Come avete visto, questa serie di articoli è nata dall’esigenza di riprendere contatto, riepilogare, approfondire le tematiche di cui mi ero già occupato prima che, nel corso del 2023 dedicassi il mio spazio settimanale su “Ereticamente” quasi soltanto a L’eredità degli antenati, cosa che peraltro era stata resa necessaria dalla sempre più ampia “forbice” temporale che era venuta a crearsi tra gli venti di cui mi stavo occupando e la comparsa degli articoli sulla nostra testata.
Sebbene all’inizio pensassi che a tanto sarebbe bastato un solo articolo, come avete visto nei quattro precedenti, tanti me ne sono occorsi per sintetizzare il lavoro sin qui svolto, a cui ho aggiunto anche qualche riferimento ai miei libri Alla ricerca delle origini e Ma davvero veniamo dall’Africa?, nonché alla mia attività di narratore nel campo del fantastico, e spiegando anche le connessioni di quest’ultima con la mia visione politica.
Qualcosa di cui ho omesso di parlarvi, che, esattamente come la serie di articoli I volti della decadenza, devo avere in un primo tempo rimosso, perché anch’esso, e in misura maggiore, si lega al ricordo doloroso del blu crash del dicembre 2018, è quello che era probabilmente il mio progetto più ambizioso, che ero riuscito a sviluppare solo in parte, e di cui vi avevo dato sulle pagine di “Ereticamente” solo qualche accenno. Di che si trattava?
Come certamente sapete, noi tutti siamo in misura maggiore o minore, revisionisti, nel senso di non accettare e di voler appunto rivedere la versione della storia che ci viene graziosamente ammannita da tre quarti di secolo a questa parte. Se guardiamo bene le cose, possiamo dire che non esiste un revisionismo, ne esistono due.
Il primo riguarda ovviamente le vicende storiche del XX secolo, in particolare il periodo fra le due guerre mondiali, l’altro affonda nel remoto passato alla ricerca delle nostre origini e, anche qui, respingendo la favola imposta come ortodossia ufficiale dell’origine africana, le colloca invece in Eurasia, in Europa, se non in un orizzonte nordico-iperboreo.
A questo secondo tipo di revisionismo non ci siamo dedicati soltanto il sottoscritto, Michele Ruzzai e gli altri collaboratori di “Ereticamente”, ma è un asse concettuale di tutto il pensiero tradizionale. Evola, Guenon, Adriano Romualdi, per non dire di Tilak.
La mia idea, certamente ambiziosa e forse al di sopra delle mie forze, era quella di gettare un ponte fra questi due revisionismi, ripercorrendo le tappe, per quel che ero capace di fare, degli ultimi cinque millenni di storia documentata, anche se documentata non significa di necessità raccontata correttamente.
Di quello che era forse il mio progetto più ambizioso, prima che il blu crash del dicembre 2018 cancellasse tutto, non sono riuscito a pubblicare sulle pagine di “Ereticamente” più di alcuni articoli sotto il titolo Opus maxime rhetoricum. Questa frase latina è di Cicerone che ha affermato “historia est opus maxime rethoricum”, che potremmo modernamente tradurre “scrivere la storia è soprattutto una questione di propaganda”.
Così era ai suoi tempi, così è ancora oggi, e la storia che ci viene raccontata sia attraverso il sistema scolastico, sia quello mediatico divulgativo, è perlopiù propaganda di regime che occorre smascherare.
In effetti, uno sguardo attento ci dimostra che tutta la storia che conosciamo è raccontata in maniera tendenziosa seguendo delle forzature ideologiche, sia nell’insegnamento scolastico sia attraverso i media divulgativi. Tralasciamo il fatto che ho tante volte documentato, della mistificazione delle origini della civiltà tante volte collocate in oriente ignorando la presenza della rete di monumenti megalitici che copre il continente europeo. Ad esso ho dedicato i ben 36 articoli della serie Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?
Parliamo ad esempio dell’antica Grecia. Una mistificazione come quella presentata nel film 300 presenta in uno stile molto hollywoodiano la lotta di Leonida e i suoi trecento spartiati contro l’impero persiano come antesignana di quella dell’attuale Occidente sedicente democratico contro l’Iran. Ridicolo, prima ancora che vergognoso.
