrategiche angloamericane, se non addirittura di aperta ostilità. Ben lontano, quindi, dal rappresentare dei quanto mai inattuali ed utopici ritorni ai modelli totalitari del passato, come quello fascista o nazista, i populismi oggi rappresentano invece un’ottima opportunità per destabilizzare l’intera costruzione globalista. Proprio la loro costituzionale “friabilità” ideologica, indicativa di una costituzionale carenza di precisi indirizzi programmatici, se non quello rappresentato da un generico e diffuso malcontento verso le oligarchie dominanti, può favorire una sempre più diffusa ed aperta ostilità nei riguardi del sistema di sviluppo imperniato sul capitalismo neoliberista e generare quella spinta volta a fare di movimenti imperniati su una genetica protesta, dei veri e propri movimenti di liberazione nazionali. Questo non può e non deve significare l’apporre la firma ad un “assegno in bianco”, politicamente parlando, visto che, sulla falsariga di quanto già accaduto in Itali,a con i ribaltoni di movimenti come i 5 Stelle o la Lega, il rischio di cambiamenti di rotta o di “melonizzazioni” di queste formazioni, è tutt’altro che irreale. Ciò non toglie, però, che questi fenomeni, non possano costituire degli interessanti bacini di raccolta di malcontento.

D’altronde, la storia ce lo ha più e più volte insegnato: i grandi cambiamenti sono quasi sempre partiti da istanze di liberazione coniugate in modo più che mai generico, vago e confusionario, successivamente sviluppatesi in precise istanze programmatiche. Pertanto, a rappresentare una spina nel fianco delle oligarchie globaliste, oggi alla guida del Circo di Bruxelles, non saranno certo i partiti o i movimenti di una sinistra, oramai ridotta a fare da reggicoda a questi signori, attraverso quanto mai ridicole politiche sui “diritti individuali”, che altro non rappresentano che specchi per le allodole volti a coprire ben altri interessi. A creare problemi, oltre ai contenitori populisti, sarà ed è quell’immenso movimento di delegittimazione delle istituzioni internazionali, oggi rappresentato da un’astensione che tocca più del 50% degli aventi diritto al voto.

Questo secondo elemento, affiancato alle istanze populiste, costituisce la miccia in grado di innescare una spinta ad un radicale cambiamento degli assetti, che diverrà difficilmente controllabile dal sistema. Perchè oggi si possa innescare tale spinta, sarà necessario un radicale cambiamento dei parametri politico ideologici, che dovrebbero ispirare un’azione politica. Privilegiare più che mai, il movimentismo e tutte quelle forme organizzative che possano favorire una collaborazione “orizzontale” tra gruppi ed individualità. Rifiutare qualsiasi forma di organizzazione “verticale” e verticistica, frutto di un’impostazione novecentesca, più facilmente emarginabile da parte del sistema. Il fatto di prediligere un’azione politica strutturata in un senso più movimentista, anziché, come abbiamo detto, su una rigida e verticistica struttura partitocratica, non è dovuto ad una forma di avversione all’ordine o all’organizzazione, bensì alla considerazione dell’insufficienza e dell’acclarata incapacità delle strutture politiche, così come sono state ereditate direttamente dalle esperienze del 19° e del 20° secolo. Incapacità dovuta principalmente al fatto che, queste strutture non riescono a tener testa al predominante pensiero Tecno Economico che, in quanto tale, è in grado di autorinnovarsi continuamente e pertanto, di vanificare qualsiasi forma di struttura politica organizzata in modo rigido e preconfezionato.

Oltretutto, qui non si tratta di essere pro o contro le elezioni, ma comprendere che la formazione e l’organizzazione di un ampio consenso delle masse, non può non passare attraverso una laboriosa opera di coscientizzazione delle stesse. Questa giuocoforza, necessita di una lunga fase “movimentista”, in grado di permettere la più ampia e spontanea circolazione di idee e di azione politica possibile, arrivando così a minare progressivamente il sistema globalista nelle sue fondamenta, visto la crescente difficoltà che questo incontrerebbe nel controllare una serie di azioni disarticolate. Solo al termine di questo lungo percorso di presa di coscienza spontanea e “movimentista”, si potrà parlare di una unica realtà politica, di cui le elezioni rappresenteranno il momento di terminale compimento, attraverso quello che si potrebbe definire un afflato plebiscitario pro o contro i poteri globali.

Utopia? Sogno? Beh, se è per questo, in tutti questi anni abbiamo assistito al clamoroso fallimento di tutte quelle iniziative politiche di opposizione svolte all’insegna di verticismi, frazionismi e “listarellismi” vari. E questo, nonostante, oggi più che mai, di fronte ad una progressiva presa di coscienza dei popoli, il Globalismo sta cercando di tirare più rapidamente possibile i cordoni del sacco, manifestando, quindi, un ineludibile segno di debolezza. I Signori del vapore sognavano “la fine della Storia”, l’avvento di una Gerusalemme Celeste in Terra, la realizzazione del Regno del Dio Capitale in Terra, promuovendo cambi di rotta in direzione di un autoritario neo-paternalismo liberista, attraverso la continua instaurazione di emergenze sanitarie, climatiche e belliche. Ma hanno sbagliato i loro calcoli. Il Samsara della Storia, la Eterna Ruota degli Eventi, animata dalla volontà e dalla coscienza dei popoli sta riprendendo a girare. Spetta a noi tutti saper comprendere lo spirito dei tempi per cogliere un’occasione che non si ripeterà più.

 

UMBERTO BIANCHI

 

 

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