Prima di tutto, quella di Sparta era una società fortemente aristocratica, impregnata di valori molto diversi da quelli della sedicente democrazia. Poi la Grecia e il suolo europeo che Leonida e i suoi 300 si erano levati a difendere, era cosa ben diversa dall’Occidente ebraico-cristiano nel quale l’Europa è ridotta al rango di modesta periferia dell’impero yankee. Infine, è palese che oggi i rapporti di forza sono totalmente opposti, e semmai è da ammirare la resistenza opposta dall’Iran al dominio planetario del colosso a stelle e strisce.
Parliamo di Roma, qui la mistificazione oltrepassa decisamente i limiti della calunnia diffamatoria. Viene da pensare a un odio profondo verso tutto ciò che è romano, e questo si spiega molto bene considerando chi c’è dietro tutto l’ambaradan del pensiero “occidentale”.
Consideriamo ad esempio la storia militare. Citatemi i primi due episodi che vi vengono in mente da questo punto di vista. Esatto, Canne e Teutoburgo. Libri, riviste, pellicole, siti web non parlano d’altro, si può dire, ma cosa vogliono darci a intendere, che i nostri antenati Romani hanno costruito un impero che andava dalla Britannia alla Mesopotamia accumulando solo sconfitte?
Se vi chiedessi di dirmi i nomi di qualche imperatore romano, probabilmente i primi che vi verrebbero in mente, sarebbero Caligola, Nerone, Commodo, Caracalla, Eliogabalo. Anche qui vale lo stesso discorso, si mettono in evidenza i personaggi ritenuti più pazzi e stravaganti. Dalla fondazione dello stato romano, alla sua espansione prima in Italia, poi in tutto il bacino del Mediterraneo, alla sua caduta, passa oltre un millennio. Può essere che per tutto questo tempo tutto ciò sia avvenuto sotto la guida di individui pazzoidi, megalomani e inutilmente crudeli?
Bisogna tenere presente che la maggior parte degli storici romani apparteneva all’aristocrazia senatoria, i cui poteri erano stati drasticamente limitati dall’istituzione imperiale, e di conseguenza ci hanno lasciato di molti imperatori un ritratto al limite della diffamazione, calunnie che poi i cristiani sono stati ben lieti di riprendere e amplificare. Calunnie che poi hanno fatto la gioia degli sceneggiatori hollywoodiani intesi a produrre kolossal cinematografici che ingiuriano la romanità, Ben Hur, Quo Vadis e sterco simile.
Prendiamo ad esempio il famoso incendio di Roma attribuito a Nerone, sappiamo che a esso l’imperatore era del tutto estraneo, non si trovava neppure a Roma, ma a Ostia quando, scoppiò, e alla notizia di esso, accorse in città, a dirigere lo spegnimento e i soccorsi alla popolazione. Al contrario, non sono del tutto dissipati i sospetti sui cristiani che odiavano Roma, questi cristiani così miti e caritatevoli da uccidere in modo orribile Ipazia squartandola con cocci affilati, e che una volta preso il potere, ottennero da Teodosio con l’editto di Tessalonica del 380 la pena di morte per chi continuava a seguire la religione degli avi.
La cristianizzazione forzata dell’impero è stata una causa niente affatto secondaria della sua dissoluzione. Possiamo perfino dire che essa fu pianificata. Il progetto attuato da Costantino che, in sostanza dell’Impero Romano fu il liquidatore, era quello di creare una tirannide sacrale del tipo che aveva dominato in oriente all’ombra delle piramidi e delle ziggurat mesopotamiche fino all’impero persiano, ma che all’occidente ripugnava, basato questa volta sul cristianesimo come religione imposta. Trasferì la capitale in oriente a Bisanzio che divenne Costantinopoli, mentre l’occidente diventava un’appendice da sfruttare con una fiscalità spietata e lasciato esposto alle incursioni dei barbari.
Il concilio di Nicea del 325 da lui voluto fu in sostanza l’atto di nascita della Chiesa cattolica, “katholikè”, universale, cioè un modello standard di cristianesimo che, bene o male, doveva andare bene per tutti. Inizialmente non era affatto previsto che il vescovo di Roma dovesse esserne a capo, ed era una figura di secondo piano rispetto ai patriarchi delle grandi diocesi orientali, e la famosa donazione di Costantino, presunta base legale del potere temporale dei papi per tutto il medioevo, era un falso clamoroso, come dimostrò l’umanista Lorenzo Valla, ma di fatto la situazione lasciava al vescovo romano qualcosa che i metropoliti delle diocesi orientali non avevano, l’autonomia e la possibilità di esercitare un’autorità politica. Poi, molto più tardi, sarebbe stata inventata la storiella della Chiesa romana fondata dagli apostoli Pietro e Paolo. San Pietro fu aggiunto alla lista dei vescovi di Roma, le cui più antiche versioni non lo menzionano.
Sull’età medioevale ci sarebbe tantissimo da dire, per cui per ora, a malincuore rimando la trattazione a un articolo a parte che seguirà il presente. Per il momento basti dire che la definizione di secoli bui per tutto il millennio che intercorre fra la caduta dell’impero romano e la scoperta dell’America non è altro che una calunnia inventata dagli illuministi, e certamente occorre una fantasia sfrenata o una totale ignoranza per considerare in toto buia un’epoca che ha rivestito l’Europa di castelli e di cattedrali, prodotto la Summa teologica di Tommaso d’Aquino, la pittura di Giotto, la Divina Commedia di Dante, e ha dato vita a tanti elementi che continuano a essere aspetti rilevanti della cultura europea. Ne riparleremo.
Devo dire la verità, nel mio scritto andato perduto, del periodo che va dal XVI secolo alle guerre napoleoniche, non mi sono occupato molto. Per l’Italia è un’epoca di decadenza, illuminata solo dalla figura di Galileo Galilei, il padre della scienza moderna, ma assai di più e ben più sinistramente, dai roghi di presunte streghe ed eretici, fra cui Giordano Bruno, colpevole di aver insinuato che l’universo poteva non limitarsi al sistema solare, ma essere infinito.
Probabilmente non esiste nei nostri ambienti questione controversa di quella risorgimentale, e la cosa è facilmente spiegabile. Da un lato il risorgimento si inserisce in quella serie di rivoluzioni e moti che, passando attraverso le rivoluzioni inglesi del 1640 e 1688, quella americana del 1766, quella francese del 1789, hanno preparato la dissoluzione dell’ordine europeo tradizionale e la fine della centralità dell’Europa a livello planetario. Dall’altro esso ha significato, appunto, il risorgere di uno stato nazionale italiano dopo quindici secoli di frammentazione, di invasioni e di dominazioni straniere. Quale valutazione dare di esso?
Io qui non dovetti fare un gran lavoro, ma riprendere senza sostanziali modifiche un articolo che avevo già scritto anni prima per la rivista “L’Uomo libero” e apparso nel n. 70 del 2010 di questa pubblicazione, Il grande equivoco.
Che cos’è questo grande equivoco nel quale, a mio parere, sono caduti e continuano a cadere sia i denigratori sia gli esaltatori acritici del risorgimento?
Quello di considerarlo un fenomeno omogeneo, come in fondo nessun evento umano lo è. Da un lato ci fu l’insorgenza spontanea di un popolo stanco di dominazioni e oppressioni straniere, e non c’è alcun dubbio che, contrariamente a quanto ha insinuato la storiografia di sinistra, il risorgimento ha avuto un’ampia partecipazione popolare, ci sono episodi che parlano chiaro, ad esempio Venezia che insorse contro gli Austriaci nel 1848 e resistette per un anno e mezzo alla riconquista austriaca. Brescia, “la leonessa d’Italia” che insorse contro gli Austriaci per impedire loro di prendere l’esercito di Carlo Alberto alle spalle. Il piccolo paese friulano di Osoppo che resistette per mesi alla riconquista austriaca – e per questo motivo prese il suo nome una brigata partigiana non comunista durante la Seconda guerra mondiale, che poi i comunisti massacrarono in uno degli episodi più truci della cosiddetta resistenza – o pensiamo alla stessa impresa garibaldina. Davvero credete che Garibaldi avrebbe potuto con poco più di mille uomini conquistare un regno esteso a mezza Italia senza il determinante sostegno delle popolazioni locali?
Dall’altro, e tutt’altro fenomeno fu il movimento che di questa insorgenza si impadronì per allinearla agli interessi della sovversione internazionale. La “cartina di tornasole” per distinguere fra una cosa e l’altra è rappresentata dal fatto che quando gli interessi nazionali e quelli della loggia venivano in conflitto, questi “patrioti” scelsero invariabilmente la loggia, dimostrando con ciò quale fosse la loro vera “patria”.
Pensiamo all’episodio di Bronte, dove i garibaldini repressero con durezza la rivolta della popolazione locale. Esso probabilmente diede il via a quello scollamento tra lo stato unitario e le popolazioni meridionali culminato nell’insurrezione popolare poi falsamente raccontata come brigantaggio, quelle stesse popolazioni che avevano accolto entusiasticamente Garibaldi, e senza il cui appoggio la sua spedizione avrebbe fatto la stessa fine di quella dei fratelli Bandiera e di quella di Pisacane, ma lì a Bronte c’era la ducea di Nelson, c’erano interessi inglesi da difendere.
Ancora nel 1870 con la guerra franco-prussiana, i garibaldini accorrono in aiuto della Francia, eppure in quel momento la Francia era l’ostacolo all’annessione di Roma e al completamento dell’unità nazionale che saranno resi possibili dalla sconfitta francese. Al contrario, con la Prussia non c’era alcun contenzioso, anzi, grazie all’alleanza con essa, avevamo ottenuto il Veneto nel 1866.
No, contro la Prussia di Bismarck, sul punto di trasformarsi in impero tedesco, non c’era che odio ideologico, essa rappresentava qualcosa di inaccettabile per il movimento “liberale”. Se si considera con attenzione questo episodio, vi si coglie in nuce la tragedia del XX secolo con le due guerre mondiali.
D’altronde, se facciamo un passo indietro e andiamo a considerare il contenuto degli accordi di Plombiers tra Cavour e Napoleone III, vediamo che essi non contemplavano affatto l’unità italiana, ma piuttosto la sostituzione dell’egemonia austriaca in Italia con quella francese, oltre che la Lombardia ai Savoia, forse un Bonaparte sul trono di Napoli, e quando Napoleone III si accorse che le cose stavano prendendo tutta un’altra strada, perché gli Italiani l’unità nazionale la volevano, pensò bene di ritirarsi dal conflitto firmando con l’Austria l’armistizio separato di Villafranca.
Noi verso il movimento sovversivo “liberale” e massonico internazionale per cui la nostra unità nazionale è stata un “effetto di rimbalzo” non preventivato e non voluto, non siamo debitori di alcuna riconoscenza, essa invece è stata il frutto delle lotte e dei sacrifici di quattro generazioni dei nostri antenati.
E’ interessante vedere come la storiografia di sinistra, che dimostra un odio viscerale verso tutto quanto è nazionale, tratta il risorgimento, riducendolo a una questione di maneggi diplomatici da cui la nostra ritrovata unità nazionale sarebbe emersa come un coniglio dal cilindro di un prestigiatore, ignorando o minimizzando le lotte e i sacrifici sia sul campo di battaglia, sia di quanti hanno patito la repressione austriaca o borbonica e pagato i loro ideali con il carcere o con la forca. Allo stesso modo, essa ci comprimere lo spazio temporale del risorgimento, dal 1859 al 1870 o addirittura al solo triennio 1859-1861, quando invece fu la lotta di un secolo, dalla ribellione dello squadrone di Nola nel 1821 alla conclusione del primo conflitto mondiale nel 1918.
A questo punto, il nostro discorso confluisce nel revisionismo moderno e contemporaneo, ma c’è ancora un capitolo da scrivere. Sempre nell’intento di dare ai miei scritti la massima diffusione possibile, ho l’abitudine di postarli su facebook dopo che sono comparsi su “Ereticamente”. Il 1 aprile di quest’anno ho avuto la sorpresa – e dubito che sia stato un pesce d’aprile – di vedermi bannata da FB la terza parte di queste Considerazioni perché violerebbe gli standard della community. Voi comunque trovate questo testo su “Ereticamente” e potete constatare di persona se vi siano incitamenti alla violenza o simili. Pochi giorni prima, mi era stato censurato un articolo che avevo ripreso da “Ancient Origins” – da “Ancient Origins”, figuriamoci – sulle pagine del mio gruppo FB Pagina Celtica, che trattava della mitologia irlandese, perché l’immagine che lo corredava – immagine originale di “Ancient Origins” – raffigurante un gruppo di guerrieri celtici, è stata giudicata da FB violenta. È chiaro “lo stile” che vogliono imporci, quello di un buonismo pecoresco conformemente ai dettami sempre più oppressivi del politicamente corretto.
La tecnica con cui si afferma il politicamente corretto è quella della rana bollita. Se noi mettiamo una rana nell’acqua bollente, schizzerà subito via, ma se la mettiamo nell’acqua tiepida e alziamo gradatamente la temperatura, rimarrà tranquilla finché non sarà bollita a puntino. Il politicamente corretto funziona allo stesso modo, togliendoci una libertà alla volta. Nel secolo scorso le minacce alla libertà venivano dalle dittature. Oggi la minaccia alla libertà è la democrazia.
NOTA: Nell’illustrazione, Cicerone. Ci ha insegnato che il racconto della storia è soprattutto propaganda. Un’osservazione forse più valida oggi che ai suoi tempi.
2 Comments